Inidonea per l’azienda, ma non per il medico legale: licenziamento illegittimo

Condannata la società. Illegittimo il recesso dal rapporto con la dipendente, recesso poggiato su una presunta sua inidoneità al servizio di impiegata amministrativa addetta a mansioni di videoterminalista. Decisive le relazioni dei consulenti che certificano la compatibilità dell’incarico con le condizioni fisiche della lavoratrice.

Mandata a casa per le sue condizioni di salute, ritenute dalla società non compatibili con l’attività affidatale, quella di videoterminalista. A smentire la datrice di lavoro sono però i medici legali che, durante il contenzioso azienda-dipendente, certificano l’assenza di controindicazioni per la lavoratrice connesse all’uso dei terminali. Condannata, quindi, la società, colpevole di avere illegittimamente risolto il rapporto di lavoro con la donna Cassazione, ordinanza numero 27201/18, sezione sesta civile lavoro, depositata il 26 ottobre . Abuso. A dare il ‘la’ alla battaglia legale è il provvedimento con cui l’azienda comunica alla dipendente la risoluzione del rapporto di lavoro per inidoneità al servizio di impiegata amministrativa, addetta prevalentemente a mansioni di videoterminalista . Pronta la reazione della lavoratrice, che cita in giudizio la società, contestando la risoluzione del rapporto, e si vede dare ragione prima in Tribunale e poi in Corte d’appello. Centrale, per i giudici, è la constatazione – fatta da diversi medici legali – della mancanza di controindicazioni all’uso dei terminali e di qualsiasi evoluzione peggiorativa della condizione fisica della lavoratrice . Per evidenziare l’abuso compiuto dall’azienda, poi, i giudici ricordano che il recesso per inidoneità fisica va adottato con estrema cautela per il pregiudizio che arreca al lavoratore e può essere legittimo solo quando è provata l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti e compatibili con le residue capacità lavorative, non potendo l’impossibilità della prestazione lavorativa, quale giustificato motivo di recesso, essere ravvisabile nella sola in eseguibilità dell’attività usualmente svolta dal prestatore, ove ravvisabile la possibilità di svolgimento di altra attività riconducibile alle mansioni assegnate o equivalenti o inferiori, purché utilizzabili dall’impresa . La vittoria della lavoratrice viene ora ‘sigillata’ dai giudici della Cassazione, che respingono definitivamente le obiezioni proposte dall’azienda. Anche nel contesto del Palazzaccio viene ritenuto decisivo il fatto che entrambi i consulenti nominati nei successivi gradi di giudizio hanno confermato l’idoneità della lavoratrice alle mansioni svolte . Evidente, quindi, l’illegittimità del licenziamento . Irrilevante, aggiungono i magistrati, il richiamo aziendale alla cartella del medico aziendale , poiché essa è inidonea a modificare l’esito del giudizio, a fronte delle risultanze concordi offerte dai consulenti.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 11 settembre – 26 ottobre 2018, n. 27201 Presidente Doronzo – Relatore Esposito Rilevato che la Corte di Appello di Messina confermava la decisione del giudice di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da Gi. Fa. diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del provvedimento con cui il 30/8/2010 era stata disposta la risoluzione del suo rapporto di lavoro con Palumbo s.p.a. per inidoneità al servizio di impiegata amministrativa addetta prevalentemente a mansioni di videoterminalista che la Corte poneva a fondamento della decisione l'assenza di controindicazioni all'uso dei terminali, nonché di qualsiasi evoluzione peggiorativa della condizione fisica della lavoratrice, accertate da numerosi medici legali nelle diverse fasi della controversia che i giudici di merito osservavano, inoltre, che il recesso per inidoneità fisica, da adottare con estrema cautela per il pregiudizio che arreca al lavoratore, poteva dirsi legittimo solo quando fosse provata l'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti e compatibili con le residue capacità lavorative, non potendo l'impossibilità della prestazione lavorativa, quale giustificato motivo di recesso, essere ravvisabile nella sola ineseguibilità dell'attività usualmente svolta dal prestatore, ove ravvisabile la possibilità di svolgimento di altra attività riconducibile alle mansioni assegnate o equivalenti o inferiori, purché utilizzabili dall'impresa che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società sulla base di due motivi che la controparte si è costituita con controricorso che la proposta del relatore, ai sensi dell'art. 380-bis cod. procomma civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio non partecipata Considerato che con il primo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 punto 3 c.p.comma violazione dell'art. 25, comma 1 lett. C del D.Lgs. 81/08 e art. 41 comma 5 del D.Lgs. 81/2008 in relazione all'art. 414, 416 e 420 c.p.comma per avere la Corte ritenuto che le risultanze della cartella sanitaria del lavoratore non acquisite al processo fossero frutto di un'omissione della società. Osserva che aveva chiesto che la consulenza medica si svolgesse anche in relazione alle risultanze formate dal Medico aziendale all'atto della visita ed agli esami diagnostici e strumentali dallo stesso svolti e presenti nella cartella sanitaria del lavoratore, che la richiesta di acquisizione della documentazione medica era stata formulata nel ricorso e ribadita in appello, non potendo la società produrre la cartella medica perché impedita dalle norme sulla tenuta e custodia della medesima da parte del medico competente. Che, di conseguenza la Corte territoriale erroneamente aveva attribuito la mancata produzione della suddetta documentazione ad omissione dell'appellante, la quale per le ragioni indicate della stessa non poteva disporre che con il secondo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360 n. 3 c.p.comma violazione o falsa applicazione di norma di diritto in relazione agli artt. 414, 416 e 420 c.p.comma per non avere i giudici del merito ammesso i capi di prova articolati e per aver ritenuto che la società non abbia provato l'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti e compatibili, laddove erano state formulate ampie richieste istruttorie, tese anche a dimostrare tale impossibilità che il primo motivo di ricorso è infondato ove si osservi che entrambi i consulenti nominati nei successivi gradi di giudizio hanno confermato l'idoneità della lavoratrice alle mansioni svolte, talché il licenziamento era risultato illegittimo per manifesta insussistenza del motivo posto a suo fondamento che, a fronte di tali risultanze, non assume alcuna decisività la circostanza attinente alla produzione o mancata produzione della cartella del medico aziendale, essendo la stessa inidonea a modificare l'esito del giudizio, a fronte delle risultanze concordi delle plurime c.t.u. che il rigetto del primo motivo conferma la ratio decidendi attinente all'idoneità fisica della lavoratrice posta a fondamento della decisione e rende superfluo l'esame del secondo, correlato ad ulteriore ed autonoma ratio decidendi, attinente alla prova dell'impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni equivalenti e compatibili che, pertanto, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.