Proselitismo sindacale con la mail aziendale: illegittima la sanzione inflitta al lavoratore sindacalista

Inutile il ricorso proposto dai legali dell’azienda. Definitiva, di conseguenza, la condanna, già pronunciata in Appello, della società per condotta antisindacale. Sacrosanto il diritto di proselitismo in ambito aziendale, esercitabile anche con la mail aziendale, a patto di non creare pregiudizi all’attività dell’impresa.

Intangibile il diritto di proselitismo in ambito sindacale. Corretta, di conseguenza, la scelta del lavoratore componente della Rsu di utilizzare la mail aziendale per comunicazioni di carattere sindacale, slegate, quindi, dall’attività produttiva della società Cassazione, ordinanza n. 16746/19, sez. Lavoro, depositata oggi . Comunicazione. Inutile il ricorso proposto dai legali dell’azienda, ritenuto inammissibile dai Giudici della Cassazione. In sostanza, le obiezioni mosse alla decisione presa dalla Corte d’Appello – che peraltro aveva confermato quella del Tribunale – vengono ritenute assolutamente inadeguate a mettere in discussione la condanna per condotta antisindacale , consistita in una sanzione disciplinare per due componenti della Rsu, finiti nel mirino per avere effettuato comunicazioni di natura sindacale utilizzando la mail aziendale .Fondamentale il richiamo all’art. 26 dello Statuto dei lavoratori, laddove si afferma, tra l’altro, che i lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale . Questo principio è ritenuto dai giudici calzante per la vicenda in esame. In sostanza, in questo caso è stato legittimamente esercitato il diritto di proselitismo e di conseguenza è illogica la pretesa dell’azienda di vietare in modo assoluto – e a prescindere dalle modalità concrete con cui avvenga la comunicazione informatica – che la posta elettronica aziendale sia utilizzata per comunicazioni di contenuto sindacale . A maggior ragione quando, come in questo caso, l’invio delle comunicazioni ai dipendenti all’indirizzo di posta elettronica aziendale non è idonea a creare pregiudizio all’attività aziendale .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 marzo – 21 giugno 2019, n. 16746 Presidente Patti – Relatore Amendola Rilevato in fatto che 1. la Corte di Appello di Catania, con sentenza del 12 novembre 2014, ha confermato la pronuncia di primo grado del locale Tribunale che, in sede di opposizione ex art. 28 S.d.L., aveva dichiarato l’antisindacalità della condotta tenuta dalla ST MICROELECTRONICS srl consistita nel sanzionare disciplinarmente due RSU della Fiom CGIL per avere effettuato comunicazioni di natura sindacale utilizzando la mail aziendale 2. la Corte ha considerato regolata la fattispecie dall’art. 26, comma 1, S.d.L. in base al quale I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale ha ritenuto che il diritto di proselitismo sia espressione del più ampio diritto di manifestazione del pensiero, per cui la pretesa dell’azienda di vietare in modo assoluto - e a prescindere dalle modalità concrete con cui avvenga la comunicazione informatica - che la posta elettronica aziendale sia utilizzata per comunicazioni di contenuto aziendale non potesse considerarsi conforme all’art. 26 citato ha concordato con il Tribunale nel ritenere che, nella specie, l’invio delle comunicazioni ai dipendenti all’indirizzo di posta elettronica aziendale non fosse idonea a creare pregiudizio all’attività aziendale 3. per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società con 2 motivi, illustrati da memoria,,mentre la Fiom - CGIL Federazione Provinciale di Catania non ha svolto attività difensiva benché l’atto sia stato notificato in data 11 novembre 2015. Considerato in diritto che 1. con il primo motivo di ricorso si denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 , nonché violazione della L. n. 300 del 1970, art. 25, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 , deducendo che, in base agli arresti giurisprudenziali relativi alla richiamata norma statutaria, la scelta dello spazio destinato alla affissione è rimessa al solo datore di lavoro 2. la censura è inconferente rispetto alla fattispecie legale applicata dalla Corte territoriale, che è espressamente quella dell’art. 26 S.d.L., senza che ne venga adeguatamente criticata la falsa applicazione inoltre l’art. 360 c.p.c., n. 5, viene invocato senza che siano rispettati gli enunciati di cui alle pronunce delle Sezioni unite nn. 8053 e 8054 del 2014 3. con il secondo motivo la società denuncia violazione della L. n. 300 del 1970, art. 26, artt. 2727, 2729 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 eccepisce che la rete aziendale di posta elettronica, essendo uno spazio chiuso e accessibile solo per ragioni di servizio, non è assimilabile ad altri spazi aperti e utilizzabili dai lavoratori per finalità non direttamente produttive e riconducibili all’espletamento della prestazione, anche se collegate all’attività lavorativa svolta critica la sentenza impugnata per aver ritenuto nel concreto insussistente un pregiudizio per l’attività aziendale 4. anche tale motivo è inammissibilmente formulato sotto la veste solo formale del vizio di violazione di legge, anche con l’improprio riferimento agli articoli del codice civile che disciplinano la ripartizione degli oneri probatori nella specie affatto violati e le presunzioni spettando al giudice del merito la scelta di avvalersene e l’apprezzamento che ne faccia v., per tutte, Cass. n. 29781 del 2017 , nella sostanza si censura l’accertamento in fatto compiuto in entrambi i gradi circa l’assenza, nella specie, di un pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale orbene, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma tra le molteplici, Cass. n. 26307 del 2014 Cass. n. 22348 del 2007 sicché il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata perché è quella che è stata operata dai giudici del merito al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata come accade nella specie dove ancora nella memoria conclusiva la società deduce che il sindacato non ha provato che con l’uso della rete aziendale non venisse pregiudicato il normale svolgimento dell’attività lavorativa , si è fuori dall’ambito di operatività dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e la censura è attratta inevitabilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti, ma che sottopone la censura ai rigorosi limiti imposti dall’interpretazione offerta dalle pronunce delle Sezioni unite prima richiamate 5. conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nulla per le spese in difetto di attività difensiva da parte dell’intimata organizzazione sindacale occorre invece dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.