Lavoratore licenziato per aver computato erroneamente i giorni di ferie

I giorni di assenza dal posto di lavoro non possono essere imputati alle ferie ancora fruibili circostanza che giustifica il licenziamento per motivo soggettivo confermato anche dalla Suprema Corte.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 28232/18, depositata il 6 novembre. La vicenda. Un lavoratore veniva licenziato per protratta assenza dal posto di lavoro secondo il dipendente, il datore aveva affermato che era possibile giungere alla pensione fruendo dei giorni di ferie arretrati, così da non dover più eseguire la prestazione lavorativa. Affermazione verbale disattesa dal datore e ritenuta priva di fondamento sia in primo che in secondo grado, confermando quindi il legittimo licenziamento intimato. Il lavoratore, tramite la propria difesa, ricorre in Cassazione sostenendo che detto licenziamento fosse da ritenere illegittimo dato che l’omessa affissione del codice disciplinare nel luogo di lavoro non poteva far conoscere al dipendente le possibili sanzioni in esso contenute, violando così l’art. 2119 c.c. e art. 3 l. n. 604/1996. Computo dei giorni di ferie. I Giudici di legittimità evidenziano che i giorni di ferie ancora fruibili non possono essere imputati ai giorni di assenza disattendendo in tal modo le affermazioni esposte dal ricorrente nelle precedenti fasi di giudizio. Inoltre, la stessa Corte afferma che l’esposizione del codice disciplinare non è necessaria al fine della validità del licenziamento disciplinare, qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo tuttavia, è doverosa l’affissione del detto codice qualora il recesso del datore di lavoro sia esperito per specifiche ipotesi giustificatrici previste da normativa secondaria, collettiva o legittimamente posta dal datore di lavoro . Di conseguenza il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 13 aprile – 6 novembre 2018, n. 28232 Presidente Balestrini – Relatore Valle Fatto e diritto rilevato che con sentenza pubblicata il 19 aprile 2016 la Corte di appello di Napoli, sezione lavoro, ha rigettato l’impugnazione proposta da D.M.D. avverso la sentenza del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, giudice del lavoro, di rigetto dell’impugnativa di licenziamento - irrogatogli il 9 novembre 2012 dalla P. Service s.r.l. - e proposta dal lavoratore nei confronti della P. Service s.r.l. e della F.lli P. & amp C. S.r.l. avverso detta pronuncia propone ricorso per cassazione D.M.D. , censurandola con plurimi motivi, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., in relazione all’art. 18 della l. n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, commi 47 e segg. della l. n. 92 del 2012, e 2697 c.c., e segnatamente per computo errato del numero complessivo dei dipendenti delle due società, da considerare quale un unico centro di imputazione, per mancata disamina di tutti i motivi di appello, per omessa valutazione della prova per testi espletata in prime cure, per non avere valutato l’omessa affissione del codice disciplinare, per inesatto computo dei giorni di ferie spettanti e mancata imputazione di essi ai giorni di assenza, per mancata specificazione delle ragioni del recesso da parte del datore di lavoro la P. Service s.r.l. e la F.lli P. & amp C. s.r.l. hanno resistito con distinti controricorsi nell’imminenza dell’adunanza camerale la difesa del solo ricorrente ha depositato memoria ritenuto che i motivi, che presentano evidenti profili di inammissibilità, in quanto proposti mediante mera giustapposizione dell’uno all’altro e senza un preciso ordine logico, con evidente sottoposizione al giudizio di questa Corte di questioni di fatto, possono essere congiuntamente esaminati, stante la loro connessione essi sono, in disparte i tratteggiati profili di inammissibilità, infondati la sentenza impugnata ha affermato, in aderenza a orientamento di questa Corte Cass. n. 18166 del 2013 e, in precedenza, n. 9816 del 2008 , che il lavoratore non può imputare le ferie ancora da fruire ai giorni di assenza, disattendendo in tal modo, con esaustiva motivazione, l’affermazione del D.M. , dell’essergli stato assicurato, dal datore di lavoro, che sarebbe potuto giungere alla pensione senza più dovere prestare attività lavorativa, fruendo delle ferie arretrate la sentenza gravata ha ritenuto irrilevante l’affissione del codice disciplinare, in quanto la causa del recesso datoriale era da individuarsi nelle previsioni di legge generale e speciale ossia negli artt. 2119 c.c. e 3 l. n. 604 del 1966, sul punto si veda la oramai costante giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 19306 del 2004 , alla quale il collegio intende dare seguito, secondo la quale la pubblicità del codice disciplinare, necessaria, in ogni caso, al fine della validità delle sanzioni disciplinari conservative, non è necessaria al fine della validità del licenziamento disciplinare, qualora il licenziamento sia intimato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, come definiti dalla legge, mentre è necessaria qualora lo stesso licenziamento sia intimato per specifiche ipotesi giustificatrici del recesso previste da normativa secondaria, collettiva o legittimamente posta dal datore di lavoro e che la contestazione del licenziamento concretandosi nell’esposizione delle ragioni di fatto, ossia nella prolungata assenza dal posto di lavoro senza alcuna giustificazione fosse già esaustiva, venendo in tal modo meno l’obbligo di rendere noti i motivi, di cui all’art. 2 della l. n. 604 del 1966 la pronuncia della corte territoriale ha, altresì, correttamente escluso violazione derivante dalla mancata assegnazione della causa di opposizione - nell’ambito del rito disegnato dall’art. 1, commi 47 e segg., della l. n. 92 del 2012 - ad un giudice diverso da quello che aveva trattato la fase sommaria, richiamando la giurisprudenza costituzionale e segnatamente la sentenza n. 78 del 2015 della Corte Costituzionale in precedenza questa Corte aveva già escluso la necessità dell’assegnazione a giudici diversi Cass. n. 3136 del 2015 la sentenza gravata ha, infine, esaustivamente escluso che nel caso di specie, trattandosi di licenziamento disciplinare, dovesse essere esperita la procedura di cui all’art. 7 della l. n. 604 del 1966 come modificato dall’art. 1, comma 40, della l. n. 92 del 2012 , applicabile ai soli licenziamenti per giustificato motivo oggettivo intimati da datori di lavoro aventi numero di dipendenti di cui all’art. 18, comma 8, della l. n. 300 del 1970 e, quindi, pari o superiore a quindici il ricorso è, pertanto, rigettato, con regolazione delle spese di lite - in favore di ciascuna delle due società convenute secondo soccombenza ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. n. 115 del 2002, deve, inoltre, darsi atto - in mancanza di qualsiasi margine di discrezionalità giudiziale - della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. Rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in favore di ciascuna delle società convenute in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.