Qual è il termine di decadenza per impugnare se il datore di lavoro non aderisce alla richiesta di tentativo di conciliazione?

Ai sensi dell’art. 6, comma 2, l. n. 604/1966, come modificato dalla l. n. 183/2010, l’esito negativo del componimento stragiudiziale di cui all’art. 410 c.p.c. è determinato dall’immediato rifiuto della controparte di intraprendere la procedura conciliativa, al quale è equiparata la mancata adesione entro il termine di legge. Dal rifiuto espresso del datore di lavoro, comunicato al lavoratore, decorre il termine di decadenza di 60 giorni per il deposito del ricorso giudiziale, senza che sia necessaria alcuna comunicazione al lavoratore della chiusura della procedura ex art. 410 c.p.c

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 14057, depositata il 23 maggio. Il caso. La Corte d’Appello di Ancona ha confermato la sentenza di primo grado che, all’esito del procedimento per impugnazione del licenziamento, aveva accertato la decadenza di cui all’art. 6 l. n. 604/1966, come modificato dalla l. n. 183/2010, in quanto il lavoratore non aveva depositato il ricorso giudiziale entro 60 giorni dal rifiuto dell’azienda della richiesta di tentativo di conciliazione, rifiuto che era stato regolarmente comunicato al lavoratore dalla Direzione Territoriale del Lavoro. Con ricorso per cassazione, il lavoratore ha lamentato la violazione e la falsa applicazione degli articolo 6, comma 2, l. n. 604/1966 e 410 c.p.c. sul presupposto che il mancato deposito, da parte del datore di lavoro, della memoria contenente le proprie difese nel termine di 20 giorni ai sensi dell’art. 410, comma 7, c.p.c., non integrerebbe un rifiuto idoneo a far decorrere la decadenza di cui al predetto art. 6. Infatti, la mancata previsione di un obbligo di comunicazione al lavoratore della chiusura del procedimento determinerebbe una situazione di incertezza per il lavoratore, tanto più in presenza di una decadenza speciale rispetto a quella generale di 180 giorni. Il sistema delle decadenze. La Corte di Cassazione ripercorre il sistema delle decadenze, precisando che, ai sensi dell’art. 6 l. n. 604/1966, per impedire l’inefficacia dell’impugnazione stragiudiziale, il lavoratore può scegliere alternativamente il ricorso giudiziale o la comunicazione alla controparte della richiesta del tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c., sempre nel termine di 180 giorni. In caso di richiesta del tentativo di conciliazione, se il datore di lavoro intende accettare la procedura, deposita presso la commissione una memoria entro 20 giorni dal ricevimento della richiesta inviata dal lavoratore. Ove ciò non avvenga, la richiesta si intende rifiutata dal datore di lavoro e ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria, nel caso invece di accettazione della procedura, la commissione fissa la comparizione delle parti entro i successivi 30 giorni. Può accadere che la procedura si concluda con esito negativo in tal caso non opera il termine di 60 giorni previsto dall’ultima parte dell’art. 6 comma 2 solo in caso di rifiuto espresso o di mancata adesione per fatti concludenti, ma resta efficace l’originario termine di 180 giorni dall’impugnativa stragiudiziale del licenziamento, che resta sospeso per la durata del tentativo di conciliazione e per i 20 giorni successivi. Non serve una doppia comunicazione al lavoratore. Nel caso in esame ricorre la fattispecie regolata dall’ultima parte dell’art. 6 comma 2, di tal ché l’esito negativo è determinato dal rifiuto del datore di lavoro di intraprendere la procedura conciliativa. Dunque, dal rifiuto decorre il termine di decadenza di sessanta giorni, senza che possa invocarsi l’ulteriore termine sospensivo di 20 giorni previsto dall’art. 410, comma 2, c.p.c. Pertanto, poiché la Direzione Territoriale del Lavoro ha comunicato al lavoratore il rifiuto del datore di lavoro, non è necessaria alcuna ulteriore comunicazione di chiusura del procedimento, che peraltro non è prevista dalla legge. Diversamente, si otterrebbe il risultato contrario e, cioè, l’incertezza su quale sia il dies a quo per il termine di decadenza di 60 giorni. Per tale motivo, conclude la Suprema Corte, la sentenza impugnata ha correttamente accertato la maturata decadenza, ex art. 6, comma 2, ultima parte l. n. 604/1966, in quanto il ricorso giudiziale è stato depositato oltre il termine di 60 giorni dal rifiuto del datore di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 5 febbraio – 23 maggio 2019, n. 14057 Presidente Di Cerbo – Relatore Marchese Fatto Rilevato che la Corte di Appello di Ancona, con sentenza n. 352 del 2017, ha confermato la pronuncia di primo grado che, all’esito del procedimento ex L. n. 92 del 2012, aveva accertato la decadenza di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, come modificato dalla L. n. 183 del 2010, di I.W. dall’impugnativa del licenziamento a lui intimato in data 6.8.2015 dalla Anconambiente Spa, per non aver depositato il ricorso giudiziale entro il termine di 60 giorni dal rifiuto dell’azienda della richiesta di tentativo di conciliazione in particolare, la Corte territoriale, rilevato che la DTL aveva comunicato al lavoratore la mancata adesione del datore di lavoro alla procedura conciliativa in data 29.10.2015, ha dichiarato maturata la decadenza dall’impugnazione giudiziale, con riguardo al ricorso depositato in cancelleria il 6.2.2016 per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il lavoratore, affidato ad un unico motivo ha resistito la società con controricorso ha depositato memoria il PG, con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Diritto Considerato che con un unico motivo, è dedotta - ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2, e art. 410 c.p.c. secondo la parte ricorrente, il mancato deposito, da parte del datore di lavoro, della memoria contenente le proprie difese nel termine di giorni 20, ai sensi dell’art. 410 c.p.c., comma 7, non integrerebbe un rifiuto idoneo a far decorrere il termine di decadenza di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2 la mancata previsione di un obbligo di comunicazione al lavoratore della chiusura del procedimento determinerebbe una situazione di incertezza per il lavoratore, tanto più in presenza di una decadenza speciale di 60 giorni rispetto a quella generale di 180 giorni, prevista dal medesimo comma 2 dell’art. 6 il motivo è da respingere la L. n. 604 del 1966, art. 6, nel testo ratione temporis vigente, come sostituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1, stabilisce che 1. Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta 2. L’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato . Qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo il lavoratore può, dunque, scegliere, alternativamente, per impedire l’inefficacia dell’impugnazione stragiudiziale id est quella del comma 1 dell’art. 6 cit. sia la strada del ricorso giudiziale sia quella della comunicazione alla controparte della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato, sempre nel termine di 180 giorni cfr. Cass. n. 17253 del 2016, secondo cui la comunicazione della richiesta alla controparte può realizzare il suo effetto anche se inviata a mezzo fax in caso di richiesta del tentativo di conciliazione alle commissioni di conciliazione istituite presso la Direzione provinciale del lavoro, opera l’art. 410 c.p.c., comma 5 e ss., in base al quale copia della richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dal lavoratore, deve essere consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno, a cura della stessa parte istante, alla controparte. Se il datore di lavoro intende accettare la procedura di conciliazione, deposita presso la commissione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale. Ove ciò non avvenga, la richiesta si intende rifiutata dal datore di lavoro e ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria in caso, invece, di accettazione della procedura, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, da tenersi entro i successivi trenta giorni può accadere, tuttavia, che la procedura richiesta sia accettata dalla controparte ed effettivamente espletata ma si concluda con un esito negativo è l’ipotesi affrontata da Cass. n. 14108 del 2018 secondo cui, in tal caso, non opera il termine di sessanta giorni previsto testualmente dall’ultima parte della L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2, solo qualora la conciliazione o l’arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l’accordo necessario al relativo espletamento per la richiamata sentenza, in tale ipotesi, resta invece efficace l’originario termine di 180 giorni dall’impugnativa stragiudiziale del licenziamento , precisandosi tuttavia che esso, ai sensi dell’art. 410 c.p.c., comma 2, è sospeso per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi nella diversa ipotesi, che è quella all’attenzione di questo Collegio, ricorre invece specificamente la fattispecie regolata dall’ultima parte della L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2 l’esito negativo del componimento stragiudiziale è determinato dall’immediato rifiuto della controparte di intraprendere la procedura conciliativa in tale caso cui, per espressa previsione legale, va equiparato quello del mancato accordo all’espletamento della procedura conciliativa , secondo Cass. n. 27948 del 2018, dal rifiuto o dal mancato accordo decorre il termine di decadenza fissato in sessanta giorni, senza che possa invocarsi l’ulteriore termine sospensivo di 20 giorni previsto dall’art. 410 c.p.c., comma 2, e senza che il rifiuto di aderire alla conciliazione debba essere comunicato alla Direzione Territoriale del Lavoro ovvero, come qui ulteriormente si precisa, alla controparte id est al lavoratore d’altro canto, ha osservato Cass. n. 27948 cit, il destinatario del rifiuto è chi ha inoltrato la richiesta di tentativo di conciliazione, il quale viene posto a conoscenza, in tal modo recte attraverso il procedimento delineato dall’art. 410 c.p.c. del momento in cui decorre il terzo termine decadenziale di 60 giorni, mentre una doppia comunicazione, ove fosse ritenuta indispensabile pur in assenza di una previsione legislativa, porrebbe l’ulteriore problema di stabilire quando si debba ritenere integrata la fattispecie che stabilisce il dies a quo cfr. Cass. n. 27948 del 2018, in motivazione, § 2. a questi principi si è attenuta la sentenza impugnata che correttamente ha accertato la maturata decadenza, L. n. 604 del 1966, ex art. 6, comma 2, ult.parte, per essere stato il ricorso giudiziale depositato in cancelleria oltre il termine di sessanta giorni dal rifiuto del datore di lavoro di intraprendere la procedura conciliativa, manifestato nei sensi delineati dalla normativa esaminata conclusivamente il ricorso va respinto, con le spese liquidate in dispositivo secondo soccombenza occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.