Se il fatto contestato al lavoratore licenziato si rivela insussistente, il giudice ordina la reintegrazione

L’art. 18, comma 4, stat. lav. prevede la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria nel caso in cui il fatto contestato al lavoratore licenziato risulti insussistente.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 30430/18, depositata il 23 novembre. Il caso. Un’assistente di volo chiedeva l’annullamento del licenziamento intimatole dalla compagnia aerea datrice di lavoro per giusta causa. Il Tribunale accoglieva la domanda condannando la società al pagamento dell’indennità risarcitoria. La Corte d’Appello, in applicazione dell’art. 18, comma 4, stat. lav., ritenendo insussistente il fatto contestato alla lavoratrice, ordinava la reintegrazione della stessa nel posto di lavoro, applicando così la tutela reale c.d. debole. La società ricorre in Cassazione dolendosi per la violazione dell’art. 18 in quanto la lavoratrice aveva violato i doveri che incombono sull’assistente di volo in relazione alla corretta gestione dei passeggeri contraddicendo anche agli ordini imparti dal Comandante. Insussistenza del fatto. A seguito dell’accurata ricostruzione della vicenda, il giudice di merito aveva accertato che l’unico comportamento appurato, tra quelli addebitati alla lavoratrice, era privo di rilevanza disciplinare e dunque il fatto era da ritenersi insussistente con conseguente corretta applicazione dell’art. 18, comma 4, stat. lav Il Collegio esclude ogni censura della sentenza impugnata ricordando che la norma citata prevede la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria nel caso in cui il fatto contestato risulti insussistente. Ciò avviene laddove il fatto materiale si riveli insussistente oppure non presenti profili di illiceità. In altre parole nel caso in cui il fatto accertato sia materialmente accaduto ma non risulti apprezzabile sotto il profilo disciplinare la tutela da applicare è quella dettata dal comma 4 dell’art. 18 . In conclusione, esclusa in sede di legittimità ogni valutazione circa la proporzionalità tra fatto disciplinarmente rilevante e sanzione e ferma restando la ricostruzione della vicenda da parte del giudice di merito, la Corte di Cassazione condivide la ritenuta irrilevanza disciplinare della condotta ed altresì l’accertamento dell’insussistenza di una violazione dei doveri di corretta e buona fede nell’esecuzione della prestazione lavorativa. Il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 luglio – 23 novembre 2018, n. 30430 Presidente Nobile – Relatore Garri Fatti di causa 1. G.C. convenne in giudizio la Air Dolomiti s.p.a. Linee Aeree Regionali Europee per chiedere l’annullamento del licenziamento intimatole il 5 marzo 2015, la reintegrazione nel posto di lavoro in precedenza occupato e la condanna della convenuta al pagamento dell’indennità risarcitoria e dei contributi assicurativi e previdenziali. Il giudice di primo grado, sia nella fase sommaria che in quella di opposizione, accertata l’insussistenza di una giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro, in applicazione dell’articolo 18 comma 5 della legge 20 maggio 1970 n. 300 nel testo modificato dalla legge 28 giugno 2012 n. 92 condannava la società al pagamento dell’indennità risarcitoria che determinava in venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita e quantificava in Euro 34.229,00 con gli accessori dovuti per legge. 2. La Corte di appello di Venezia, investita del reclamo in via principale di G.C. ed in via incidentale da parte di Air Dolomiti s.p.a., con sentenza non definitiva in applicazione dell’articolo 18 comma 4 della legge n. 300 del 1970, come modificata dalla legge n. 92 del 2012, ritenuto che il fatto contestato alla lavoratrice non fosse sussistente, ne ordinava la reintegrazione nel posto di lavoro e con sentenza definitiva liquidava l’indennità risarcitoria in dodici mensilità di retribuzione con gli accessori di legge e condannava la società al pagamento dei contributi assicurativi e contributivi. Per l’effetto condannava la lavoratrice a restituire la maggior somma ricevuta in esecuzione della sentenza del Tribunale. 3. La Corte di merito accertava infatti che dei fatti contestati alla lavoratrice l’unico provato aver bloccato l’uscita dei passeggeri dalla porta anteriore dell’aereomobile non costituiva addebito disciplinarmente rilevante una volta escluse le altre condotte aver disobbedito agli ordini del comandante attivando la procedura di emergenza sottobordo . Per l’effetto riteneva insussistente il fatto contestato, in quanto non apprezzabile disciplinarmente, ed applicava la tutela reale c.d. debole. 4. La Air Dolomiti s.p.a. ha proposto ricorso per la cassazione di entrambe le sentenze affidato ad un unico motivo. G.C. ha resistito con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 5. Con l’unico motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 18 della legge n. 300 del 1970 nel testo modificato dalla legge n. 92 del 2012. 5.1. Sostiene la ricorrente che la condotta accertata - l’aver impedito il regolare deflusso dei passeggeri dalla porta anteriore dell’aeromobile - era contraria ai doveri che incombono sull’assistente di volo in relazione alla corretta gestione della cabina e dei passeggeri, tanto che il Comandante dell’aereo, avvedutosene, aveva ordinato di lasciare libera l’uscita. Il ritardo nell’uscita dei passeggeri e la sua incidenza sul ritardo del volo successivo, ad avviso della società ricorrente, rileverebbe solo sulla valutazione della gravità della condotta accertata nella sua materialità e comunque antigiuridica. Conseguentemente avrebbe dovuto essere applicato l’articolo 18 comma 5 della legge n. 300 del 1970 e ss. mm. E non, come ritenuto dalla Corte di merito, il comma 4 della stessa disposizione. L’antigiuridicità del fatto che ha dato luogo al licenziamento risulterebbe confermata dalla circostanza che era stato necessario l’intervento del Comandante per far cessare la condotta. 6. Il ricorso è infondato. 6.1. La Corte territoriale ha accertato che la condotta contestata alla lavoratrice, dalla quale era scaturito poi il licenziamento aver bloccato lo sbarco dei passeggeri dalla porta anteriore ed aver attivato autonomamente, per il tramite del rampista, la procedura per l’intervento dell’assistenza medica e delle forze dell’ordine nonostante il Comandante dell’aereo previamente interpellato si fosse espresso in senso contrario , non era risultata dimostrata. La Corte di merito, in esito ad una accurata ricostruzione delle risultanze dell’istruttoria svolta, ha verificato che l’unico comportamento provato, tra quelli addebitati alla lavoratrice, era stato l’aver consentito all’addetto alla rampa di salire a bordo e l’aver, temporaneamente, impedito il deflusso dei passeggeri dalla porta anteriore dell’aeromobile. Ha escluso invece che vi fosse la prova anche solo presuntiva che il rampista avesse attivato la procedura di assistenza a terra su sollecitazione della G. . Al contrario, ha ritenuto che fosse ben più verosimile che la procedura di soccorso era stata attivata per un’iniziativa diretta del rampista a seguito del colloquio con la passeggera in difficoltà. In conclusione la Corte di merito ha ritenuto che il solo fatto accertato di quelli addebitati alla ricorrente - l’aver ostacolato l’uscita dalla porta anteriore per un tempo modesto e comunque consentendola immediatamente a fronte dell’invito in tal senso del comandante – era privo di rilevanza disciplinare e dunque, insussistente il fatto, la tutela da applicare era quella dell’articolo 18 comma 4 legge n. 300 del 1970. 6.2. Tanto premesso va rilevato che la censura è inammissibile nella parte in cui pretende da questa Corte una diversa ricostruzione delle emergenze probatorie. Al giudice di legittimità è consentito solo di verificare se sia stato omesso l’esame di un fatto decisivo ma non anche di ripercorrere l’istruttoria per ricostruirne gli esiti secondo una prospettiva più favorevole alla parte che lamenta la possibilità di una diversa e più favorevole valutazione delle stesse risultanze probatorie. 6.3. Accertato quindi da parte del giudice di merito che la condotta tenuta dalla G. non aveva alcun rilievo disciplinare è conseguente l’applicazione della tutela reale c.d. debole disciplinata dall’articolo 18 comma 4 più volte ricordato ed è perciò infondato il motivo nella parte in cui lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 18 comma 4 citato. 6.4. Come è noto tale disposizione sanziona con la reintegrazione nel posto di lavoro e con la condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria, tra l’altro, il caso in cui il fatto contestato risulti insussistente. Questa Corte ha chiarito che l’ insussistenza del fatto contestato , di cui all’articolo 18, comma 4, dello statuto dei lavoratori, come modificato dall’articolo 1, comma 42, lett. b , della l. n. 92 del 2012, comprende sia l’ipotesi del fatto materiale che si riveli insussistente, sia quella del fatto che, pur esistente, nondimeno non presenti profili di illiceità cfr. Cass. 26/05/2017 n. 13383 e 05/12/2017 n. 29062 . In sostanza nel caso in cui il fatto accertato sia materialmente accaduto ma non risulti apprezzabile sotto il profilo disciplinare la tutela da applicare è quella dettata dal comma 4 dell’articolo 18. Si è affermato infatti che la nozione di insussistenza del fatto contestato comprende non soltanto i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare o quanto al profilo oggettivo ovvero quanto al profilo soggettivo della imputabilità della condotta al dipendente Cass. n. 10019 del 16/05/2016 . In questo senso depone sia il tenore letterale della norma, che fa riferimento al fatto contestato , sia, sotto il profilo logico, la assoluta sovrapponibilità dei casi di condotta materialmente inesistente a quelli di condotta che non costituisca inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero non sia imputabile al lavoratore stesso . La assoluta irrilevanza sul piano disciplinare della condotta della lavoratrice nei termini in cui è risultata accertata consente pertanto di ritenere che nella specie, correttamente, secondo la ricostruzione de giudice del merito intangibile in questa sede, esclusa ogni valutazione di proporzionalità tra fatto disciplinarmente rilevante e sanzione, si è concluso per la insussistenza stessa di una condotta che violasse regole prestabilite o si ponesse comunque in contrasto con i doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione della prestazione lavorativa, suscettibile di essere in qualche modo sanzionata disciplinarmente. 7. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13 comma 1 bis del citato d.P.R P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’articolo 13 comma 1 bis del citato d.P.R