Compensazione delle spese di lite per «gravi ed eccezionali ragioni»

Quando possono dirsi sussistenti le gravi ed eccezionali ragioni che, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., nel testo antecedente alla novella di cui all’art. 13, comma 1, d.l. n. 132/2014, conv. in l. n. 162/2014, consentivano la compensazione delle spese di lite?

La vicenda. Il tema è stato affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 27397/18, depositata il 29 ottobre, accogliendo il ricorso presentato da una lavoratrice contro la sentenza con cui la Corte d’Appello, rigettato il gravame, disponeva la compensazione delle spese di primo e secondo grado. Ricostruendo la vicenda emerge che nel 2013 il Tribunale riconosceva alla ricorrente il diritto all’iscrizione quale lavoratrice agricola per l’anno 2005. Nel 2014 l’INPS chiedeva la restituzione della prestazione per maternità a suo dire indebitamente corrisposta nel corso dell’anno 2006. La lavoratrice adiva nuovamente il giudice chiedendo l’accertamento dell’insussistenza di un suo debito restitutorio, l’INPS abbandonava a quel punto la sua pretesa. Il Tribunale disponeva dunque il rimborso delle spese di giudizio sostenute dalla lavoratrice, che, insoddisfatta della somma liquidata, impugnava la sentenza dinanzi alla Corte d’Appello la quale decideva come sopra specificato. Compensazione delle spese. Con il ricorso in Cassazione, la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. sulla base di una motivazione apparente. L’art. 92 c.p.c., nel testo antecedente alla novella di cui all’art. 13, comma 1, d.l. n. 132/2014, conv. in l. n. 162/2014, prevedeva la possibilità di compensazione delle spese di lite, oltre in caso di soccombenza reciproca, in presenza di gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione. Nel caso di specie, i giudici di merito hanno ravvisato tali ragioni nel fatto che la richiesta di ripetizione dell’indebito presentata dalla lavoratrice ricorrente era avvenuta dopo la sentenza che accertava il suo diritto all’iscrizione previdenziale ma prima del termine semestrale per l’appello e, dunque, del passaggio in giudicato della sentenza stessa ed in prossimità del termine decennale di prescrizione per la ripetizione dell’indebito. Tale situazione non può però assumere rilevanza ai fini della compensazione delle spese di lite perché l’esercizio stragiudiziale del diritto per cui esiste già una sentenza contraria non passata in giudicato, per potersi qualificare come grave ed eccezionale ragione giustificativa della compensazione, avrebbe dovuto rivestire i caratteri della ineluttabilità nel senso che solo con tale azione stragiudiziale si rendesse possibile la tutela del diritto e tale caratteristica non risultava nel caso di specie. Non è infatti plausibile sostenere che nel 204 sussistesse l’esigenza di porre in essere un atto interruttivo per l’avvicinarsi del termine decennale alla cui maturazione mancava ancora diverso tempo. In conclusione il Collegio decide nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto e dispone la rifusione integrale delle spese dall’INPS alla ricorrente.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 luglio – 29 ottobre 2018, n. 27397 Presidente Manna – Relatore Bellé Fatti di causa 1. Dopo una pronuncia di primo grado, del 17.12.2013, ricognitiva del diritto di D.G.G. all’iscrizione quale lavoratrice agricola per l’anno 2005, l’I.N.P.S., con nota dell’aprile 2014irichiese la restituzione della prestazione per maternità a suo dire indebitamente corrisposta nel corso dell’anno 2006. La D.G. , in esito a tale nota, ha quindi agito nuovamente in giudizio, chiedendo l’accertamento dell’insussistenza del debito restitutorio e l’I.N.P.S., costituendosi tardivamente si è limitata ad addurre il proprio abbandono della pretesa creditoria. Il Tribunale di Salerno, ritenendo illegittimo il provvedimento dell’Inps finalizzato al recupero della prestazione per maternità e sottolineando come esso avesse cagionato un inutile contenzioso, accoglieva la domanda della D.G. , condannando l’ente a rifondere le spese legali in favore della ricorrente. Proposto appello principale dalla D.G. per la misura a suo dire insufficiente del disposto rimborso delle spese di giudizio, la Corte d’Appello, con sentenza n. 1103/2013, ha viceversa accolto l’appello incidentale dell’I.N.P.S. volto ad ottenere la compensazione delle spese di primo grado, compensando altresì le spese del secondo grado. 2. Avverso tale pronuncia la D.G. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un motivo, resistito da controricorso dell’I.N.P.S. Entrambe le parti hanno infine depositato memorie illustrative delle rispettive difese. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo di ricorso D.G.G. afferma, ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., che la Corte territoriale avrebbe violato gli artt. 91 e 92 c.p.c., sulla base di una motivazione apparente e priva di coerenza rispetto all’oggetto del contendere e le allegazioni delle parti, nella parte in cui, accogliendo l’appello incidentale dell’Inps, era stata disposta la compensazione delle spese di primo grado e poi anche di quelle di secondo grado. 2. Il motivo è fondato e va accolto. 3. L’art. 92 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis la causa è stata introdotta in primo grado con ricorso del 6.8.2014 che è quello antecedente rispetto alla novella di cui all’art. 13, co. 1, d.l. 132/2914, conv. con mod. in L. 162/2104, prevede che, a parte l’ipotesi di soccombenza reciproca, nel caso di gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione si passano compensare le spese. 4. La Corte d’Appello ha ritenuto di ravvisare tali ragioni nel fatto che la richiesta di ripetizione dell’indebito era avvenuta pur dopo la sentenza del Tribunale nel diverso e precedente giudizio con cui era stato accertato il diritto della D.G. all’iscrizione quale bracciate agricola, ma prima del trascorrere del termine semestrale per la proposizione dell’appello e dunque prima del passaggio in giudicato di tale pronuncia ed inoltre si era avuta allorquando si stava avvicinando il termine decennale di prescrizione per la ripetizione dell’indebito. 5. I motivi così addotti palesemente non integrano l’ipotesi delle gravi ed eccezionali ragioni di cui alla norma che regola la fattispecie. L’esercizio stragiudiziale del diritto per il quale già esiste una pronuncia contraria, pur non passata in giudicato, per potersi in ipotesi qualificare come grave ed eccezionale ragione giustificativa utile a sorreggere la pronuncia compensazione delle spese nella causa di accertamento negativo che sia stata consequenzialmente introdotta dal destinatario di tale pretesa, dovrebbe, quanto meno, rivestire i caratteri della ineluttabilità, nel senso che solo con tale azione stragiudiziale si rendesse possibile la salvaguardia del diritto ancora potenzialmente sub iudice. Ma tale caratteristica non ricorreva nel caso di specie in quanto, anche rispetto alla prescrizione, trattandosi di indebito del 2006, è palesemente implausibile sostenere che, nell’aprile 2014, sussistesse l’esigenza di porre in essere un atto interruttivo per l’avvicinarsi del termine decennale, alla cui maturazione mancava addirittura più di un anno e mezzo. Senza contare che lo stesso ente, ancora prima dell’ipotetico maturare di quel termine prescrizionale, nel costituirsi nel giudizio di primo grado successivamente introdotto dalla D.G. , affermò di avere abbandonato la pretesa restitutoria, il che svalorizza palesemente il fatto che davvero fosse stato il timore della prescrizione a suggerire il comportamento qui in esame. Né, tanto meno, a giustificare l’esercizio di una pretesa contraria a quanto fino a quel momento giudizialmente statuito poteva addursi, come ha ritenuto la Corte territoriale, il fatto che la pronuncia del Tribunale di Salerno favorevole alla D.G. non fosse ancora passata in giudicato. Non sussistendo, come si è già detto, ragioni di ineluttabilità di tale comportamento al fine di salvaguardare un diritto altrimenti destinato ad essere compromesso nella sua esistenza, la trasmissione di quella nota risultava semmai sconsigliata e non giustificata dall’assetto della controversia giudiziale in essere tra le parti essendovi appunto già stata all’epoca sentenza di primo grado sfavorevole all’ente , sicché risulta implausibile che da tale assetto si siano, al contrario, tratti elementi per giustificare il riconoscimento del beneficio della compensazione delle spese di lite. Viceversa, l’invio della richiesta di restituzione con minaccia di recupero coattivo giustificava la reazione giudiziale della D.G. , poi non a caso confluita in pronuncia di merito favorevole alla stessa, sicché è indubbio il nesso causale tra l’invio di quella nota e la fondata reazione giudiziale della ricorrente. La Corte d’Appello ha quindi violato l’art. 92, co. 2, c.p.c., nel testo da applicare alla controversia. 6. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può quindi procedersi alla decisione in questa sede della questione sulle spese processuali che, non ricorrendo ragioni idonee di compensazione, devono essere rifuse integralmente dall’I.N.P.S. alla D.G. . 6.1 Secondo il principio stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte, cui qui si aderisce, in tema di spese processuali, agli effetti dell’art. 41 del d.m. 20 luglio 2012, n. 140 per quanto qui interessa, art. 28 d.m. 55/2014, modificato e integrato dal d.m. 37/2018, entrato in vigore il 3.4.2014, mentre il ricorso di primo grado è del successivo agosto di quello stesso anno, n.d.r. , il quale ha dato attuazione all’art. 9, secondo comma, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di compenso la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata Cass., S.U., 12 ottobre 2012, n. 17405 . 6.2 Procedendo quindi all’applicazione dei citati dd.mm. del 2014 e del 2018 e tenuto conto del valore della causa da parametrare su quello della pretesa restitutoria contrastata di Euro 4.394,57 si deve fare riferimento allo scaglione da Euro 1.100,01 a Euro 5.200,00. Trattandosi di controversia di estrema semplicità, alla luce dell’atteggiamento sostanzialmente remissivo assunto in causa dall’ente, i compensi delle fasi di merito vanno tarati sui minimi di tariffa, come definiti dall’art. 4, co. 1, come modificato dal d.m. 37/2018. Ciò comporta, con riferimento al primo grado ed alle cause di previdenza, una liquidazione in Euro 1.085,50 Euro 202,50 per fase di studio Euro 202,50 per fase introduttiva Euro 243,00 per fase istruttoria ed Euro 437,50 per fase decisionale quanto al secondo grado, tenuto conto che i minimi sono pari ad Euro 255,00 per lo studio, Euro 255,00 per la fase introduttiva, Euro 283,50 per la fase istruttoria ed Euro 405,00 per la fase decisionale totale Euro 1.198,50 può riconoscersi l’importo di Euro 1.200,00. Per il giudizio di cassazione, considerato il rilievo della fase di legittimità, si ritiene di riconoscere un importo intermedio tra i minimi ed i medi di tariffa, che si fissa in Euro 1.300,00. 7. Nelle note illustrative finali l’avv. Felice Amato, unico difensore in sede di legittimità, ha chiesto espressamente che le spese del giudizio di legittimità non fossero a lui attribuite e quindi non vi è luogo a disporre, per esse, la distrazione. 7.1 Nelle medesime note, è stato altresì chiesto che le spese dei gradi di merito fossero attribuite rectius, distratte all’avv. Tommaso Amato, quale difensore antistatario costituito nei detti gradi di giudizio . Tale distrazione non può tuttavia essere disposta. Infatti, a tal fine non è idonea l’istanza formulata in sede di legittimità da altro legale, per ottenere l’effetto in favore di un diverso difensore e rispetto ai gradi di merito. La norma delinea infatti una fattispecie tipica ed eccezionale, caratterizzata dal consentire la distrazione senza alcun elemento probatorio ulteriore rispetto alla dichiarazione stessa, sicché non può ammettersi l’estensione ad istanze fatte da difensori diversi da quelli nel cui favore il beneficio è destinato ad operare. D’altra parte, l’art. 93, co. 1, c.p.c., nell’affermare che la distrazione va disposta nella stessa sentenza sta ad indicare il fatto che le relative istanze sono destinate ad operare solo rispetto al grado che resta definito dalla pronuncia che lo conclude, non potendo quindi la dichiarazione resa in uno o in entrambi i gradi di merito, se essa non sia reiterata in sede di legittimità dal medesimo difensore, sorreggere la distrazione rispetto alle spese di quei gradi su cui la Suprema Corte pronunci per la prima volta. Conclusione quest’ultima da fondare sul rilievo, evidentemente avuto presente dal legislatore, per cui, concluso un grado e mutato il difensore per il grado successivo, non può più operare la presunzione di veridicità del mancato pagamento che giustifica la valorizzazione, per la distrazione, della pura e semplice dichiarazione di chi abbia difeso la parte nel corrispondente grado. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa in parte qua la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna l’I.N.P.S. a rifondere a parte ricorrente le spese del giudizio di primo grado che liquida in Euro 1.085,50 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, le spese del giudizio che liquida in Euro 1.200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi e quelle del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.300,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.