Efficacia del “doppio” licenziamento

Laddove il datore di lavoro abbia intimato al lavoratore il licenziamento per determinata causa o motivo, può legittimamente intimare un secondo licenziamento fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto dal primo.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 79/19, depositata il 4 gennaio. Il caso. La Corte d’Appello di Roma respingeva il gravame proposto da un lavoratore e volto ad ottenere la dichiarazione di nullità del licenziamento per giusta causa intimatogli nelle more del giudizio precedentemente avviato a seguito dio un primo licenziamento. La decisione era fondata sulla diversità degli addebiti posti alla base dei due licenziamenti. Avverso tale pronuncia ricorre per cassazione il soccombente. Efficacia del secondo licenziamento. Dichiarando inammissibile il ricorso, la Corte ribadisce l’orientamento secondo cui il datore di lavoro, laddove abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per determinata causa o motivo, può legittimamente intimare un secondo licenziamento fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto dal primo. La conseguenza è che entrambi gli atti di recesso sono astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 ottobre 2018 – 4 gennaio 2019, n. 79 Presidente Napoletano – Relatore Negri Della Torre Fatti di causa 1. Con sentenza n. 2308/2017, depositata il 26 aprile 2017, la Corte di appello di Roma respinto il reclamo del lavoratore e parzialmente accolto quello della Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio S.p.A. avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Rieti rigettava integralmente le domande di A.G. volte a ottenere la dichiarazione di nullità o illegittimità del licenziamento per giusta causa allo stesso intimato, con lettera dell’1 agosto 2014, nelle more del giudizio instaurato a seguito di un primo licenziamento del 30/8/2011, per avere, in qualità di responsabile di agenzia, prestato assenso alla cancellazione di ipoteca, nonostante il permanere di un ingente debito nei confronti della Banca, e per avere consentito ulteriori mutui, fidi e agevolazioni creditizie a vantaggio dei medesimi clienti. 2. La Corte rilevava innanzitutto come gli addebiti posti alla base e a giustificazione dei due licenziamenti fossero del tutto diversi che la contestazione in data 18 marzo 2014, che aveva condotto al secondo di essi, non poteva considerarsi tardiva, posto che i fatti, che le avevano dato causa, erano stati compiutamente accertati soltanto a seguito di un’indagine ispettiva conclusasi nel novembre 2013 e che la Banca era connotata da un’organizzazione aziendale complessa escludeva peraltro che fosse configurabile nella specie un pregiudizio al diritto di difesa del lavoratore incolpato, come pure escludeva che vi fosse stata violazione delle regole formali del procedimento disciplinare, ritenuta invece dal primo giudice che aveva dichiarato la risoluzione del rapporto, con effetto dalla data del licenziamento, ma applicato il regime di tutela di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 6 sul rilievo che la Banca aveva inviato al ricorrente la sola copia fotostatica dell’atto di assenso alla cancellazione dell’ipoteca ma non aveva messo a sua disposizione - come espressamente richiesto - anche tutta la restante documentazione aziendale posta a fondamento degli addebiti contestati. 3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza l’A. con due motivi, cui ha resistito la Banca con controricorso. 4. Entrambe le parti hanno depositato memoria. 5. La Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio S.p.A. ha altresì depositato ex art. 372 cod. proc. civ. copia della sentenza di questa Corte n. 6477/2018 emessa fra le stesse parti, con la quale è stato definito il giudizio instaurato a seguito del primo licenziamento in data 30/8/2011. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, deducendo la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, il ricorrente si duole che la Corte di appello, nell’escludere la tardività della contestazione disciplinare e dell’irrogazione della sanzione, abbia posto a sostegno della propria decisione fatti attinenti all’organizzazione aziendale non allegati, né provati, dal datore di lavoro, nonostante la specifica eccezione reiteratamente formulata sul punto. 2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, là dove ha escluso che in sede disciplinare vi fosse stata illegittima compressione del diritto di difesa, sebbene gli fosse stata permessa l’acquisizione di una parte soltanto della documentazione aziendale relativa ai fatti posti a fondamento della contestazione. 3. Si deve preliminarmente rilevare che con sentenza n. 6477/2018, depositata il 16 marzo 2018, questa Corte ha respinto il ricorso proposto dall’A. avverso la sentenza di appello pronunciata nel giudizio originato dal primo licenziamento, comunicato il 30 agosto 2011, accertando conseguentemente la legittimità dell’intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro. 4. Ciò premesso, si deve ribadire l’orientamento, secondo il quale il datore di lavoro, qualora abbia già intimato al lavoratore il licenziamento per una determinata causa o motivo, può legittimamente intimargli un secondo licenziamento, fondato su una diversa causa o motivo, restando quest’ultimo del tutto autonomo e distinto rispetto al primo. Ne consegue che entrambi gli atti di recesso sono in sé astrattamente idonei a raggiungere lo scopo della risoluzione del rapporto, dovendosi ritenere il secondo licenziamento produttivo di effetti solo nel caso in cui venga riconosciuto invalido o inefficace il precedente cfr., fra le molte conformi, Cass. n. 1244/2011 . 5. Ne deriva che il presente ricorso risulta non più assistito da interesse ad impugnare e va, pertanto, dichiarato inammissibile. 6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15 % e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.