Non sempre l'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare è dirimente per qualificare il rapporto

Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, in caso di prestazioni elementari, ripetitive e predeterminate nelle modalità di esecuzione, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare significativo, occorrendo far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, senza che rilevi, di per sé, l’assenza di un potere disciplinare, né quello di un potere direttivo esercitato in modo continuativo.

Principio statuito dalla Corte di Cassazione, Sesta Sezione, con ordinanza n. 17384, pubblicata il 27 giugno 2019. Domanda di riconoscimento della natura subordinata della collaborazione prestata in favore di un’azienda e conseguente sua condanna al pagamento delle retribuzioni spettanti. Un lavoratore agiva in giudizio al fine di ottenere il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di collaborazione in essere con un’azienda ed il pagamento delle differenze retributive conseguenziali. Il primo Giudice accoglieva la domanda e così la Corte d’Appello, decidendo il gravame proposto dall’azienda. Che ricorreva così in Cassazione. L’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare. La ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto sussistere un rapporto di lavoro subordinato nonostante non vi fosse prova alcuna dell’esercizio del potere direttivo da parte del datore di lavoro sul lavoratore, né alcun controllo sull’attività da questi prestata. Veniva dunque a mancare l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare, dal quale, per costante orientamento, la Suprema Corte faceva discendere la natura subordinata del rapporto di collaborazione. Ripetutamente la giurisprudenza, di legittimità e di merito, ha affermato che ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo, occorre avere riguardo al concreto atteggiarsi del potere direttivo del datore di lavoro, il quale, affinché assurga ad indice rivelatore della subordinazione, non può manifestarsi in direttive di carattere generale, le quali sono compatibili con il semplice coordinamento sussistente anche nel rapporto libero professionale, ma deve esplicarsi in ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa, stabilmente inserita nell'organizzazione aziendale oltre che dall'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative. L’eccezione a tale criterio di indagine. Vi possono essere tuttavia delle situazioni lavorative, come quella nel caso deciso dalla Corte di legittimità, in cui le prestazioni richieste al lavoratore risultano essere estremamente elementari, ripetitive e predeterminate nelle sue modalità di esecuzione. In tali casi, al fine della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulta, in quel particolare contesto, significativo e occorrerà far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro. Va inoltre osservato come l’individuazione e la valutazione dei predetti elementi sussidiari nel concreto svolgimento del rapporto spetta al giudice di merito e sulla base di tali elementi probatori potrà pervenire al giudizio circa la sussistenza o meno dei caratteri propri della fattispecie astratta prevista dall’art. 2094 del codice civile. Nel caso esaminato, la Corte territoriale ha correttamente dato atto del percorso logico seguito nell’individuare i caratteri sussidiari di cui sopra e della conseguente ritenuta sussistenza della natura subordinata del rapporto. Conseguentemente il ricorso proposto è stato ritenuto infondato e dunque rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 19 marzo – 27 giugno 2019, n. 17384 Presidente Curzio – Relatore Cavallaro Rilevato in fatto che, con sentenza depositata il 9.6.2017, la Corte d’appello di Lecce ha confermato, per quanto rileva in questa sede, la pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda di B.G. volta al riconoscimento della natura subordinata della collaborazione prestata in favore di M.T. e di M. Auto s.r.l., condannando le parti datoriali al pagamento delle differenze retributive consequenziali che avverso tale pronuncia M.T. e M. Auto s.r.l. hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura che B.G. ha resistito con controricorso che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio che le parti ricorrenti hanno depositato memoria. Considerato in diritto che, con l’unico motivo di censura, le parti ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2222 e 2697 c.c. per avere la Corte di merito ritenuto la sussistenza della subordinazione nonostante che non vi fosse prova alcuna dell’esercizio del potere direttivo e dell’esistenza di ordini specifici e di controllo sull’attività svolta dal presunto lavoratore, valorizzando a tal fine la presenza di taluni indici sussidiari, ossia la messa a disposizione della struttura da parte datoriale, resistenza di un compenso fisso mensile e l’assenza di rischio economico in capo al lavoratore che il motivo è manifestamente infondato, essendo consolidato l’orientamento secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, in caso di prestazioni elementari, ripetitive e predeterminate nelle modalità di esecuzione, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare significativo, occorrendo far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, senza che rilevi, di per sé, l’assenza di un potere disciplinare nè quello di un potere direttivo esercitato in modo continuativo così da ult. Cass. n. 23846 del 2017, sulla scorta di Cass. nn. 12330 del 2016 e 20367 del 2014 nello stesso senso, v. anche, tra le tante, Cass. nn. 9251 del 2010 e 8569 del 2004 che, nel precisare l’anzidetto orientamento, questa Corte ha affermato che spetta al giudice di merito individuare codesti elementi sussidiari, attribuendo prevalenza ai dati fattuali emergenti dal concreto svolgimento del rapporto così espressamente Cass. nn. 14573 del 2012 e 19568 del 2013 , così implicitamente riconoscendo che essi, in quanto dati fattuali concernenti le modalità concrete con cui si è svolta la prestazione, mantengono rilevanza semplicemente sul piano probatorio, per consentire al giudice di pervenire ad un giudizio di tipo presuntivo sulla sussistenza o meno in concreto dei caratteri propri della fattispecie astratta di cui all’art. 2094 c.c. cfr. in tal senso i puntuali rilievi di metodo di Cass. n. 5079 del 2009 che contrari argomenti non possono trarsi da Cass. n. 19923 del 2016, cit. dalle parti ricorrenti nella memoria ex art. 378 c.p.c., essendosi colà affermato non già che i criteri sussidiari debbono essere provati tutti, bensì che gli indici sussidiari possono assumere valenza soltanto se univoci , ossia non contraddittori nel preciso senso di cui all’art. 2729 c.c., secondo cui le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti che, conseguentemente, deve escludersi che la mancanza di prova di uno dei c.d. criteri sussidiari quale, in specie, l’orario di lavoro possa di per sé solo implicare un vizio di sussunzione della fattispecie concreta nell’ambito della fattispecie astratta di cui all’art. 2094 c.c., questa risultando connotata esclusivamente dall’assunzione di un’obbligazione a collaborare nell’impresa in cambio di una retribuzione, offrendo una prestazione di lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna le parti ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.