Dimissioni da contratto a termine: “chi va via, perde il posto all’osteria”

Le dimissioni di un lavoratore da un contratto a tempo determinato, facente parte di una sequenza di contratti similari succeduti nel corso degli anni, esplica i propri effetti anche con riferimento al rapporto di lavoro a tempo indeterminato accertato dal Giudice con sentenza dichiarativa di nullità del primo dei contratti a termine gli effetti delle dimissioni infatti non sono limitati alla sola anticipazione della data di scadenza del rapporto a termine, ma si estendono al rapporto a tempo indeterminato, frutto della conversione.

Questa la netta decisione espressa dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 7318/2019, depositata il 14 marzo 2019. Il caso. Per ben due volte, un dipendente della RAI rassegnava le proprie dimissioni dai contratti a termine che si erano succeduti negli anni, senza soluzione di continuità. Ad un certo punto, alla fine di una lunga carriera da precario” il lavoratore impugnava i contratti di lavoro per illegittima apposizione del termine, chiedendo la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato ed il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 32 l. 183/2010, c.d. Collegato Lavoro. Il Giudice di primo grado rigettava il ricorso del lavoratore ritenendo che la domanda di conversione fosse preclusa dalle rassegnate dimissioni. Diversamente, la Corte d’Appello riteneva che le dimissioni rassegnate nel corso di una serie di contratti a termine non impedivano tout court la conversione, essendo necessario accertare se la volontà di recedere dal rapporto di lavoro precario” sussistesse anche in relazione ad un rapporto di lavoro stabile. Le dimissioni, infatti, per loro natura, sono finalizzate a chiudere un vincolo in corso e pertanto non possono che riferirsi a quest’ultimo, a meno che, non via sia una dichiarazione che comprovi la volontà di dismettere anche il rapporto di lavoro a tempo indeterminato o comunque indici che consentano di ricostruire una precisa volontà in tal senso. Le dimissioni da un rapporto di lavoro a termine impediscono la conversione del contratto. La Corte di Cassazione non è dello stesso parere della Corte d’Appello romana e, richiamando precedenti decisioni, precisa che, in astratto, le dimissioni da un rapporto di lavoro a tempo determinato non escludono il diritto all’accertamento dell’illegittimità del termine apposto Cass., 1534/2016 . Tuttavia, bisogna considerare che le dimissioni sono un atto unilaterale, recettizio con effetto risolutivo e quindi preclusivo di un’azione intesa alla conservazione del medesimo rapporto. Da qui, il principio per cui le dimissioni da un contratto di lavoro a tempo determinato esplicano i propri effetti anche sul rapporto di lavoro a tempo indeterminato, creatosi a seguito di conversione giudiziale, sicché, una volta rassegnate le dimissioni, il lavoratore precario non può più pretendere la conversione del rapporto a termine in rapporto di lavoro stabile, né quindi il risarcimento del danno. Si consideri infatti che l’art. 32, l. n. 183/2010 stabilisce che nei casi di conversione del rapporto, spetta un risarcimento del danno quantificato tra le due e mezzo e le dodici mensilità. Pertanto le dimissioni che sono preclusive della conversione si rendono altresì preclusive del risarcimento del danno. Forse, quindi, al lavoratore converrebbe attendere la naturale scadenza del contratto a meno che certo! non si versi nelle ipotesi di giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 30 gennaio – 14 marzo 2019, n. 7318 Presidente Bronzini – Relatore Blasutto Rilevato in fatto 1. La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto stipulato tra B.M. e Rai s.p.a. con decorrenza dal 10 marzo 2004 e ha disposto la conversione in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, determinando in dieci mensilità della retribuzione globale di fatto il risarcimento del danno dovuto a parte appellante, oltre accessori, in applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32. 2. Il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma aveva rigettato il ricorso del lavoratore, ritenendo che per i primi quattro contratti riguardanti il periodo dal 29 maggio 2003 al 16 settembre 2005 la domanda fosse preclusa dal fatto che il lavoratore si era dimesso per motivi personali. Aveva poi giudicato legittima l’apposizione del termine ai contratti stipulati nel periodo successivo, in quanto conformi al D.Lgs. n. 368 del 2001. 3. La Corte di appello, accogliendo l’appello proposto dal B. , ha invece ritenuto che, qualora il lavoratore rassegni le proprie dimissioni nel corso di una serie di contratti a termine e successivamente agisca in giudizio al fine di ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto a ciascuno dei contratti e la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, non si può ritenere che le dimissioni impediscano la conversione, essendo necessario accertare se la volontà di recedere da un rapporto di lavoro a tempo determinato sussistesse anche in relazione ad un rapporto di lavoro stabile. 3.1. La Corte di appello ha poi osservato che nulla autorizza a dire che, interrompendo il contratto in essere per motivi personali, il ricorrente intendesse porre fine non solo al rapporto originario, ma anche a quello convertito a tempo indeterminato in conseguenza della illegittimità dei precedenti contratti a termine, consapevole che la conversione ex lege, che si riservava di far dichiarare in futuro, avrebbe operato retroattivamente e che in mancanza di una espressa dichiarazione che comprovi la volontà di dismettere anche il rapporto a tempo indeterminato o, in difetto di essa, in mancanza di indici sintomatici che consentano di ricostruire un’effettiva volontà in tal senso, le dimissioni non possono che produrre effetti limitatamente al vincolo in corso, alla cui chiusura sono espressamente finalizzate . 3.2. Ritenuto dunque che le rassegnate dimissioni non potessero incidere sulla conversione, ha ritenuto fondato il diritto del lavoratore stante il generico richiamo all’esigenza di produrre determinati programmi, ancorché nominativamente indicati, atteso che siffatta motivazione si esaurisce in una mera clausola di stile riproduttiva della formula legislativa . . 4. Per la cassazione di tale sentenza Rai s.p.a. propone ricorso affidato a tre motivi. Resiste con controricorso il B. . 5. La ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. inserito dal D.L. n. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1, lett. f, conv. in L. n. 25 ottobre 2016, n. 197 . Considerato in diritto 1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., art. 1362 c.c., comma 2, artt. 1366, 1175 e 1324 c.c. art. 360 c.p.c., n. 3 , rilevando che il B. per ben due volte aveva rassegnato le proprie dimissioni dai rispettivi contratti a termine e che tale manifestazione di volontà, non affetta da vizi di invalidità e comunque mai impugnata, non poteva non ritenersi idonea a determinare l’estinzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato eventualmente destinato ad essere ricostituito ex post per effetto della conversione ex tunc dei rapporti di lavoro instaurati con un termine finale. 2. Con il secondo motivo denuncia violazione ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, art. 360 c.p.c., n. 3 per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto l’illegittimità del termine apposto al contratto stipulato con decorrenza dal 10 marzo 2004, recante una chiara indicazione della causale giustificativa, al pari degli altri contratti successivamente stipulati. 3. Con il terzo motivo, proposto in via subordinata, lamenta violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 6, e dell’art. 115 c.p.c., art. 360 c.p.c., n. 4 , ai fini della riduzione del quantum risarcitorio, per avere la sentenza ritenuto generica la richiesta della Rai di applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 6. 4. Va accolto il primo motivo, con assorbimento dei restanti. 5. La questione posta con il primo motivo è quella di stabilire se le dimissioni del lavoratore comunicate durante un contratto a tempo determinato possano avere efficacia soltanto nell’ambito del contratto medesimo e non nell’accertando rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in assenza di prova della consapevolezza e volontà del lavoratore di interrompere non già il contratto a termine bensì il non ancora dichiarato rapporto di lavoro a tempo indeterminato. 6. Su tale questione la giurisprudenza di questa Corte si è già espressa recentemente in più occasioni, con orientamento - formatosi successivamente alla sentenza della Corte di appello di Roma oggetto del presente ricorso - da ritenere ormai consolidato. 6.1. Si è affermato che le dimissioni del lavoratore da un contratto a tempo determinato, facente parte di una sequenza di contratti similari succedutisi nel corso degli anni, esplica i propri effetti anche con riferimento al rapporto a tempo indeterminato accertato dal giudice con sentenza dichiarativa della nullità del primo dei contratti di lavoro a termine, salvo che il lavoratore non dimostri che le dimissioni sono viziate da errore, sotto forma di ignoranza della sopravvenuta conversione del rapporto, sicché da esse non derivano effetti limitati alla sola anticipazione della data di scadenza del rapporto a tempo determinato cui esse si riferiscono, ma anche sulla continuità del rapporto a tempo indeterminato, la cui esistenza sia accertata successivamente dal giudice Cass. n. 12856 del 2015 . 6.2. Più recentemente, è stato precisato che le dimissioni del lavoratore da un contratto a tempo determinato, facente parte di una sequenza di contratti similari succedutisi nel corso del tempo, esplicano i propri effetti sul rapporto intercorso tra le parti ma non elidono il diritto all’accertamento dell’invalidità del termine apposto al primo contratto di lavoro, permanendo l’interesse alle conseguenze di ordine economico che da tale nullità parziale scaturiscono Cass. 1534 del 2016 . 7. Secondo tale orientamento, la dichiarazione di recesso del lavoratore, una volta comunicata al datore di lavoro, è idonea ex se a produrre l’effetto della estinzione del rapporto, che è nella disponibilità delle parti, a prescindere dai motivi che ebbero a determinare le dimissioni a meno che queste non risultino viziate come atto di volontà e dalla eventuale esistenza di una giusta causa, posto che, anche in tal caso, l’effetto risolutorio si ricollega pur sempre, a differenza di quanto avviene per il licenziamento illegittimo o ingiustificato, ad un atto negoziale del lavoratore, che è preclusivo di un’azione intesa alla conservazione del medesimo rapporto v. Cass. n. 6342 del 2012 . Del resto, le dimissioni del lavoratore costituiscono un atto unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto nel momento in cui pervengono a conoscenza del datore di lavoro, indipendentemente dalla volontà di quest’ultimo v. Cass. n. 4391 del 2007 e Cass. n. 9046 del 2004 e, in quanto riferibili ad un diritto disponibile del lavoratore, sono sottratte alla disciplina dell’art. 2113 c.c. v. Cass. n. 12301 del 2003, Cass. n. 171 del 2009 e Cass. n. 18285 del 2008 . Incombe, poi, sul lavoratore, in base al principio di cui all’art. 1427 c.c., l’onere di chiedere l’annullamento delle dimissioni che siano viziate da errore, violenza o dolo. 7.1. Anche in altre sentenze di questa Corte, intervenute in fattispecie analoghe a quella in esame, sempre vertenti in contratti a termine stipulati dalla Rai, è stato osservato che la dichiarazione di recesso del lavoratore, una volta comunicata al datore di lavoro, è idonea ex se a produrre l’effetto della estinzione del rapporto, che è nella disponibilità delle parti, a prescindere dai motivi che abbiano determinato le dimissioni a meno che queste ultime non siano inficiate dalla minaccia di licenziamento e risultino perciò viziate come atto di volontà e dalla eventuale esistenza di una giusta causa, atteso che, anche in tal caso, l’effetto risolutorio si ricollega pur sempre, a differenza di quanto avviene per il licenziamento illegittimo o ingiustificato, ad un atto negoziale del lavoratore, che è preclusivo di un’azione intesa alla conservazione del medesimo rapporto Cass. n. 175 del 2014 e n. 2751 del 2014, che richiamano Cass. n. 6342 del 2012, Cass. n. 10193 del 2002 . 7.2. In una causa in cui un dipendente Rai assumeva che non vi era alcuna volontà di risolvere, attraverso le dimissioni, il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la cui natura ed esistenza non erano state ancora giudizialmente accertate e rispetto al quale, dunque, le dimissioni non potevano spiegare effetti, questa Corte ha ribadito il suddetto orientamento, osservando che l’effetto risolutorio si ricollega pur sempre, a differenza di quanto avviene per il licenziamento illegittimo o ingiustificato, ad un atto negoziale del lavoratore, che è preclusivo di un’azione intesa alla conservazione del medesimo rapporto Cass. n. 2751 del 2014, che richiama Cass., n. 6342 del 2012 . 8. Per tale assorbente motivo, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che, quale giudice di rinvio, dovrà riesaminare il merito della causa, in relazione all’appello proposto dal B. , ivi comprese eventuali questioni rimaste assorbite nella soluzione interpretativa accolta nella sentenza di appello ed ora annullata, essendo travolto dall’errore di diritto l’accertamento di fatto che ne è correlato. 9. Tenuto conto dell’accoglimento del ricorso, non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese.