Mutamento dal rito ordinario a quello speciale e violazione del diritto di difesa

Nel giudizio relativo all’impugnativa del licenziamento, laddove il giudice adito tratti la controversia con un rito diverso da quello previsto dalla legge, non vi è alcuna nullità del procedimento se la parte non dimostra che l’erronea adozione del rito abbia comportato una lesione del suo diritto di difesa.

Così la Cassazione con la sentenza n. 7598/19, depositata il 18 marzo. Il caso. Una lavoratrice proponeva ricorso innanzi al Giudice del lavoro del Tribunale di Foggia deducendo di aver prestato servizio per un hotel per più di tre anni e di essere stata licenziata oralmente e rivendicando il pagamento di € 38.772,34 a titolo di differenze retributive e indennità. Il Giudice di primo grado, ritenendo applicabile il c.d. rito Fornero, rigettava l’impugnativa del licenziamento e dichiarava inammissibile la domanda della dipendente. Quest’ultima proponeva reclamo davanti alla Corte d’Appello di Bari è anche in questa sede vedeva rigettata la sua domanda. La lavoratrice allora propone ricorso in Cassazione deducendo che la riforma Fornero l. n. 92/2012 è entrata in vigore il 29 giugno 2012 mentre il licenziamento verbale risale al 20 maggio 2011. Inoltre la ricorrente rileva che al licenziamento oggetto dell’impugnativa giudiziale non si applica l’art. 18 St. Lav., ma la disciplina generale delle obbligazioni e degli articoli 1218 e 1223 c.c Infine, la ricorrente lamenta che i Giudici di merito abbiano mutato il rito da ordinario a speciale, per poi dichiarare erroneamente ammissibile la domanda, poiché avente ad oggetto pretese economiche diverse da quelle connesse all’impugnativa del licenziamento, pur essendo la domanda correttamente introdotta secondo il rito ordinario. Non viene leso il diritto di difesa. I Giudici riprendono il disposto dell’art. 1, co. 47, della l. n. 92/2012 e rilevano che la ricorrente ha agito per far accertare l’inefficacia del licenziamento in un’impresa non assistita dal regime di stabilità reale e dalla sentenza impugnata non risulta che la lavoratrice avesse richiesto la tutela di cui all’art. 18 della l. n. 300/1970. I Giudici precisano che in caso di licenziamento intimato prima dell’entrata in vigore della riforma Fornero e non rientrante tra le ipotesi assoggettate a tutela reale, come il licenziamento orale intimato prima del 18 luglio 2012 da un datore di lavoro con meno di sedici dipendenti, l’impugnazione deve essere proposta ai sensi dell’art. 414 c.p.c Viene inoltre specificato che, laddove il giudice adito tratti la controversia con un rito diverso da quello previsto dalla legge, non vi è alcuna nullità del procedimento e della relativa sentenza se la parte non dimostra che l’erronea adozione del rito abbia comportato una lesione del suo diritto di difesa. A tal proposito la Corte rileva che nel caso di il mutamento del rito operato dal giudice di primo grado non ha prodotto alcuna lesione. Per questi motivi il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 9 gennaio – 18 marzo 2019, n. 7598 Presidente Nobile – Relatore Blasutto Rilevato in fatto 1. L’odierna ricorrente adiva il Giudice del lavoro del Tribunale di Foggia con ricorso ex art. 414 c.p.c., deducendo di avere lavorato alle dipendenze dell’Hotel Gabbiano s.r.l. con mansioni di cameriera ininterrottamente dal 1 gennaio 2008 al 20 maggio 2011, data nella quale deduceva di essere stata licenziata oralmente. Rivendicava il pagamento di Euro 38.772,34 a titolo di differenze retributive e indennità varie. 1.1. Il Giudice del lavoro, ritenuta l’applicabilità della L. n. 92 del 2012, procedeva alla conversione del rito ordinario nel c.d. rito Fornero quindi, in entrambe le fasi del primo grado, rigettava l’impugnativa del licenziamento e dichiarava l’inammissibilità della domanda vertente sulle pretese di natura economica avanzate ex art. 36 Cost 2. La Corte di appello di Bari rigettava il reclamo proposto dalla lavoratrice avverso la suddetta pronuncia, osservando - che, alla data di proposizione del ricorso settembre 2012 , era vigente la L. n. 92 del 2012, e che, pertanto, l’impugnativa del licenziamento doveva essere regolata dalla disciplina introdotta dalla nuova legge, anche se la cessazione del rapporto era avvenuta anteriormente - che doveva essere confermata la statuizione di inammissibilità della domanda concernente le differenze retributive, poiché la nuova legge non consente la proposizione cumulativa di domande di ordine economico fondate su titoli diversi dall’impugnativa del licenziamento - che la prova testimoniale e documentale non consentiva di ritenere dimostrato l’assunto della ricorrente, secondo cui il rapporto di lavoro sarebbe proseguito fino al 2011 e sarebbe cessato per licenziamento verbale, anziché per dimissioni rassegnate in data 30 novembre 2009. 3. Per la cassazione di sentenza la G. propone ricorso affidato a quattro motivi. Resiste con controricorso la s.r.l. Hotel il Gabbiano, con sede in omissis . 4. Con delibera del Commissario Straordinario dell’Ordine degli Avvocati di Bari del 5 ottobre 2017, la ricorrente è stata ammessa, in via anticipata e provvisoria, al patrocinio a spese dello Stato. 5. Il P.G. ha presentato conclusioni scritte, chiedendo che sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo la lavoratrice denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, commi da 47 a 68, art. 360 c.p.c., n. 3 per avere la Corte territoriale ritenuto la fattispecie assoggettata alla L. n. 92 del 2012, entrata in vigore 29 giugno 2012, mentre il licenziamento impugnato, intimato verbalmente, risaliva al 20 maggio 2011, molto tempo prima dell’entrata in vigore della c.d. riforma Fornero. Inoltre, al licenziamento orale oggetto dell’impugnativa giudiziale non si applica l’art. 18 Stat. lav., ma la disciplina generale delle obbligazioni e degli artt. 1218 e 1223 c.c., in materia di inadempimento. 2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48, e dell’art. 112 c.p.c. art. 360 c.p.c., n. 3 per avere i giudici di merito, previa commutazione del rito, da ordinario a speciale, erroneamente dichiarato inammissibile la domanda avente oggetto le pretese economiche diverse da quelle connesse all’impugnativa del licenziamento, pur essendo la domanda stata correttamente introdotta secondo il rito ordinario. 3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, e degli artt. 1218 e 1223 c.c., poiché, in difetto di forma scritta, il licenziamento non è idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro, con la conseguente persistenza dell’obbligo retributivo in capo al datore. La ditta datrice di lavoro non aveva mai comunicato il recesso, né aveva esibito alcun atto in proposito. 4. Il quarto motivo, connesso al precedente, denuncia omesso esame di fatti decisivi per il giudizio art. 360 c.p.c., n. 5 per non avere la sentenza debitamente considerato che il rapporto di lavoro, sorto sulla base di un contratto di lavoro a tempo parziale e indeterminato, non conteneva alcuna data di cessazione e che la prosecuzione del rapporto oltre la data delle presunte dimissioni comporta la loro implicita revoca e la conseguente tacita accettazione della controparte. 5. Il ricorso è inammissibile. 6. Quanto ai primi due motivi, che possono essere trattati congiuntamente, in quanto vertenti sulla medesima questione processuale, va premesso che, a norma della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 47, Le disposizioni dei commi da 48 a 68, si applicano alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dalla della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro . 6.1. La ricorrente ha agito per l’accertamento della inefficacia del licenziamento per vizio di forma in impresa non assistita dal regime di stabilità reale. Non risulta dalla sentenza impugnata che la lavoratrice avesse richiesto la tutela di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, nella versione di testo all’epoca vigente. Le conseguenze di tale inefficacia comportano, per le Sezioni unite di questa Corte sent. n. 508 del 1999 , che il recesso non produce effetti sulla continuità del rapporto e il lavoratore ha diritto non già alle retribuzioni, ma al risarcimento del danno, da determinarsi secondo le regole generali dell’inadempimento delle obbligazioni v. in tal senso, anche Cass. n. 22297 del 2017 . 6.2. La domanda verteva su un preteso licenziamento orale avvenuto in data anteriore al 18 luglio 2012. In caso di licenziamento intimato prima dell’entrata in vigore della riforma Fornero, e non rientrante, secondo il precedente regime, tra le ipotesi assoggettata a tutela reale, come il caso il licenziamento orale intimato prima del 18 luglio 2012 da un datore di lavoro con meno di 16 dipendenti, l’impugnazione deve essere proposta ai sensi dell’art. 414 c.p.c 7. Tanto premesso, deve tuttavia rilevarsi il difetto dei presupposti perché tale vizio processuale possa trovare ingresso, alla stregua del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui la trattazione della controversia, da parte del giudice adito, con un rito diverso da quello previsto dalla legge non determina alcuna nullità del procedimento e della sentenza successivamente emessa, se la parte non deduca e dimostri che dall’erronea adozione del rito le sia derivata una lesione del diritto di difesa tra le più recenti, Cass. n. 23682 del 2017 v. inoltre, Cass. n. 1201 del 2012 , con specifico riferimento al rispetto del contraddittorio, all’acquisizione delle prove e, più in generale, a quanto possa avere impedito o anche soltanto ridotto la libertà di difesa consentita nel giudizio ordinario Cass. n. 13639 del 2013 . 7.1. Non risulta in alcun modo allegato che il mutamento del rito operato dal giudice di primo grado abbia comportato ed eventualmente sotto quale profilo una lesione del diritto di difesa. Non vi sono deduzioni al riguardo, poiché il motivo di ricorso si limita a denunciare la violazione di ordine processuale senza altro aggiungere. 8. Il terzo motivo verte sulla soluzione offerta dai giudici di merito in ordine alle modalità e all’epoca di cessazione del rapporto di lavoro. La sentenza impugnata dà atto dell’esame della documentazione e delle risultanze della prova testimoniale. La denuncia dell’odierna ricorrente investe, sub specie violazione di legge, l’esito cui è pervenuta la Corte territoriale nell’esame e valutazione delle risultanze di causa. 8.1. Va ricordato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione Cass. n. 7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016 . È dunque inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di sussunzione - e dunque un errore interpretativo di diritto - su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa. Nel caso in esame, la Corte di appello ha dato conto delle fonti di prova utilizzate e il relativo apprezzamento non è affetto da alcun evidente vizio logico, mentre il ricorso in esame sollecita, nella forma apparente della denuncia di error in iudicando, un riesame dei fatti, inammissibile in questa sede. 9. Il quarto motivo denuncia un errore motivazionale relativo all’interpretazione del contenuto dell’originario contratto di lavoro stipulato tra le parti nel 2008. 9.1. Al riguardo, in limine va rilevato che il ricorso è carente dei requisiti di indicazione e di allegazione, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non risultando il documento ritenuto decisivo trascritto né in tutto né in parte. 9.2. Come più volte affermato da questa Corte ex plurimis, Cass. n. 26174 del 2014, n. 2966 del 2014, n. 15628 del 2009 cfr. pure Cass. Sez. Un. 28547 del 2008 Cass. n. 22302 del 2008, n. 4220 del 2012, n. 8569 del 2013 n. 14784 del 2015 e, tra le più recenti, Cass. n. 6556 del 14 marzo 2013, n. 16900 del 2015 , vi è un duplice onere a carico del ricorrente, quello di produrre il documento e quello di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile. 10. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi del D.M. n. 10 marzo 2014, n. 55, art. 2. 11. Risulta dagli atti che la ricorrente è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato e pertanto deve dichiararsi, allo stato, che la stessa non è tenuta, pur a fronte della inammissibilità dell’impugnazione, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio v. Cass. n. 7368 del 2017, n. 20920 del 2015, n. 18523 del 2014 . 11.1. Infatti, anche se la disposizione di cui all’art. 13 citato non prevede esenzioni per tale ipotesi, la norma deve essere interpretata, sistematicamente, pur sempre nel contesto del provvedimento legislativo in cui è stata inserita a seguito della modifica di cui alla L. n. 228 del 2012, art. 1, e il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 131, statuisce che Per effetto dell’ammissione al patrocinio e relativamente alle spese a carico della parte ammessa, alcune sono prenotate a debito, altre sono anticipate dall’erario. Tra quelle prenotate a debito rientra il contributo unificato nel processo civile e amministrativo v. Cass. n. 13935 del 2017 . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida della somma di Euro 3.500,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza allo stato dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma bis.