Indennità sostitutiva di preavviso: spetta anche alla madre che si dimette per intraprendere un’altra attività

Nel caso di dimissioni volontarie durante il periodo in cui opera il divieto di licenziamento, la madre lavoratrice ha diritto alle indennità previste dalla legge o dal contratto in caso di licenziamento, a prescindere dal motivo delle dimissioni.

Così si esprime la Corte di Cassazione con la sentenza n. 16176/19, depositata il 17 giugno. La vicenda. La Corte d’Appello di Firenze respingeva il gravame proposto dal datore di lavoro avverso la pronuncia di primo grado che accoglieva la domanda della lavoratrice avente ad oggetto il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso per dimissioni rassegnate entro il primo anno dalla data di adozione di un minore, in base a quanto previsto dall’art. 55, commi 1 e 3, d.lgs. n. 151/2001 Testo Unico sulla maternità e paternità . Contro tale decisione, propone ricorso per cassazione il datore di lavoro, proponendo un’interpretazione della norma citata in base alla quale il beneficio dovrebbe riconnettersi non solo al fatto della nascita/adozione di un minore nel periodo indicato, ma anche alla prova circa il reimpiego del soggetto in altra attività lavorativa, facendo gravare sulla madre lavoratrice l’onere di dimostrare la minor vantaggiosità dell’alternativa lavorativa conseguita. Dimissioni della madre e indennità sostitutiva di preavviso. La Suprema Corte respinge il ricorso proposto dal datore di lavoro, poiché l’interpretazione da egli prospettata dell’art. 55, d.lgs. n. 151/2001, non può essere sostenuta. La norma, infatti, sancisce il diritto della madre di ricevere le indennità previste dalla legge e dal contratto in caso di licenziamento e, dunque, nel caso di specie, una indennità pari a quella prevista in sostituzione del preavviso, in base alla sussistenza di un favor per la madre dimissionaria, i cui costi sono a carico del datore di lavoro, in virtù del principio solidaristico e nell’ottica della tutela della maternità e della famiglia. Chiarito ciò, la Corte afferma che per quanto riguarda gli oneri probatori prospettati dal ricorrente, il prevalente orientamento giurisprudenziale sostiene che in caso di dimissioni volontarie nel periodo in cui opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice madre ha diritto, a norma dell’art. 55 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, alle indennità previste dalla legge o dal contratto per il caso di licenziamento, ivi compresa l’indennità sostitutiva del preavviso, indipendentemente dal motivo delle dimissioni e, quindi, anche nell’ipotesi in cui esse risultino preordinate all’assunzione della lavoratrice alle dipendenze di altro datore di lavoro . In ossequio al principio citato, dunque, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 aprile – 17 giugno 2019, n. 16176 Presidente Napoletano – Relatore Bellè Fatti di causa 1. La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza n. 1056/2013, ha respinto il gravame avverso la pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda di C.I. , già dirigente medico presso la Asl n. XX, di pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso per dimissioni rassegnate entro il primo anno dalla data di ingresso in famiglia del minore dalla stessa adottato, secondo quanto previsto dalla D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 55, comma 1 e 3. La Corte territoriale riteneva che la norma, prevedendo il predetto pagamento quale forma di indennizzo per un mutamento lavorativo da presumersi attuato in funzione della indispensabile cura della prole, ritenuta dalla lavoratrice incompatibile con la conservazione del posto di lavoro sino a quel momento occupato, non consentisse valutazioni rispetto alla maggiore o minore vantaggiosità di scelte lavorative alternative attuate dalla dipendente in esito alle dimissioni, in quanto ciò implicherebbe non disinteressati apprezzamenti del datore di lavoro svincolati da criteri obiettivi e certi e peraltro di impossibile predeterminazione. 2. La Asl ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, resistiti con controricorso dalla C. . Entrambe le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente adduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 55, commi 1 e 3 art. 360 c.p.c., n. 3 . Essa propugna un’interpretazione adeguatrice della norma, sostenendo che il beneficio sarebbe da riconnettere non al solo fatto storico della nascita o adozione del figlio nel periodo considerato, dovendosi consentire al datore di lavoro, previa riqualificazione del pregiudizio quale oggetto di una mera presunzione iuris tantum, di dimostrare il reimpiego della donna in altra attività lavorativa, così onerando la stessa di dimostrare, in tal caso, la minor vantaggiosità dell’alternativa occupazionale conseguita. Con il secondo motivo si sostiene altresì la violazione dell’art. 2697 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo art. 360 c.p.c., n. 5 , sul presupposto che la Corte avrebbe trascurato come, una volta certo e pacifico che la C. avesse iniziato un nuovo lavoro, spettava alla lavoratrice dimostrare, secondo quanto sostenuto già con il primo motivo, la minor vantaggiosità, sul piano patrimoniale e non patrimoniale, della nuova sistemazione. 2. I due motivi, stante la loro connessione, vanno esaminati congiuntamente. 3. In fatto è pacifico che C.I. , dopo le dimissioni da dirigente medico presso la A.S.L., nel corso dell’anno immediatamente successivo all’ingresso in famiglia del figlio adottivo, lavorò in forma autonoma attraverso sostituzioni periodiche di altri professionisti medici, oltre che all’interno dell’ambulatorio medico gestito dalla sorella attraverso una società di cui, in un secondo momento, la stessa odierna parte divenne anche accomandante. 4. Ciò posto, ritiene la Corte che l’interpretazione propugnata dalla A.S.L. e desunta da quanto filo tempore sostenuto da Cass. 19 agosto 2000, n. 10994, non possa essere avallata. La norma infatti prevede tout court, al verificarsi delle condizioni in essa previste dimissioni nel periodo da essa considerato , il diritto della madre a ricevere le indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento e quindi, per quanto qui interessa, un’indennità pari a quella prevista in sostituzione del preavviso. Ciò sulla base di un’insindacabile favor per la madre dimissionaria, i cui costi sono destinati a gravare sul datore di lavoro, secondo una logica di evidente stampo solidaristico art. 2 Cost. , finalizzata alla tutela della maternità e della formazione della famiglia art. 31 Cost. . Il gioco di presunzioni e modifiche degli oneri probatori propugnato dalla A.S.L. ricorrente non trova d’altra parte alcun riscontro nel disposto normativo e dunque va confermato il contrario e prevalente orientamento secondo cui in caso di dimissioni volontarie nel periodo in cui opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice madre ha diritto, a norma del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 55, alle indennità previste dalla legge o dal contratto per il caso di licenziamento, ivi compresa l’indennità sostitutiva del preavviso, indipendentemente dal motivo delle dimissioni e, quindi, anche nell’ipotesi in cui esse risultino preordinate all’assunzione della lavoratrice alle dipendenze di altro datore di lavoro Cass. 3 marzo 2014, n. 4919 Cass. 24 agosto 1995, n. 8970 Cass., 22 ottobre 1991, n. 11164 . Con assetto di interessi che incontra soltanto il limite generale dell’abuso del diritto, in questo caso rispetto all’esercizio di una pretesa che ha radice legale nel contratto art. 1375 c.c. tale abuso certamente non è radicato in sé dal reperimento di nuova occupazione, postulandosi invece, come di norma, puntuali allegazioni e prove ad opera della parte che lo adduca e quindi del datore di lavoro, chiamato a dimostrare determinarsi, ad es., di una situazione al contempo economicamente più vantaggiosa e lavorativamente più onerosa per la dipendente, che renda irrazionale il beneficio patrimoniale per la dipendente ed il corrispondente sacrificio per il datore e che colori dunque in senso profittatorio la pretesa ciononostante avanzata dal genitore. Ipotesi che nel caso di specie non è neppure prospettata, muovendosi le difese della A.S.L. solo sull’infondato piano di un rovesciamento di oneri probatori, per il solo fatto del reperimento di altre occupazioni, che, come detto, non ha aggancio effettivo nella normativa interessata. 5. Al rigetto del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.