Il Tribunale di Bari anticipa il deposito della sentenza della Consulta sulla quantificazione della indennità per il licenziamento illegittimo

Il Tribunale di Bari quantifica l'indennità spettante a un lavoratore illegittimamente licenziato interpretando in maniera costituzionalmente orientata l'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 c.d. Jobs Act . La Corte costituzionale il 26 settembre scorso ha infatti dichiarato l'illegittimità di detta disposizione nella parte in cui determina in modo rigido, sulla base della sola anzianità di servizio, l'indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. Tale pronuncia della Consulta non risulta ancora depositata.

Il Tribunale di Bari quantifica l'indennità spettante a un lavoratore illegittimamente licenziato interpretando in maniera costituzionalmente orientata l'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23 del 2015 c.d. Jobss Act . La Corte costituzionale il 26 settembre scorso ha infatti dichiarato l'illegittimità della disposizione di cui all'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, nella parte in cui determina in modo rigido, sulla base della sola anzianità di servizio, l'indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. Tale pronuncia della Consulta non risulta ancora depositata. Il giudice di Bari ha tuttavia ritenuto, pur nella consapevolezza scrive che Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione [ ] e che tale pubblicazione nella specie non è ancora avvenuta di dover interpretare in maniera costituzionalmente orientata l'art. 3, comma 1 ancora presumibilmente per pochi giorni vigente , determinando l'indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato sulla base dei criteri enunciati dall'art. 18, comma 5, st. lav., a sua volta richiamato dall'art. 18, comma 7, vale a dire in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti. Il caso. Un lavoratore licenziato al termine di una procedura di mobilità chiede al Tribunale che sia accertata l'illegittimità del provvedimento per violazione della procedura prevista dalla l. n. 223/1991 e che sia riconosciuto il corrispondente risarcimento del danno. Illegittimità del licenziamento per violazione della procedura di mobilità. Il giudice accoglie il ricorso del lavoratore affermando l'illegittimità del licenziamento per violazione dei requisiti richiesti nella comunicazione di cui all'art. 4, comma 3, l. n. 223/1991, in particolare quelli relativi alla collocazione aziendale e ai profili professionali del personale normalmente impiegato. La comunicazione, osserva il giudice, non offre infatti alcun elemento utile a confrontare le posizioni dei lavoratori da porre in mobilità con quelli da mantenere in servizio, così impedendo ai lavoratori e alle organizzazioni sindacali di verificare la regolarità della procedura. L'interpretazione costituzionalmente orientata della norma in materia di indennità. Nel procedere alla quantificazione della indennità spettante al dipendente inguiustamente licenziato, il Tribunale afferma l'applicazione al caso di specie dell'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 cd. Jobs Act , in quanto il lavoratore era stato assunto prima della sua entrata in vigore. Non trova invece applicazione, secondo il giudice, la modifica allo stesso articolo introdotta dal d.l. n. 87/2018, conv. in l. n. 96/2018 c.d. decreto dignità , che eleva la misura della indennità, poichè il licenziamento impugnato è stato intimato in epoca precedente la sua entrata in vigore. Infine, il Tribunale dà atto della intervenuta sentenza della Corte costituzionale del 26 settembre, ancora non depositata, che dichiara l'illegittimità della disposizione di cui all'art. 3 comma 1, d.lgs. n. 23/2015, nella parte in cui determina in modo rigido l'indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato. In particolare, la previsione di un'indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la Consulta ricorda il giudice - contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli artt. 4 e 35 della Costituzione. Oggetto di censura da parte della Corte è il criterio automatico di determinazione della misura dell'indennità, collegato al solo parametro dell'anzianità di servizio del dipendente, e non anche le soglie minima e massima della stessa. A fronte di tale pronuncia costituzionale, pur nella consapevolezza scrive il giudice che le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione [ ] e che tale pubblicazione nella specie non è ancora avvenuta, si ritiene di dover interpretare in maniera costituzionalmente orientata l'art. 3, comma 1 ancora presumibilmente per pochi giorni vigente, determinando l'indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato, compresa fra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità, sulla base dei criteri già enunciati dall'art. 18, comma 5, st. lav., a sua volta richiamato dall'art. 18, comma 7, vale a dire in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti . Fonte ilgiuslavorista.it

Tribunale di Bari, sez. Lavoro, ordinanza 11 ottobre 2018 Giudice Calia Osserva La domanda è fondata e, pertanto, merita accoglimento. Il presente giudizio, introdotto con ricorso ex art. 1 co. 47 e ss. L. 92/2012 depositato in data 25.05.2018, ha per oggetto l’impugnativa del licenziamento decorrente dal 15.12.17 e intimato il 30.10.17 al ricorrente Bo. Di. rappresentato e difeso dagli avv.ti Et. Sb. e Le. Ne. dalla datrice di lavoro P. Lo. & amp C. s.r.l. Il ricorrente, premesso di aver lavorato alle dipendenze della convenuta dal 1.4.2016 al 15.12.2017 e di essere stato licenziato all'esito della procedura prevista dalla L. 223/1991, ha rassegnato le seguenti conclusioni 1 accertare e dichiarare l’illegittimità del licenziamento per violazione delle procedure previste dall’art. 4 L. 223/1991 e, conseguentemente, in applicazione del combinato disposto degli art. 5 comma L. 223/1991 e del terzo periodo del 7. comma dell’art. 18 L. 300/70, condannare la società datrice di lavoro al pagamento in favore del ricorrente del risarcimento del danno nella misura massima di legge 24 mensilità rapportato all’ultima retribuzione globale di fatto, o in quell’altra misura che sarà ritenuta di giustizia. 2 In subordine, accertare e dichiarare l’illegittimità del licenziamento per l’omesso invio da parte della società convenuta delle comunicazioni di cui all’art. 4 co. 9 L. 223/91 ovvero inefficacia delle stesse ed applicare il terzo periodo del 7. comma dell’art. 18 L. 300/70 ex art. 5 comma 3 L. 223/91 condannando la società datrice di lavoro al pagamento in favore del ricorrente del risarcimento del danno nella misura massima di legge 24 mensilità rapportato all’ultima retribuzione globale di fatto o in quell’altra misura che sarà ritenuta di giustizia . Nonostante la ritualità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio, la società non si è costituita. Alla luce della documentazione prodotta dalla parte instante, si ritiene che la controversia possa essere decisa nel merito allo stato degli atti ai sensi dell’art. 1 co. 49 L. 92/2012, non apparendo indispensabile l’espletamento di alcuna attività istruttoria. Dalla busta paga di dicembre 2017 docomma si evince che il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra il ricorrente e la società convenuta è sorto in data 01.04.16 per lo svolgimento di mansioni di impiegato di 5. livello qualifica di addetto alla programmazione turistica. E’ parimenti attestato dalla documentazione cfr. all. 1, 2, 3 che il licenziamento oggetto del presente giudizio è stato intimato all’esito di una procedura di mobilità avviata in data 05.10.2017 ai sensi degli artt. 4 e 24 della legge 223/1991. Il ricorrente ha dedotto l’illegittimità del proprio licenziamento perché intimatogli in totale dispregio della disposizione di cui all’art. 4 co. 3 L. 223/1991. Come è noto, i primi tre commi del succitato articolo 4 prevedono espressamente 1. L'impresa che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel corso di attuazione del programma di cui all'articolo 1 ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative, ha facoltà di avviare la procedura di licenziamento collettivo ai sensi del presente articolo. 2. Le imprese che intendano esercitare la facoltà di cui al comma 1 sono tenute a darne comunicazione preventiva per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effettuata per il tramite dell'associazione dei datori di lavoro alla quale l'impresa aderisce o conferisce mandato. 3. La comunicazione di cui al comma 2 deve contenere indicazione dei motivi che determinano la situazione di eccedenza dei motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare in tutto o in parte, il licenziamento collettivo del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente nonché del personale abitualmente impiegato dei tempi di attuazione del programma di riduzione del personale delle eventuali misure programmate per fronteggiare la conseguenza sul piano sociale della attuazione del programma medesimo del metodo di calcolo di tutte le attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legislazione vigente e dalla contrattazione collettiva. Alla comunicazione va allegata copia della ricevuta del versamento all'INPS, a titolo di anticipazione sulla somma di cui all'articolo 5, comma 4, di una somma pari al trattamento massimo mensile di integrazione salariale moltiplicato per il numero dei lavoratori ritenuti eccedenti . Le argomentazioni svolte da parte ricorrente in ordine alla funzione assolta dalla suddetta comunicazione sono pienamente condivisibili laddove, in conformità a un granitico orientamento giurisprudenziale, la procedimentalizzazione del provvedimento datoriale di messa in mobilità è funzionalmente strumentale al preventivo controllo, da parte delle associazioni sindacali, dell’iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell’impresa. La Corte di Cassazione, infatti, a più riprese ha affermato che In tema di collocamento in mobilità e di licenziamenti collettivi, la procedura disciplinata dall'art. 4 della legge 23 luglio 1991, n. 223 è volta sia a consentire una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato, sia a rendere trasparente il processo decisionale datoriale, in funzione della tutela dell'interesse del lavoratore potenzialmente destinato ad essere ad essere estromesso dall'azienda cfr. ex plurimis Cass. Sez. Lav. 2.3.2009 n. 5034 . Ne consegue che la mancata indicazione, nella comunicazione di avvio della procedura, di tutti gli elementi previsti dal citato art. 4, impedisce insanabilmente al sindacato di esercitare in maniera trasparente e consapevole un effettivo controllo sulla programmata riduzione del personale, valutando anche la possibilità di alternative al programma di esubero. In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente chiarito che in tema di procedura di mobilità e licenziamento collettivo devono osservarsi i seguenti principi In tema di collocamento in mobilità e di licenziamenti collettivi, la procedura disciplinata dall'art. 4 della legge 23 luglio 1991, n. 223 è volta sia a consentire una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato, sia a rendere trasparente il processo decisionale datoriale, in funzione della tutela dell'interesse del lavoratore potenzialmente destinato ad essere estromesso dall'azienda. Ne consegue che la mancata indicazione nella comunicazione di avvio della procedura di tutti gli elementi previsti dal citato art. 4 determina, insanabilmente, l'inefficacia dei successivi licenziamenti ed il lavoratore è legittimato a far valere l'incompletezza della comunicazione ed il conseguente vizio del licenziamento Cass. Sez. Lav. 2.3.2009 n. 5034 Cass. Sez. Lav. 11.7.2007 n. 15479 La comunicazione prevista dalla L. 223/1991, art. 4 è in contrasto con l’obbligo normativo di trasparenza quando a i dati comunicati dal datore di lavoro siano incompleti e inesatti b la funzione sindacale di controllo e valutazione sia stata limitata c sussista un rapporto causale fra l’indicata carenza e la limitazione della funzione sindacale Cass. Sez. Lav. 6225/2007 . Nel caso in esame, la comunicazione del 05.10.17, inviata dalla società datrice alle OO.SS. e al Servizio Politiche del Lavoro di Bari, dà conto dei motivi di avvio della procedura lett. A , delle ragioni che impediscono di adottare misure idonee a evitare in tutto o in parte la dichiarazione di mobilità lett. B , del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente lett. C , dei tempi di attuazione del programma di mobilità lett. D , delle misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale della attuazione del programma di mobilità lett. E . E’ invece del tutto omessa l’indicazione, espressamente prevista dall’art. 4 co. 3 L. 223/92, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale normalmente impiegato, in relazione al quale si dice unicamente che la società ha in forza n. 17 addetti occupati, di cui n. 2 a tempo determinato . È innegabile che la suddetta comunicazione sia viziata, in quanto non integralmente rispettosa delle prescrizioni dettate dal citato art. 4 essa non offre alcun elemento utile a confrontare le posizioni dei lavoratori da porre in mobilità con quelli da mantenere in servizio, così impedendo ai lavoratori e alle organizzazioni sindacali di verificare la regolarità della procedura non è possibile, per esempio, comprendere perché si ritenga di dover licenziare un addetto alle pulizie o un addetto alla programmazione turistica, se non viene resa nota la presenza di altri addetti a tali mansioni o se tali ruoli saranno svolti da altri lavoratori, né vi è alcuna comparazione con i lavoratori che si intendono mantenere in servizio. Alla luce di quanto suesposto, si deve concludere che si è al cospetto di una comunicazione almeno in parte laconica e carente delle indicazioni dettagliatamente elencate dal legislatore e ritenute indispensabili affinché le associazioni sindacali possano svolgere il ruolo che la legge loro assegna. L’omessa esposizione di tutti gli elementi legislativamente tipizzati si risolve in un inadempimento essenziale che non può essere sanato in sede di incontri sindacali e con le informazioni rese in quel contesto in altre parole, esso vizia la procedura in modo insanabile. In tal senso la Corte di cassazione ha ripetutamente affermato che La mancata indicazione nella comunicazione di avvio della procedura di tutti gli elementi previsti dall'art. 4 comma 3 della legge n. 223 del 1991 invalida la procedura e determina l'inefficacia dei licenziamenti tale vizio non è ex se sanato dalla successiva stipulazione di accordo sindacale di riduzione del personale e dalla indicazione in esso di un criterio di scelta dei dipendenti da licenziare, ed il giudice dell'impugnazione del licenziamento collettivo o del collocamento in mobilità deve comunque verificare - con valutazione di merito a lui devoluta e non censurabile nel giudizio di legittimità ove assistita da valutazione sufficiente e non contraddittoria - l'adeguatezza della originaria comunicazione di avvio della procedura Cass. Sez. Lav. 22.6.2012 n. 10424 , e ancora il successivo raggiungimento di un accordo sindacale, pur essendo rilevante ai fini del giudizio retrospettivo sull'adeguatezza della comunicazione, non sana ex se il deficit informativo, atteso che il giudice di merito può accertare che il sindacato partecipò alla trattativa, sfociata nell'intesa, senza piena consapevolezza dei dati di fatto Cass. Sez. Lav. 6.4.2012 n. 5582 20436/2015 . Peraltro nel caso di specie non può neppure sostenersi che la lacuna riscontrata nella comunicazione di avvio sia stata colmata dall’accordo sindacale siglato il 25.10.17, poiché in esso sono state unicamente riprodotte le indicazioni contenute nella comunicazione del precedente 05.10.17, con l’unica aggiunta relativa alla previsione che l'individuazione dei lavoratori da licenziare sarebbe avvenuta tenendo conto dei tradizionali criteri ex art. 5 L. 223/1991. Manca tuttavia, anche nel verbale di accordo, la specifica comparazione fra i destinatari del licenziamento fra cui il ricorrente e gli altri colleghi in organico, così come manca l’indicazione delle ragioni e delle modalità per le quali l’applicazione dei criteri di scelta ha determinato la selezione dei lavoratori da licenziare, tanto più che la società non indica neanche i nominativi dei lavoratori da comparare. In proposito si rileva che la giurisprudenza di legittimità ha superato l’indirizzo secondo il quale il lavoratore non potrebbe far valere in giudizio, a propria tutela, in ogni caso, l’inadeguatezza della comunicazione, e dovrebbe invece a tal fine provare non solo l’incompletezza o insufficienza delle informazioni rese con la comunicazione, ma anche la rilevanza di esse, ossia la loro idoneità, in concreto, a fuorviare o eludere l’esercizio dei poteri di controllo preventivo attribuiti all’organizzazione sindacale. In particolare, la Suprema Corte ha chiarito che la comunicazione rituale, completa di tutti gli elementi indicati dall’art. 4 L. 223/1991, rappresenta nell’ambito della procedura una cadenza legale che se mancante è ontologicamente impeditiva di una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato. Non si può prescindere dalla inscindibile connessione esistente tra completezza della informazione e ruolo assegnato al sindacato, assegnando rilievo alla incompletezza della procedura solo ove essa si traduca in un comprovato nocumento per il lavoratore. La regolarità di tale procedura rappresenta un momento ineludibile affinché il potere risolutorio collettivo del datore di lavoro possa legittimamente esercitarsi Cass. Sez. Lav. 9.9.2003 n. 13196 numerose sono inoltre le sentenze con le quali si è affermato che il lavoratore è pienamente legittimato a far valere l’incompletezza dell’informazione cfr. Cass. Sez. Lav. 20.3.2013 n. 6959 Cass. Sez. Lav. 5582/2012 20436/2015 . L’odierno ricorrente ha lamentato l’illegittimità del licenziamento anche per violazione dell’art. 4 co. 9 della L. 223/1991, ai sensi del quale Entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi, l'elenco dei lavoratori licenziati con l'indicazione per ciascun soggetto del nominati del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento dell'età, del carico di famiglia, nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1, deve essere comunicato per iscritto all'Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competente, alla Commissione regionale per l'impiego e alle associazioni di categoria di cui al comma 2 . Sotto tale profilo ha evidenziato come la comunicazione conclusiva del 06.11.17 non rechi affatto la puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all’articolo 5 comma 1 L. 223/91. La società ha infatti allegato solo l’elenco dei lavoratori licenziati, con l’indicazione per ciascun soggetto del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età e del carico di famiglia, senza però fornire elementi utili a spiegare perché determinati soggetti sono stati ritenuti in esubero rispetto al residuo organico aziendale si tratta, come è evidente, della medesima lacuna rilevata nella comunicazione di avvio e nel verbale di accordo sindacale. Come precisato in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità ex plurimis, Cass. n. 14339/2015 la comunicazione di cui alla citata L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, che fa obbligo di indicare puntualmente le modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, è finalizzata a consentire ai lavoratori interessati, alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi di controllare la correttezza dell'operazione e la rispondenza agli accordi raggiunti. A tal fine non è sufficiente la trasmissione dell'elenco dei lavoratori licenziati e la comunicazione dei criteri di scelta concordati con le organizzazioni sindacali, né la predisposizione di un meccanismo di applicazione in via successiva dei vari criteri, poiché vi è necessità di controllare se tutti i dipendenti in possesso dei requisiti previsti siano stati inseriti nella categoria da scrutinare e, in secondo luogo, nel caso in cui i dipendenti siano in numero superiore ai previsti licenziamenti, se siano stati correttamente applicati i criteri di valutazione comparativa per la individuazione dei dipendenti da licenziare . E ancora, secondo Cass. n. 7490/2015, il datore di lavoro deve indicare puntualmente, nella prevista comunicazione ai competenti uffici del lavoro e alle organizzazioni sindacali dell'elenco dei lavoratori destinatari del provvedimento, le modalità di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori, indicazione che presuppone l'evidenziazione di tutti gli elementi criteri generali e dati specifici che hanno portato all'identificazione dei dipendenti prescelti per la mobilità, con specificazione quindi, in caso di applicazione in concorso dei tre criteri di legge, anche dei criteri con cui gli stessi sono stati fatti interagire. Nella specie è incontestato tra le parti che, nella comunicazione del 28 febbraio 2006 inoltrata dalla società a mente della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, i lavoratori da licenziare vengono individuati prioritariamente tra coloro che avevano dichiarato di non opporsi alla procedura di mobilità, e, per la residuale selezione, secondo i criteri legali di cui all'art. 5 della legge citata, applicati in concorso tra loro, senz'altra specificazione. E' dunque pacifico che, oltre a non essere predisposta alcuna graduatoria per tale secondo canone di selezione, non sono neanche indicati i criteri, oggettivi e predeterminati, sulla base dei quali le regole del concorso tra carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico-produttive ed organizzative dovessero operare. In mancanza della esplicitazione di un criterio oggettivo di ponderazione tra criteri eterogenei, l'indicazione astratta del loro contestuale operare non è sufficiente a dar conto di come gli stessi debbano essere applicati con modalità trasparenti e verificabili . Sulla scorta delle precedenti considerazioni il ricorso deve essere accolto. Occorre ora soffermarsi sulle conseguenze derivanti dall’inosservanza delle norme di cui agli articoli 4 co. 3 e 4 co. 9 della L. 223/1991, entrambi richiamati dall’art. 4 co. 12 Il comma 3 dell’art. 5 della medesima legge 223 novellato dalla L. 92/2012 stabiliva quanto segue Qualora il licenziamento sia intimato senza l'osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui all'articolo 18, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni. In caso di violazione delle procedure richiamate all'articolo 4, comma 12, si applica il regime di cui al terzo periodo del settimo comma del predetto articolo 18. In caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui al quarto comma del medesimo articolo 18. Ai fini dell'impugnazione del licenziamento si applicano le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni . Per l’inosservanza delle procedure era dunque prevista la tutela indennitaria forte di cui all’art. 18 co. 7 terzo periodo, che a sua volta rinvia all’art. 18 co. 5 co. 7 nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni co. 5 Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo . Questa è infatti la tutela richiesta nelle conclusioni del ricorso. L’odierno ricorrente è stato però assunto in data 01.04.16, sicché deve trovare applicazione nei suoi confronti la nuova disciplina dettata dal D.Lgs. 23/2015 per i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 07.03.15 data di entrata in vigore del D.Lgs. 23/2015 . L’art. 10 del menzionato D.Lgs. 23 dispone che In caso di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, intimato senza l'osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui all'articolo 2 del presente decreto. In caso di violazione delle procedure richiamate all'articolo 4, comma 12, o dei criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991, si applica il regime di cui all'articolo 3, comma 1 . A sua volta l’art. 3 co. 1 così recita Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità . Il D.L. 87/2018, conv. in L. 96/2018, ha da ultimo modificato l’art. 3 co. 1 appena riportato, elevando la misura dell’indennità, che deve essere compresa fra sei e trentasei mensilità si ritiene tuttavia che tale novella sia inapplicabile al caso in esame, poiché il licenziamento qui impugnato è stato intimato in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.L. 87/2018. In definitiva, siccome il rapporto di lavoro del ricorrente è durato poco più di un anno e mezzo dal 01.04.16 al 15.12.17 , egli potrebbe aspirare unicamente alla corresponsione dell’indennità minima pari a quattro mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Deve però darsi atto che la Corte Costituzionale, con sentenza del 26.09.18, le cui motivazioni non risultano ancora depositate, ha dichiarato l’illegittimità della disposizione di cui all’art. 3 co. 1 D.Lgs. 23/2015 nella parte in cui determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato in particolare, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore è, secondo la Consulta, contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione. Oggetto di censura è stato quindi il criterio automatico di determinazione della misura dell’indennità, collegato al solo parametro dell’anzianità di servizio del dipendente, e non anche le soglie minima e massima della stessa. A fronte di tale pronuncia, pur nella consapevolezza che Le norme dichiarate incostituzionali non possono avere applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione art. 30 co. 3 L. 87/1953, in ossequio all’art. 136 co. 1 Cost. , e che tale pubblicazione nella specie non è ancora avvenuta, si ritiene di dover interpretare in maniera costituzionalmente orientata l’art. 3 co. 1 ancora presumibilmente per pochi giorni vigente, determinando l’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato, compresa fra un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità, sulla base dei criteri già enunciati dall’art. 18 co. 5 St.lav., a sua volta richiamato dall’art. 18 co. 7, vale a dire in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti . In conclusione, accertata l’illegittimità del licenziamento per violazione dell’art. 4 co. 3 e co. 9 L. 223/1991, il rapporto di lavoro va dichiarato estinto con effetto dal 15.12.17, data del licenziamento, e la società convenuta va condannata al pagamento in favore del ricorrente di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale che si reputa congruo determinare nella misura di dodici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto cfr. ultima busta paga di dicembre 2017, docomma , oltre interessi e rivalutazione monetaria dal licenziamento fino al soddisfo. La predetta quantificazione dell’indennità è giustificata dalla considerevole gravità della violazione procedurale, consistente principalmente nella omissione del raffronto tra i dipendenti attinti dal licenziamento e quelli mantenuti in organico tale profilo, concernente il comportamento tenuto dall’azienda, deve essere contemperato con le ridotte dimensioni dell’attività economica e il basso numero di lavoratori occupati, unitamente alla scarsa anzianità del ricorrente, sicché induce a ritenere equa, fra il minimo di 4 e il massimo di 24, un’indennità pari a 12 mensilità. Quanto alla regolamentazione delle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Nella liquidazione delle spese si tiene conto dei valori medi previsti dalle tabelle allegate al D.M. 55/14 in relazione alla tipologia di causa procedimento in materia di lavoro , al valore della controversia nella specie indeterminabile, quindi con riferimento allo scaglione compreso tra Euro 26.000 ed Euro 52.000 e alle fasi in cui si è articolata l’attività difensiva espletata nel presente giudizio quindi senza fase istruttoria . Considerati i parametri generali di cui all’art. 4 D.M. citato e, in particolare, la non significativa complessità delle questioni di diritto affrontate, appare congrua una riduzione nella misura massima consentita. Deve infine essere disposta la distrazione delle spese in favore dei difensori costituiti dichiaratisi anticipanti. P.Q.M. Visto l’art. 1 co. 49 L. 92/2012, - accoglie la domanda proposta da Bo. Di. nei confronti della P. Lo. & amp C. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e, per l’effetto, dichiara estinto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna la società convenuta al pagamento in favore del ricorrente di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal licenziamento fino al soddisfo - condanna la società convenuta al pagamento in favore del ricorrente delle spese di lite, che liquida in Euro 3.513,00, oltre rimborso spese forfettarie 15%, iva e c.p.a., con distrazione in favore dei procuratori dichiaratisi anticipanti.