L’onere della prova in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo

In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro deve dimostrare la sussistenza delle ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro che abbiano determinato il mutamento organizzativo e la conseguente soppressione di quella specifica posizione lavorativa.

Così la Corte di Cassazione la sentenza n. 4946/19, depositata il 20 febbraio. La vicenda. Il Tribunale di Bologna rigettava la domanda proposta da una lavoratrice licenziata per giustificato motivo oggettivo. La decisione veniva confermata anche in appello dove si riconosceva la sussistenza di una crisi economica dell’azienda che aveva comportato la soppressione del ruolo ricoperto dalla soccombente ed uno snellimento complessivo della struttura. La vicenda giunge dunque dinanzi ai Supremi Giudici. Legittimità del licenziamento. Secondo la consolidata giurisprudenza ai fini della legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa . Sarà dunque il datore di lavoro a dover dimostrare la sussistenza delle ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro che abbiano determinato il mutamento organizzativo, dimostrazione che però nel caso di specie non è stata fornita dalla parte datoriale. Aggiunge inoltre la Corte che, con riferimento all’obbligo di repechage, la sentenza impugnata risulta erronea nella parte in cui fa gravare sulla lavoratrice l’onere di dimostrare che esistevano nell’impresa altre posizioni lavorative in cui avrebbe potuto essere ricollocata. Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 27 novembre 2018 – 20 febbraio 2019, n. 4946 Presidente Bronzini – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Bologna, C.E. , premesso di aver lavorato per la Datalogic s.p.a. dapprima, nel 2008, come stagista, quindi con contratto di lavoro a termine e quindi, dal 1.3.11, in virtù di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato inquadrata nel VI livello del c.c.n.l. di categoria , deduceva di essere stata licenziata per giustificato motivo oggettivo in data 17.3.14 per asserita soppressione del ruolo di HR Generalist Automation, da ultimo ricoperto, chiedendo dichiararsi la natura subordinata del rapporto ab origine con le conseguenti differenze retributive quantificate in Euro.32.351,34 e la nullità del licenziamento in quanto discriminatorio e comunque privo del dedotto giustificato motivo oggettivo dedotto, non provvisto peraltro di alcuna prova circa l’assolvimento dell’obbligo di repechage, con reintegra nel suo posto di lavoro ed il versamento delle retribuzioni maturate dal licenziamento all’effettiva reintegra. Radicatosi il contraddittorio, il Tribunale rigettava la domanda sia con ordinanza del 25.5.15, sia con sentenza n. 124/16. Avverso tale sentenza proponeva reclamo la C. lamentando una errata valutazione delle risultanze istruttorie e l’insussistenza del g.m.o. di licenziamento in uno al mancato assolvimento dell’obbligo di repechage. Con sentenza depositata il 9.6.16, la Corte d’appello di Bologna, nella resistenza della società, rigettava il reclamo, condannando la C. al pagamento delle spese di lite. Riteneva la Corte che sussistesse una crisi economica dell’azienda, non smentita dalla documentazione della lavoratrice, che comportò uno snellimento della struttura e soppressione del posto di lavoro de quo, con accorpamento a livello centrale delle relative funzioni, ritenendo in sostanza provata l’insussistenza di altre posizioni lavorative utili in azienda. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la C. , affidato a cinque motivi, poi illustrati con memoria. La Datalogic s.p.a. ha depositato unicamente procura speciale. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, della, artt. 1175 e 1375 c.c Lamenta che la corte felsinea valutò erroneamente la recessione aziendale, in quanto riferita a periodo trimestre dell’anno precedente e non già al primo trimestre dell’anno 2014, essendo il licenziamento dell’aprile 2014. 2.- Con secondo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 , e cioè l’effettiva situazione economico-finanziaria della società al momento del licenziamento, come risultava dai documenti prodotti, evidenzianti che nel primo trimestre 2014 il Gruppo Datalogic non era affatto in forte recessione, bensì in fase di incremento degli utili. 3.- Con il terzo, quarto e quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., L. n. 604 del 1966, artt. 3 e 5, L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 1, artt. 1175 e 1375 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 18, e art. 2697 c.c., oltre ad omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente sussistente un giustificato motivo di licenziamento, senza considerare l’insussistenza delle ragioni addotte, il nesso di causalità con la propria posizione lavorativa ed il mancato assolvimento dell’obbligo di repechage, il cui onere della prova ricadeva sulla società e non sulla lavoratrice. 4.- I motivi, che per ragioni di connessione possono congiuntamente esaminarsi, sono fondati. Deve innanzitutto rilevarsi che la sentenza impugnata risulta per lo più impegnata a confutare argomenti e documenti proposti dalla C. circa le condizioni economiche ed organizzative della società al momento del licenziamento, piuttosto che accertare gli effettivi requisiti che, secondo l’ormai stabile giurisprudenza di questa Corte, legittimano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, con ciò effettivamente violando il canone di cui all’art. 2697 c.c A tal riguardo vanno rammentati i principi espressi da questa Corte in materia Ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa , ex aliis Cass. n. 25201/16, n. 10699/17, n. 24882/17, etc. Ovviamente la prova della sussistenza delle ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro che abbiano determinato un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa grava interamente sul datore di lavoro L. n. 604 del 1966, ex art. 5. Nella specie non risulta un adeguato accertamento delle suddette ragioni produttive organizzative, né gli elementi al riguardo forniti dall’azienda. Ciò basta per l’accoglimento del ricorso e la cassazione ella sentenza impugnata. A ciò può aggiungersi che anche riferimento all’obbligo di repechage, la sentenza nuovamente risulta far gravare sulla lavoratrice un onere di indicare, se non di dimostrare, che esistevano nell’impresa altre posizioni lavorative in cui la ricorrente avrebbe potuto essere utilmente ricollocata ritenendo non pertinenti e/o irrilevanti i documenti al riguardo prodotti dalla C. , laddove tale onere grava invece solo sul datore di lavoro Cass. n. 5592/16, Cass. n. 24882/17, etc. . Il ricorso deve pertanto accogliersi, la sentenza impugnata cassarsi con rinvio ad altro giudice in dispositivo indicato, per l’ulteriore esame della controversia alla luce dei principi esposti, oltre che per la regolamentazione delle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.