Pacchi pesanti caricati, scaricati e trasportati manualmente: risarcito il dipendente

Confermata la condanna dell’azienda. Evidente per i Giudici il fatto che essa non abbia posto in essere azioni adeguate a migliorare la situazione del lavoratore. Quest’ultimo è stato obbligato per 12 anni a sollevare e trasportare manualmente i pacchi.

Poco agevoli ed eccessivamente faticose le operazioni di carico e scarico dei pacchi della corrispondenza. Consequenziale la condanna dell’azienda a versare oltre 2mila e 500 euro al dipendente. Tale cifra rappresenta un indennizzo per l’invalidità temporanea da lui sofferta a seguito dei danni subiti a causa delle condizioni di lavoro Cassazione, ordinanza n. 7171/2019, Sezione Lavoro, depositata il 13 marzo . Sforzi. Sconfitta sia in Tribunale che in Corte d’Appello per l’azienda – ‘Poste Italiane’ –. Per i Giudici sono acclarate le difficili condizioni di lavoro cui era sottoposto il dipendente. A quest’ultimo erano affidate le operazioni di carico e scarico dei pacchi della corrispondenza , operazioni da svolgere, però, con l’ausilio di carretti a traino o a spinta . Peraltro, negli uffici di destinazione non vi erano carrelli , e, viene osservato, il peso dei plichi variava ma non era osservata la direttiva di non superare i 30 chilogrammi per ogni pacco , limite, questo, spesso superato . Per completare il quadro, poi, viene evidenziato che per ogni turno le uscite erano molteplici presso i vari uffici postali . Tutti questi elementi sono sufficienti, secondo i giudici, per ritenere colpevole la società datrice di lavoro per la condotta omissiva tenuta. In sostanza, essa non ha provveduto a fornire adeguate condizioni di lavoro al dipendente, così da evitargli sforzi fisici troppo frequenti e prolungati che ne avevano sollecitato, in particolare, la colonna vertebrale . Indennizzo. Inutile, ora, il ricorso proposto in Cassazione dai legali di ‘Poste Italiane’. Anche per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, il dipendente ha diritto all’indennizzo stabilito in Appello e quantificato in 2mila e 538 euro e 90 centesimi. Decisivo, e sufficiente, è il richiamo alla condotta omissiva della società, la cui organizzazione lavorativa , viene osservato, ha comportato per il dipendente, per un arco di tempo di oltre dodici anni, il continuo ricorso al sollevamento manuale di carichi costituiti dai pacchi postali ed al trasporto manuale dei carrelli con cui i pacchi erano movimentati . Secondario è il riferimento al peso di ciascun carico . Ciò che conta, secondo i giudici, è che, per quanto previsto dalla normativa in materia, in relazione alle esigenze connesse ad attività che comportavano un rischio dorso-lombare , il lavoratore è stato sottoposto a sforzi fisici troppo frequenti e prolungati con conseguente sollecitazione della colonna vertebrale . Nessun dubbio, quindi, sulla connessione tra le condizioni di lavoro e il problema lombalgico lamentato dal dipendente di ‘Poste’. E l’azienda, aggiungono i giudici, non può giustificarsi mettendo sul tavolo l’assolvimento degli obblighi concernenti la sottoposizione del lavoratore a visite di controllo o l’osservanza della normativa in tema di idoneità alle mansioni . Per chiudere il cerchio, infine, viene anche sancita la giustezza della cifra indicata per l’indennizzo. Su questo fronte è stata applicata correttamente la personalizzazione del danno , tenendo presente il disagio patito dal lavoratore in relazione ad attività sportive normalmente praticate , concludono i magistrati della Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 9 gennaio – 13 marzo 2019, n. 7171 Presidente Nobile – Relatore Arienzo Rilevato che 1. con sentenza in data 11.8.2014, la Corte di appello di Torino respingeva il gravame proposto da Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città, che, in accoglimento del ricorso proposto da Gi. Pi., aveva condannato la società al pagamento, in favore del lavoratore, della somma di Euro 2538,90, oltre interessi legali, a titolo indennizzo per l'invalidità temporanea dal predetto sofferta in relazione ai danni subiti in conseguenza delle condizioni lavorative cui era stato sottoposto 2. la Corte osservava che l'istruttoria orale svoltasi in primo grado aveva confermato le circostanze indicate nei capitoli di prova, evidenziando che le operazioni di carico e scarico dei pacchi della corrispondenza, cui era addetto il Pi. nella qualità di furgonista, erano svolte con l'ausilio di carretti a traino o a spinta, che negli uffici di destinazione non vi erano carrelli, che il peso dei plichi variava, ma che di fatto non era osservata la direttiva di non superiore i 30 Kg. per ciascuno e che, anzi, tale limite era spesso superato, che per ogni turno le uscite erano molteplici presso i vari uffici postali e che tutto ciò confortava le valutazioni espresse dal Tribunale quanto alla condotta omissiva posta in essere dalla società, in violazione della clausola generale di cui all'articolo 2087 c.c. 3. le censure erano respinte anche in relazione agli ulteriori rilievi della società, che non aveva evidenziato errori diagnostici o contraddizioni nello sviluppo dell'esame e nelle conclusioni del CTU medico legale, il quale aveva rilevato esiti patologici quali spondilodiscoartrosi e anterolistesi, rispetto ai quali - avuto riguardo all'indennizzo prestato dall'INAIL per la malattia professionale, maggiore di quello da riconoscere a titolo di risarcimento del danno da parte di Poste, pure a seguito di personalizzazione - residuava solo l'indennizzo giornaliero per inabilità temporanea, liquidato correttamente dal Tribunale 4. di tale decisione domanda la cassazione Poste Italiane s.p.a., affidando l'impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il Pi Considerato che 1. con il primo motivo, è dedotto omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ex articolo 360, n. 5, c.p.c, in relazione all'affermata responsabilità, ai sensi dell'articolo 2087 c.c., con riferimento agli artt. 47 e 48 D.P.R. 626/94, sostenendosi che la valutazione di alcuni fatti storici, considerati nel loro insieme, portava a concludere che la riconosciuta malattia professionale non era derivata da condizioni di insicurezza o insalubrità dell'ambiente lavorativo, essendo risultato documentalmente provato che il Pi. era stato regolarmente sottoposto a sorveglianza sanitaria, come prescritto dalla normativa vigente, e che lo stesso era stato sempre applicato a mansioni compatibili con il suo stato di salute e di idoneità al lavoro, anche quando il medico competente ne aveva accertato una parziale inidoneità 2. si evidenzia che la sentenza non spiega perché ha ritenuto le misure precauzionali adottate inadeguate, non considerando che all'epoca vi erano sistemi di sicurezza alternativi a quelli adottati e che la documentazione fotografica allegata e le dichiarazioni rese nel corso dell'istruttoria avevano fornito una chiave di lettura diversa da quella contenuta in sentenza, in quanto la movimentazione dei carichi era caratterizzata dall'essere ciascun carico riferito ad un peso massimo che non superava il limite previsto dalla normativa vigente si assume che il giudice del gravame non avrebbe considerato se i carrelli in uso fossero non conformi alle normative vigenti e non aveva disposto c.t.u. per accertare l'entità dello sforzo richiesto per la spinta o trazione del carrello, che consentissero di mandare assolta Poste da qualsiasi responsabilità contrattuale ex articolo 2087 c.c. 3. si rileva ulteriormente che la Corte ha del tutto ignorato quanto disposto dall'Allegato VI al D.P.R. 626/94, relativo alla previsione di un peso del carico nei limiti dei 30 Kg. ed alle caratteristiche dello stesso, anche in relazione allo sforzo fisico richiesto ed alle esigenze connesse all'attività svolta. Questa era stata conforme alle prescrizioni normative anche con riguardo al predisposto documento di valutazione dei rischi e sicurezza ed alle misure organizzative adottate per ridurre al minimo i rischi di danni alla salute attraverso l'adibizione del Pi. a compiti compatibili con l'accertato stato di parziale idoneità fisica del predetto 4. con il secondo motivo, si lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 c.c., 48 D.P.R. 626/94, 1176 e 1218 c.c., contestandosi la mancanza di ogni considerazione circa la sussistenza del necessario nesso causale tra la patologia e l'inadempimento del datore in base ai principi dettati dalle norme da ultimo citate, evidenziandosi come la riconosciuta sussistenza di una patologia non equivalesse a provarne la riconducibilità a colpa datoriale e ponendosi richiamo a circostanze quali l'assenza dal lavoro per malattia, per 447 giorni, del lavoratore, nell'arco temporale intercorrente tra il 2006 ed il 2009, ovvero a eventi traumatici che avrebbero scatenato la patologia, non connessi all'attività lavorativa svolta 5. motivazione apparente, ex articolo 360, n. 5, c.p.c. e falsa applicazione dell'articolo 2087 c.c. in relazione al criterio di quantificazione del danno sono ascritte alla decisione impugnata nel terzo motivo, assumendosi di avere sempre contestato i conteggi di controparte, sia quanto alla personalizzazione del danno, sia quanto al danno morale, sia quanto al danno biologico per invalidità temporanea 6. il ricorso, che presenta anche profili di inammissibilità di seguito evidenziati, è infondato 7. le critiche formulate nel primo motivo attingono il merito della valutazione compiuta dal giudice del gravame e presuppongono una diversa combinazione degli elementi probatori rivenienti anche dalle testimonianze rese nel corso dell'istruttoria orale 8. peraltro, la sentenza attribuisce valore non dirimente all'osservanza delle norme relative ai limiti di peso di ciascun carico, essendo stata conferita rilevanza, nell'ambito del giudizio complessivo, correttamente effettuato, all'omissione di Poste la cui organizzazione lavorativa aveva comportato per il Pi., per un arco di tempo di oltre 12 anni, il continuo ricorso al sollevamento manuale di carichi costituiti dai pacchi postali ed al trasporto manuale dei carrelli con cui i pacchi erano movimentati è stato osservato che, al di là del peso di ciascun carico, per quanto previsto dalla stessa normativa in materia, in relazione alle esigenze connesse ad attività che comportavano un rischio dorso - lombare, il lavoratore era stato esposto a sforzi fisici, troppo frequenti e prolungati, che ne avevano sollecitato, in particolare, la colonna vertebrale 9. la Corte di appello ha, poi, evidenziato che l'esordio acuto lombalgico era compatibile temporalmente con tale ricostruzione e che nessuna critica all'elaborato del consulente aveva avanzato la società, che non aveva rilevato errori diagnostici o contraddizioni nello sviluppo dell' esame della situazione personale del Pi. 10. quanto al secondo motivo, non rileva il dedotto assolvimento, da parte del datore, degli obblighi concernenti la sottoposizione del dipendente a visite di controllo sanitario o l'osservanza della normativa in tema di idoneità lavorativa alle mansioni svolte, avendo il giudice del gravame osservato come nessuna contestazione fosse stata effettuata in ordine alle conclusioni ed all'esame condotto dal C.t.u. e non potendo conferirsi rilevanza nella presente sede a circostanze mai indicate nelle fasi di merito, che, peraltro, non assumono valore in termini di decisività rispetto ad una difforme ricostruzione che conduca ad un esito del giudizio diverso da quello cui sono pervenuti i giudici del merito 11. con riferimento al terzo motivo, in primo luogo non sono trascritte, in ossequio al principio di specificità dei motivi di ricorso, le contestazioni che la società avrebbe asseritamente avanzato rispetto a tali profili 12. per quanto attiene alla personalizzazione del danno, la sentenza impugnata è conforme ai principi affermati da questa Corte, secondo cui In tema di liquidazione del danno non patrimoniale per la ridotta o soppressa funzionalità di un arto in seguito ad una ingiusta lesione subita, la parte che chieda il risarcimento per pregiudizi ulteriori rispetto a quelli già forfettariamente compensati con la liquidazione attraverso i meccanismi tabellari, deve allegare altri pregiudizi di tipo esistenziale, individuando specifiche circostanze che incidano su aspetti eccezionali e non semplicemente quotidiani della vita, tali, per caratteristiche, dimensione od intensità ed in relazione alle proprie particolari condizioni di vita, da porli al di fuori delle conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età 13. nella specie, pertanto, non appaiono conferenti il riferimento al riconoscimento costituzionale dell'interesse violato ed alla gravità della lesione invalidante poiché, per quanto riguarda il primo, esso consente di estendere la tutela risarcitoria al danno non patrimoniale in difetto di un'espressa previsione di legge, mentre il secondo è soltanto uno dei parametri utilizzati nell'attribuzione del valore tabellare del danno non patrimoniale, sotto il profilo del danno morale soggettivo cfr. Cass. 4.10.208 n. 24155, Cass. 7.5.2018 n. 10912, da ultimo, tra le altre 14. nella specie sono stati allegati ritualmente elementi che comprovavano il disagio patito in relazione ad attività sportive normalmente praticate e risultano correttamente applicate le tabelle milanesi di liquidazione dei danni 15. quanto al danno biologico temporaneo la censura è contraddetta da quanto affermato da questa Corte secondo cui In tema di responsabilità del datore di lavoro per il danno da inadempimento l'indennizzo erogato dall'INAIL ai sensi dell'articolo 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000 non copre il danno biologico da inabilità temporanea, atteso che sulla base di tale norma, in combinato disposto con l'articolo 66, comma 1, n. 2, del D.P.R. n. 1124 del 1965, il danno biologico risarcibile è solo quello relativo all'inabilità permanente cfr. Cass. 2.3.2018 n. 4972 . 16. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo 17. sussistono le condizioni di cui all'articolo 13, comma 1 quater, D.P.R. 115 del 2002 P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell'articolo 13, comma Ibis, del citato D.P.R