Sgravi contributivi e assunzione di lavoratori licenziati a seguito di fallimento: gli obblighi del datore di lavoro

Per ottenere l’applicazione dei benefici contributivi di cui all’art. 8, commi 2 e 4, l. n. 223/1991, nell’ipotesi di cessione d’azienda anche se avvenuta nell’ambito di una procedura fallimentare , è onere del datore di lavoro fornire la dimostrazione degli elementi di novità intervenuti nella struttura societaria.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 12774/19, depositata il 14 maggio, intervenuta in una causa in cui il giudice del lavoro aveva respinto l’opposizione presentata da una casa di cura avverso la cartella esattoriale concernente un credito vantato dall’INPS a seguito del disconoscimento del diritto ai benefici relativi alle assunzioni agevolate di cui alla l. n. 223/1991. Anche la Corte d’Appello rigettava la richiesta avanzata dalla casa di cura. In particolare, la casa di cura imputa alla Corte territoriale di non aver dato importanza all’intervenuto fallimento di essa, posto che era stata la curatela fallimentare a licenziare i lavoratori e a porli in mobilità, per cui mancava qualsiasi obbligo per la società che aveva acquistato l’azienda in sede fallimentare di assumere i lavoratori che avevano prima prestato la loro attività alla società poi fallita. Gli oneri del datore di lavoro. Sul tema, la S.C. ha più volte affermato che il riconoscimento dei benefici contributivi di cui all’art. 8, commi 2 e 4, l. n. 223/1991 per le imprese che assumono lavoratori licenziati a seguito di procedura di mobilità, presuppone che venga accertato che la situazione di esubero sia effettivamente e che l’assunzione di detto personale da parte di una nuova azienda risponda a reali esigenze economiche, pertanto il diritto ai benefici va escluso qualora tra le die imprese sia intervenuto un contratto di affitto dei beni aziendali, idoneo a configurare un trasferimento di azienda che importa la continuazione del rapporto di lavoro con l’acquirente. Ed inoltre, per ottenere l’applicazione dei suddetti benefici è onere del datore di lavoro fornire la dimostrazione degli elementi di novità intervenuti nella struttura societaria per consentire a quello ceduto di svolgere autonomamente la propria funzione produttiva non rileva neanche che la cessione sia avvenuta all’interno di una procedura fallimentare, poiché il fallimento della società non determina, di per sé, il venir meno del bene giuridico azienda” inteso come complesso di elementi materiali e giuridici organizzati al fine dell’esercizio dell’impresa . Tutto questo non si è manifestato nel caso in esame ad opera della società datrice di lavoro, pertanto il ricorso deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 22 gennaio – 14 maggio 2019, n. 12774 Presidente D’Antonio – Relatore Berrino Rilevato in fatto che il giudice del lavoro del Tribunale di Alessandria respinse l’opposizione avanzata dalla omissis avverso la cartella esattoriale concernente il credito di Euro 447.763,58 vantato dall’Inps a seguito di disconoscimento del diritto ai benefici relativi alle assunzioni agevolate di cui alla L. n. 223 del 1991 la Corte d’appello di Torino sentenza del 28.5.2013 ha rigettato l’impugnazione proposta dalla omissis dopo aver evidenziato che a seguito del fallimento della omissis si era avuto tra la curatela fallimentare e la s.r.l. omissis un effettivo trasferimento di azienda per effetto del quale i lavoratori avevano continuato a lavorare nella stessa struttura, svolgendo le stesse attività, per cui la loro messa in mobilità si era rivelata funzionale esclusivamente ad un passaggio di tutto il complesso ad una nuova proprietà, che ne aveva continuato la gestione imprenditoriale, con la conseguenza che correttamente il primo giudice aveva escluso il diritto della ricorrente alla fruizione degli sgravi di cui trattasi per la cassazione della sentenza ricorre la omissis s.r.l. con un solo motivo, cui resiste l’Inps con controricorso. Considerato in diritto che con un solo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge e l’errata applicazione delle norme di diritto in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 8, con particolare riferimento ai commi 2, 4 e 4 bis, nonché in relazione agli artt. 4 e 24, art. 25, comma 9, della stessa legge ed in relazione all’art. 2112 c.c., con riferimento alla L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5, oltre che l’errata motivazione su un punto decisivo della controversia in concreto, la ricorrente imputa alla Corte d’appello di aver trascurato l’importanza assunta nella vicenda in esame dell’intervenuto fallimento della omissis , posto che era stata la curatela fallimentare a licenziare i lavoratori e a porli in mobilità, per cui mancava qualsiasi obbligo per la società che aveva acquistato l’azienda in sede fallimentare vale a dire essa ricorrente di assumere i lavoratori che avevano prestato la loro attività in favore della società a suo tempo fallita ne conseguiva l’applicazione della disposizione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 4, in base alla quale il beneficio della riduzione della contribuzione spetta al datore di lavoro che, senza esservi tenuto ai sensi del comma 1, assuma a tempo pieno e indeterminato i lavoratori iscritti nella lista di mobilità in definitiva, secondo la ricorrente, doveva accertarsi il suo diritto a godere del beneficio di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 8, commi 2 e 4, in assenza di qualsivoglia preclusione al riguardo, ivi compresa la preclusione di cui al comma 4 bis, della predetta disposizione, con conseguente diritto all’annullamento dell’opposta cartella di pagamento, risultando illegittimo il verbale di accertamento da cui essa traeva causa il motivo è infondato invero, al riguardo questa Corte ha già avuto occasione di pronunziarsi affermando Cass. Sez. Lav., sentenza n. 18402 del 20.9.2016 che Il riconoscimento dei benefici contributivi previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 8, commi 2 e 4, in favore delle imprese che assumono personale licenziato a seguito di procedura di mobilità ex artt. 4 e 24, della stessa legge, presuppone che sia accertato che la situazione di esubero sia effettivamente sussistente e che l’assunzione di detto personale da parte di una nuova impresa risponda a reali esigenze economiche e non concreti condotte elusive finalizzate al solo godimento degli incentivi, sicché il diritto ai benefici va escluso ove tra le due imprese sia intervenuto un contratto di affitto del complesso dei beni aziendali, idoneo a configurare un trasferimento di azienda che, ai sensi dell’art. 2112 c.c., importa la continuazione dei rapporti di lavoro con l’acquirente, non avendo rilievo il disposto della L. n. 428 del 1990, art. 47, comma 5, che, nell’escludere l’applicabilità dell’art. 2112 c.c., in caso di trasferimento di azienda in crisi, disciplina la posizione contrattuale dei lavoratori nel passaggio alla nuova impresa, senza aver riguardo agli aspetti contributivi. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che aveva escluso la fruibilità degli sgravi da parte di un’impresa che, stipulato un contratto di affitto con un’azienda fallita, aveva prima assunto i lavoratori in cassa integrazione con contratti a tempo determinato e, poi, a meno di un anno, a tempo indeterminato prelevandoli dalle liste di mobilità si è, altresì, statuito Cass. Sez. Lav., sentenza n. 10428 del 27.4.2017 che In tema di sgravi contributivi, ai fini di ottenere l’applicazione dei benefici previsti dalla L. n. 223 del 1991, art. 8, nell’ipotesi di cessione d’azienda, è onere del datore di lavoro fornire la dimostrazione degli elementi di novità intervenuti nella struttura societaria e delle significative integrazioni apportate al complesso originario per consentire a quello ceduto di svolgere autonomamente la propria funzione produttiva né rileva che la cessione sia avvenuta nell’ambito di una procedura fallimentare, in quanto il fallimento della società non determina, di per sé, il venir meno del bene giuridico azienda inteso come complesso di elementi materiali e giuridici organizzati al fine dell’esercizio dell’impresa tra l’altro, la circostanza che il passaggio dei beni sia avvenuto nell’ambito di una procedura fallimentare è del tutto irrilevante, giacché irrilevanti sono le finalità perseguite dal cedente, siano esse quelle dell’incremento dell’attivo fallimentare o della continuazione dell’attività di impresa. Ciò che rileva è che il fallimento della società non determina di per sé il venir meno del bene giuridico azienda inteso come complesso di elementi materiali e giuridici organizzati al fine dell’esercizio dell’impresa, e dunque la possibilità di una sua cessione nell’ambito di un regolare contratto di vendita o affitto di azienda Cass. 23/6/2001, n. 8621 inoltre, è onere della parte che intende valersi degli sgravi fornire la prova dei presupposti per la sussistenza del beneficio, poiché il diritto può essere riconosciuto solo ove si accerti che in concreto sussista una diversità oggettiva tra le due imprese la ritenuta mancanza di prova in ordine al passaggio dei beni ulteriori rispetto all’insegna e al contratto di locazione dei locali dove si svolgeva l’attività di impresa non può ridondare in danno dell’istituto previdenziale, essendo piuttosto onere dell’impresa cessionaria dimostrare gli elementi di novità intervenuti nella struttura così Cass. n. 8800/2001, cit., e Cass. 12589/1999, cit. , in presenza di significativi elementi di permanenza della preesistente struttura aziendale orbene, la Corte di merito si è attenuta ai suddetti principi nel motivare il proprio convincimento in ordine alla insussistenza del diritto vantato dall’appellante al conseguimento degli sgravi contributivi di cui trattasi, avendo adeguatamente spiegato quanto segue - In data 25.2.2006 il Tribunale di Casale Monferrato aveva dichiarato il fallimento della OMISSIS srl la curatela fallimentare aveva stipulato, a decorrere dall’1.5.2006, contratto d’affitto d’azienda con Sermed srl che aveva assunto i 49 dipendenti in forza presso la fallita omissis e ne aveva continuato l’attività sino al 23.11.2006 in costanza di contratto d’affitto la proprietà dell’azienda era stata aggiudicata, a seguito di pubblico incanto, alla omissis s.r.l. che presentava assetti societari sostanzialmente coincidenti con quelli della Sermed s.r.l., essendo quest’ultima partecipata al 100% dal socio unico Casa di Cura Città di Bra che, a sua volta, risultava essere socio di maggioranza al 55% anche di omissis srl in data 23.11.06, avendo la Sermed dichiarato di non volere proseguire l’attività, il curatore fallimentare aveva licenziato i lavoratori ed il giorno successivo 24.11.06 li aveva posti in mobilità l’opponente aveva iniziato la propria attività il 27.11.2006, assumendo 34 lavoratori tra quelli provenienti dalla omissis e transitati in Sermed srl, i quali avevano continuato a svolgere le medesime mansioni e a mantenere il medesimo inquadramento giuridico ed economico loro riconosciuto in pendenza del precedente contratto di lavoro era pacifico che il negozio traslativo era intercorso tra il Fallimento e la OMISSIS srl, mentre doveva escludersi che si fosse mai concluso un rapporto giuridico diretto tra le due società, per cui non trovava applicazione il disposto della L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 4 bis quindi tra il Fallimento e la s.r.l. omissis si era verificato un effettivo trasferimento di azienda invero, dopo la retrocessione dell’azienda dalla Sermed al Fallimento avvenuta il 23.11.06 allorquando la stessa Sermed aveva deciso di non voler proseguire l’attività , i lavoratori erano stati messi, dapprima, in mobilità nel giorno seguente e, poi, riassunti in parte tre giorni dopo, cioè il , dalla omissis che si era aggiudicata il complesso aziendale a seguito di incanto, sin dal 29 settembre precedente era altresì pacifico che tali lavoratori avevano continuato a lavorare nella stessa struttura, svolgendo le stesse attività, per cui la loro messa in mobilità si era rivelata funzionale esclusivamente ad un passaggio di tutto il complesso ad una nuova proprietà, che ne aveva continuato la gestione imprenditoriale tale motivazione, articolata su presupposti di fatto pacifici ed immune da vizi di carattere logico-giuridico, in quanto sviluppata sulla base dei principi di legittimità sopra richiamati, si sottrae alle censure odierne, per cui il ricorso va rigettato le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo la ricorrente va, altresì, condannata al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese nella misura di Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.