Chi ha diritto di richiedere il TFR accantonato dal datore di lavoro ma non versato ad un Fondo?

Nell’ipotesi di omesso versamento da parte del datore di lavoro del trattamento di fine rapporto accantonato in favore del fondo di previdenza complementare scelto dal lavoratore, al fine di individuare il soggetto che abbia diritto ad insinuare allo stato passivo la pretesa creditoria deve essere preliminarmente accertata la natura e la funzione dello strumento negoziale di volta in volta utilizzato dalle parti, in virtù del favor per l’autonomia privata lasciato alle stesse in ambito previdenziale.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 4626 depositata il 15 febbraio 2019. Il caso. Il Tribunale di Nocera Inferiore accoglieva l’opposizione di un lavoratore ed ammetteva al passivo del fallimento del proprio precedente datore di lavoro, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751- bis c.c., il credito da lui vantato per trattamento di fine rapporto maturato e non versato alla forma di previdenza complementare prescelta. Ad avviso del Collegio, infatti, l’accantonamento delle quote del trattamento di fine rapporto maturato dal lavoratore presso il fondo di previdenza complementare doveva essere qualificata, sulla base della documentazione prodotta, come delegazione di pagamento - e non, come invece ritenuto dal fallimento, cessione di credito futuro - soggetta quindi a scioglimento per il fallimento del mandatario con diritto del lavoratore alla restituzione delle somme accantonate e non versate alla forma pensionistica complementare . Avverso tale pronuncia il fallimento proponeva ricorso alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. La disciplina della previdenza complementare premia l’autonomia privata. In particolare ad avviso del ricorrente, per quanto qui interessa, la manifestazione di volontà del lavoratore di aderire ad una forma pensionistica complementare vincola il datore di lavoro e genera rispetto a quest’ultimo una cessione di un credito futuro per la quale, in caso di fallimento, il Fondo di Garanzia dell’INPS si sostituisce ad esso provvedendo ad integrare presso la forma di previdenza complementare la quota di TFR non versata, con il che unico creditore nei confronti del fallimento per le somme in commento sarebbe il solo Fondo di Garanzia, in nessun caso il lavoratore. Sotto altro profilo, inoltre, il medesimo ricorrente si doleva di come i Giudici di merito avessero affermato la sussistenza di una delegazione di pagamento sulla base di un documento che, nel suo avviso, risultava del tutto illeggibile e quindi inconferente ai fini probatori. Motivi che tuttavia non vengono nemmeno valutati dalla Cassazione la quale tuttavia, prima di dichiarare inammissibile il ricorso, svolge una sintesi della vigente disciplina in materia di previdenza complementare. In particolare, la Corte rileva come la caratteristica peculiare della previdenza complementare, ancorché funzionalizzata, è rappresentata dall’autonomia posto che l’adesione alle forme pensionistiche complementari [] è libera e volontaria” art. 1, comma 2, d.ls. 252/2005 e che le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari stabiliscono le modalità di partecipazione [.]” art. 3, comma 3 . Le modalità di conferimento del TFR ad un fondo viene quindi liberamente determinata dalle parti. Alla luce di tale principio, ed in considerazione della atecnicità dell’espressione conferimento utilizzata dal Legislatore, la forma di tale conferimento – delegazione di pagamento o cessione di credito futuro, con effetti diversi in ordine alla titolarità del credito nei confronti del fallito – deve essere quindi valutata caso per caso sulla base dell’assetto negoziale voluto dalle parti, risultando queste ultime del tutto libere di regolare i propri assetti con le modalità ritenute più opportune. Nel caso di specie, tuttavia, il fallimento aveva completamente omesso la specifica indicazione, prima ancora della trascrizione, del modulo negoziale utilizzato dalle parti . Lacuna che, nell’avviso della Cassazione, rende il ricorso del tutto generico e come tale radicalmente inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 dicembre 2018 – 15 febbraio 2019, n. 4626 Presidente Napoletano – Relatore Patti Fatti di causa Con decreto del 1 marzo 2017, il Tribunale di Nocera Inferiore ammetteva C.V. allo stato passivo del Fallimento omissis s.r.l. in liquidazione, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751 bis c.c., n. 1, per il credito di Euro 9.248,62, a titolo di T.f.r. maturato e accantonato, ma non versato al Fondo Arca Previdenza così accogliendo l’opposizione del lavoratore alla sua esclusione dallo stato passivo, sul presupposto del difetto di legittimazione all’insinuazione, in favore esclusivo del fondo di previdenza Arca sgr s.p.a. cessionario, in base alla previsione del D.Lgs. n. 205 del 2005, artt. 11 e 12. Il Tribunale riteneva invece che l’accantonamento datoriale delle quote di T.f.r. maturato dal lavoratore presso il fondo di previdenza complementare dovesse essere qualificato, sulla base di idonea documentazione comprovante, alla stregua di una delegazione di pagamento, soggetta a scioglimento per il fallimento del mandatario, comportante il diritto del lavoratore alla restituzione delle somme accantonate. Con atto notificato il 31 marzo 2017, il Fallimento ricorreva per cassazione con due motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso, poi comunicando comparsa di costituzione di nuovo difensore. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, il Fallimento ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 252 del 2005, art. 8, comma 7, e L. Fall., art. 78, per l’irrevocabilità, se non in forza di una manifestazione di volontà del lavoratore, della sua scelta di adesione al fondo di previdenza complementare e pertanto della sua sostanziale definitività, confermata anche dalle modalità di gestione e portabilità, ai sensi dell’art. 14, D.Lgs. cit. , comportante il conferimento dal datore di lavoro delle quote di T.f.r. trattenute presso di esso, sulla base non tanto di una delega di pagamento, quanto di una cessione di credito futuro, per la quale, in caso di insolvenza del datore di lavoro, il Fondo di Garanzia dell’Inps si sostituisce ad esso, provvedendo ad integrare presso il fondo di previdenza complementare la quota di T.f.r., trattenuta al lavoratore ma non versata, con la conseguenza del trasferimento della disponibilità delle somme dal lavoratore al fondo. 2. Con il secondo, il Fallimento ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 99, L. Fall., artt. 115 e 116, per la carenza di un valido riscontro probatorio, quand’anche ritenuta corretta la qualificazione del rapporto come delegazione di pagamento dal lavoratore al datore, sulla sua effettiva esistenza in base alla copia di documento pressoché illeggibile prodotta, con un cattivo governo dal Tribunale dei propri poteri istruttori e di prudente apprezzamento delle prove. 3. I due motivi possono essere congiuntamente esaminati, per evidenti ragioni di stretta connessione. 3.1. Essi sono inammissibili. 3.2. Per un corretto inquadramento della controversia, giova premettere come la disciplina delle forme pensionistiche complementari sia stata organicamente riformata rispetto alla previgente contenuta nel D.Lgs. n. 124 del 1993, in attuazione della delega prevista dalla L. n. 421 del 1992 nella prospettiva di una complessiva armonizzazione e razionalizzazione del settore, dal D.Lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, sulla base della legge delega n. 243 del 2004 sorretta dell’obiettivo dichiarato di incrementare l’entità dei flussi di finanziamento alle forme pensionistiche complementari . Nel suo art. 1, esso afferma al primo comma la finalità di integrare, appunto in via complementare, i trattamenti erogati dal sistema obbligatorio pubblico, in modo da assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale . In realtà, si tratta di una conferma della finalità già prevista dalla L. n. 421 del 1992, art. 3, lett. v , rimasta invariata nella formulazione e valorizzata dalla Corte costituzionale, che ha sottolineato come essa renda evidente la scelta legislativa di istituzione di un collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e complementare, collocando questa nel sistema dell’art. 38 Cost. Corte cost. 28 luglio 2000, n. 393, in adesione alla cd. teoria della funzionalizzazione della previdenza complementare , già affermata da Corte cost. 8 settembre 1995, n. 421, sulla base della natura, oltre che della funzione, prettamente previdenziale dei fondi pensione . La caratteristica peculiare della previdenza complementare, ancorché funzionalizzata, è rappresentata dall’autonomia, posto che L’adesione alle forme pensionistiche complementari è libera e volontaria D.Lgs. n. 252 del 2005, art. 1, comma 2 e che Le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari , nella varia modulazione negoziale collettiva e regolamentare stabilita dall’art. 3, comma 1, D.Lg. cit., stabiliscono le modalità di partecipazione, garantendo la libertà di adesione individuale art. 3, comma 3, D.Lg. cit. . In estrema sintesi ed esclusivamente ai fini qui d’interesse, la disciplina delle forme pensionistiche complementari ne stabilisce un finanziamento attuabile mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro o del committente e attraverso il conferimento del T.f.r. maturando. art. 8, comma 1 . Esse costituiscono risorse che i fondi di pensione gestiscono secondo le modalità previste dall’art. 6, e provvista per le prestazioni erogate a norma dell’art. 11. A temperamento della rigidità degli effetti conseguenti alla scelta di adesione al fondo previsti dall’art. 11 che vincola la partecipazione individuale fino alla maturazione, a norma del secondo comma, dei requisiti per la riscossione delle prestazioni pensionistiche, salva la previsione statutaria o regolamentare del fondo della possibilità di riscatto della posizione individuale ai sensi dell’art. 14, comma 1 con facoltà di ottenere anticipazioni della posizione individuale maturata, a norma dell’art. 11, comma 7 e in funzione incentivante la partecipazione dei lavoratori, l’art. 14, comma 6, prevede la portabilità dell’intera posizione individuale, ossia la facoltà del suo trasferimento ad un’altra forma, così potendo essi scegliere le più convenienti opportunità di impiego nel risparmio previdenziale. 3.3. La questione più delicata, che interessa il caso di specie, è indubbiamente quella del conferimento del T.f.r., che comporta l’adesione alle forme pensionistiche complementari, nella duplice modalità espressa o tacita art. 8, comma 7, lett. a , b . Ed infatti, nell’ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che abbia provveduto ad accantonare il T.f.r. conferito al fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, si pone il problema di individuare, nell’ambito del rapporto associativo tra lavoratore e fondo, intermediato dal datore di lavoro quale debitore delle quote tempo per tempo maturate, il soggetto che abbia diritto ad insinuare allo stato passivo la pretesa creditoria tenuto anche conto della previsione di intervento del Fondo di Garanzia dell’Inps, a norma del D.Lgs. n. 80 del 1992, art. 5, comma 2, nel caso di omissione contributiva del datore di lavoro soggetto a procedura concorsuale . E ciò anche per l’espressione atecnica di conferimento , che deve essere qualificata giuridicamente e che, se si vuole, costituisce un sintomo ulteriore, sotto il profilo della libertà di selezione dello strumento negoziale, del favor per l’autonomia privata in tale ambito previdenziale rispetto a quello obbligatorio. Sicché, per una tale qualificazione della posizione individuale del lavoratore rispetto al fondo cui prestata la propria adesione, liberamente negoziabile tra le parti, occorre accertare la natura e la funzione del mezzo di volta in volta utilizzato se una delegazione di pagamento, con incarico conferito dal lavoratore al datore di versare le quote di T.f.r. al fondo, ovvero di loro cessione, quale credito futuro, direttamente dal lavoratore al fondo, o strumenti ad essi assimilabili. E ciò comporta evidenti effetti diversi, in ordine alla titolarità del credito nei confronti del datore fallito da insinuare allo stato passivo della procedura concorsuale , a seconda dell’opzione negoziale adottata. 3.4. Ma nel caso di specie, nel quale la Corte territoriale ha ritenuto il diritto del lavoratore di restituzione delle quote di T.f.r. trattenute dal datore di lavoro e non versate al fondo di previdenza complementare, sulla base dell’accertato accantonamento presso il Fondo Arca con idonea documentazione al primo periodo di pg. 2 del decreto , il fallimento ha completamente omesso la specifica indicazione, prima ancora della trascrizione, del modulo negoziale utilizzato tra le parti. I due motivi sono pertanto generici, in violazione del principio di specificità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, a fronte di una tale omissione, ostativa alla soluzione della questione in esame da parte di questa Corte Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178 Cass. 23 aprile 2010, n. 9748 Cass. 4 ottobre 2017, n. 23194 Cass. 4 aprile 2018, n. 8204 . 5. Dalle superiori argomentazioni discende l’inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il fallimento alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15 % e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.