Esclusa l’indennità sostitutiva della reintegra se il lavoratore illegittimamente licenziato è nel frattempo andato in pensione

In caso di dichiarazione di illegittimità del licenziamento e di impossibilità sopravvenuta dell’obbligazione reintegratoria per causa estranea al datore di lavoro, è esclusa anche l’indennità sostitutiva.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10721/19, depositata il 17 aprile. La vicenda. Il Tribunale di Bari dichiarava illegittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore e condannava la Banca datrice di lavoro al pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegrazione e al risarcimento del danno biologico quantificato secondo le tabelle milanesi in oltre 58mila euro. La Corte d’Appello adita dalla Banca dichiarava non dovuta l’indennità sostitutiva della reintegra, rimodulando le altre voci di risarcimento e indennità riconosciute. Gli eredi del lavoratore, deceduto nelle more del procedimento, ricorrono dinanzi alla Corte di Cassazione lamentando che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente calcolato il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, negando il diritto all’indennità sostitutiva della reintegra. Indennità sostitutiva. Il Collegio sottolinea che, pur essendo in linea di principio fondato il motivo di ricorso, in quanto la maturazione del diritto alla pensione come la relativa domanda non estingue il rapporto di lavoro finché non vi sia un atto idoneo, nel caso di specie la sentenza impugnata ha correttamente accertato che il lavoratore era effettivamente andato in pensione, escludendo dunque la possibilità di reintegra e di conseguenza l’indennità sostitutiva. Come infatti ha già affermato la Cassazione, l’obbligazione del datore di lavoro alla indennità pari a 15 mensilità di retribuzione prevista dall’art. 18, comma 5, stat. lav. costituisce obbligazione con facoltà alternativa, oggetto della quale è la reintegra nel posto di lavoro, la cui attualità è il presupposto necessario della facoltà di scelta del lavoratore . Conseguentemente, in tutti i casi in cui l’obbligazione reintegratoria sia divenuta impossibile per causa estranea al datore di lavoro, è esclusa anche l’indennità sostitutiva Cass. Civ. n. 14426/00 . Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 13 febbraio – 17 aprile 2019, n. 10721 Presidente Bronzini – Relatore Balestrieri Rilevato che Con ricorso al Pretore di Bari, FR.NI. chiedeva accertarsi il suo diritto al risarcimento del danno biologico e morale conseguente alle modalità di esecuzione in tesi stressanti della sua prestazione lavorativa presso il Banco di Napoli. Con successivo ricorso il Fr. impugnava il licenziamento intimatogli il 26.8.98 per superamento del periodo di comporto. Il Tribunale di Bari, all’esito di prova per testi e di c.t.u., con sentenza 8.6.09, dichiarava illegittimo il licenziamento e condannava San Paolo IMI succeduta al Banco di Napoli a pagare l’indennità sostitutiva della reintegrazione pari a 15 mensilità, oltre alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento sino al pagamento dell’indennità sostitutiva. Condannava inoltre la Banca a risarcire il danno biologico quantificato, secondo le tabelle milanesi, in Euro 58.820,00, oltre rivalutazione ed interessi. Avverso tale pronuncia proponeva appello la Banca resistevano gli eredi Fr. S. e N. , proponendo appello incidentale quanto al mancato riconoscimento del danno morale. Con sentenza depositata il 14.4.16, la Corte d’appello di Bari dichiarava non dovuta l’indennità sostitutiva della reintegra ritenuta impossibile per totale inabilità lavorativa , condannando la Banca al pagamento delle seguenti somme a indennità commisurata alla r.g.f. maturata dal licenziamento sino al novembre 2003 epoca del pensionamento , oltre accessori b Euro 84.039 a titolo di risarcimento del danno biologico e morale, oltre accessori c al pagamento dei 2/3 delle spese del doppio grado. Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso gli eredi Fr. , affidato a due motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste la Banca con controricorso. Considerato che Con il primo motivo gli eredi denunciano la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, L. n. 604 del 1966, commi 1 e 3, artt. 2118 e 2119 c.c. della L. n. 153 del 1969, lamentando che la Corte di merito avrebbe erroneamente calcolato la misura del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo e non avrebbe riconosciuto il diritto del dante causa all’indennità sostitutiva della reintegra. In sostanza si dolgono che la sentenza impugnata limitò il risarcimento del danno da licenziamento illegittimo alla data del novembre 2003 epoca della maturazione del diritto del dante causa al pensionamento non estendendola alla data dell’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegra richiesta sin dal ricorso di primo grado. Il motivo è teoricamente fondato, posto che la sola maturazione del diritto a pensione ed anche la sola domanda di pensione, non estingue affatto il rapporto di lavoro sin quando non vi sia un atto licenziamento, dimissioni o pensionamento idoneo a risolverlo. Tuttavia la sentenza impugnata mostra di avere accertato che dal novembre 2003 il Fr. oltre ad essere totalmente inabile era andato effettivamente in pensione, non essendo così più possibile la reintegra nè il pagamento dell’indennità sostitutiva cfr. Cass. n. 14426/2000 L’obbligazione del datore di lavoro alla indennità pari a quindici mensilità di retribuzione di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5 si qualifica come obbligazione con facoltà alternativa, oggetto della quale è la reintegra nel posto di lavoro, la cui attualità è presupposto necessario della facoltà di scelta del lavoratore ne consegue che in tutti i casi in cui l’obbligazione reintegratoria sia divenuta impossibile per causa non imputabile al datore di lavoro, non è dovuta neanche l’indennità sostitutiva . Nè può ritenersi che la sentenza di reintegra del 2009 possa aver travolto, nonostante la sua natura dichiarativa con effetto ex tunc, fatti estranei al rapporto di lavoro, quale il pensionamento del dipendente. 2.- Con secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione della L. n. 297 del 1982, oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dalla data di effettiva cessazione del rapporto 8.6.09 in luogo di quella del 31.8.98 data del licenziamento poi ritenuto illegittimo . Il motivo, contenente un contrasto sulle date come emergono dallo storico di lite è inammissibile posto che la questione venne già dichiarata inammissibile dal Tribunale per tardività e non risulta che tale statuizione sia stata oggetto di gravame. Deve al riguardo rimarcarsi che, nulla risultando al riguardo nella motivazione della sentenza impugnata, era onere della parte odierna ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente, ed in quali termini, ciò sarebbe avvenuto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione cfr. Cass. n. 7149/2015, Cass. n. 23675/2013 . Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.