La destinazione delle somme erogate fuori busta

Se non sussiste una chiara e precisa specificazione della destinazione delle somme erogate fuori busta, queste sono da imputare come remunerazione della prestazione lavorativa ordinaria del lavoratore subordinato.

Così deciso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza. 25734/18, depositata il 15 ottobre. Il caso. Un lavoratore subordinato richiede al proprio datore di lavoro il pagamento delle differenze retributive relative a titoli differenti rispetto l’ordinaria prestazione, ossia la remunerazione di straordinari, festività, 13° e 14° mensilità e permessi non goduti. Il lavoratore propone ricorso in Cassazione a seguito della decisione emessa in sede d’Appello in cui è stato stabilito che la somma dovuta al lavoratore doveva essere ridotta, rispetto a quanto stimato nel primo grado, dovendo essere comprensiva anche delle somme percepite fuori busta secondo la Corte d’Appello le somme - prive di opportune specificazioni - esterne al salario ordinario erano da considerare come remunerazione di diversi titoli, tale da diminuire la somma che il datore doveva corrispondere al lavoratore. Il ricorrente deduce così in sede di legittimità una violazione e falsa applicazione degli artt. 2099 Retribuzione e 2697 Onere della prova c.c., sostenendo che l’erogazione priva di indicazione di somme fuori busta sia da riferire alla remunerazione dell’ordinaria prestazione lavorativa e non a compensare altri titoli come i permessi o le ferie non godute, prospettando questi un differente e autonomo titolo retributivo. La specificazione dei diversi titoli remunerativi. La Suprema Corte ha sottolineato che sussiste l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere al lavoratore subordinato un preciso e dettagliato prospetto paga ai sensi della l. n. 4/1953 Norme concernenti l'obbligo di corrispondere le retribuzioni ai lavoratori a mezzo di prospetti di paga così che lo stesso dipendente possa controllare quanto percepito e quanto dovutogli relativamente a ogni singolo titolo retributivo. Tuttalpiù, gli stessi Giudici di legittimità hanno considerato la realizzazione un patto di conglobamento nel quale viene illustrato dettagliatamente attraverso quali somme i vari titoli remunerativi vengono soddisfatti, tuttavia, i titoli devono risultare chiari e precisi tali da potervi individuare, in sede giudiziale, il riconoscimento di diritti inderogabili ex lege o ex contractu spettati al lavoratore. Viene così ad assumere un’importanza rilevante la destinazione del titolo erogativo versato al lavoratore tale da differenziare l’adempimento dei vari doveri remunerativi del datore. Altresì, nell’ipotesi che il lavoratore percepisca un compenso privo di una voce che specifica quale dovere datoriale è diretta ad assolvere, tale remunerazione è da presumere riferita all’adempimento dell’ordinaria prestazione lavorativa. La presunzione e onere probatorio datoriale. La presunzione di riferibilità delle somme corrisposte, prive di indicazione, alla sola prestazione ordinaria viene superata solo attraverso la dimostrazione di un patto di conglobamento, onere probatorio a carico del datore di lavoro, unico soggetto che può realizzare un dettagliato prospetto paga che dimostri con certezza quali diritti siano stati assolti tramite anche distinte erogazioni, tra cui quelle fuori busta. La Corte di Cassazione, cassando la sentenza impugnata, accoglie così il ricorso proposto dal lavoratore con rinvio al Collegio territoriale.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 21 giugno – 15 ottobre 2018, n. 25734 Presidente Nobile– Relatore Maria Leone Fatto e diritto Rilevato che La Corte di appello di Roma con la sentenza n. 9709/2013 aveva parzialmente accolto il gravame proposto da M.M.T. avverso la decisione con la quale il tribunale di Roma aveva condannato la stessa ed il coerede M.A. entrambi eredi di Ma.Vi. al pagamento della somma di Euro 42.338,49, a titolo di differenze retributive per i seguenti titoli 13 e 14^ mensilità, TRF, straordinari, lavoro domenicale,festività, permessi e riposi non goduti. La Corte territoriale, in accoglimento di un motivo di gravame, aveva ridotto l’importo riconosciuto dal Tribunale in quanto aveva ritenuto di considerare nel conteggio del percepito dal lavoratore anche le somme erogate fuori busta come risultanti dalle ricevute allegate dal datore di lavoro. Rilevava a riguardo che sebbene nelle stesse ricevute non fosse inserita la imputazione della erogazione, non essendo stata indicata dal lavoratore diversa causa giuridica della erogazione liberalità,mutuo ecc. , questa dovesse comunque essere rapportata alla prestazione di lavoro e quindi considerata nel percepito e dedotta dal dovuto. Avverso detta decisione parte ricorrente aveva proposto ricorso affidandolo a 4 motivi. Nelle more del giudizio si costituiva la co-ricorrente M.S. divenuta maggiorenne esplicitando la volontà di sanare e ratificare tutti gli atti processuali compiuti dalla genitrice in suo nome. Le parti convenute rimanevano intimate. I ricorrenti depositavano memoria ex art. 378 c.p.c Considerato che 1 Con il primo motivo parte ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2099 c.c. allorché la corte territoriale aveva ritenuto che le ricevute attestanti il versamento di somme all’originario dante causa delle parti ricorrenti, pur prive talune di data, e tutte di imputazione del pagamento, fossero comunque riferibili alla differenze retributive richieste dal lavoratore. Parte ricorrente rileva la violazione dell’art. 2099 cc sempre interpretato nel senso della presunzione di imputazione di somme erogate prive di specifica indicazione, alla sola prestazione ordinaria. 2 Con il secondo motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 1 comma 1 L. n. 4/1953 dispositiva della necessità che il prospetto paga rilasciato al dipendente contenga tutte le imputazioni di pagamento. 3 Il terzo motivo censura la violazione dell’art. 115, comma 1 c.p.c. con riguardo alla ritenuta non contestazione delle somme erogate fuori busta . Rilevavano i ricorrenti che la Corte territoriale pur avendo dato atto della contestazione della imputazione delle somme in questione, aveva comunque ritenuto riferibili le stesse alla ordinaria prestazione, con ciò violando il primo comma dell’art. 115 cpc in quanto posto a fondamento della decisione un fatto non provato e invece espressamente contestato. 4 con il quarto motivo è censurata la violazione dell’art. 2697 c.c. poiché la corte d’appello aveva ritenuto che la mancata indicazione da parte del lavoratore di altre causali delle erogazioni attestate dalle ricevute, lasciava supporre la loro addebitabilità alla prestazione ordinaria. I quattro motivi devono essere trattati congiuntamente in quanto tutti attinenti e dipendenti dalla medesima questione relativa al pagamento delle somme dovute dal datore di lavoro al lavoratore per titoli differenti da quelli inerenti la ordinaria prestazione di lavoro. Si controverte in particolare del regime inerente l’imputazione di pagamento e di quello allegatorio e probatorio diretto a governare gli eventuali esborsi aggiuntivi rispetto a quelli dovuti per la ordinaria prestazione. A riguardo questa Corte ha rilevato che L’imputazione di pagamento - che, secondo la norma generale del primo comma dell’art. 1193 cod. civ., costituisce una facoltà del debitore, al mancato esercizio della quale sopperiscono i criteri legali dettati dal secondo comma dello stesso articolo si pone, invece, nel rapporto di lavoro subordinato come un obbligo del datore di lavoro, essendo questi tenuto alla consegna delle buste-paga previste dalla legge 5 gennaio 1953, n. 4. La previsione dell’imputazione predetta, che ha la funzione di consentire al lavoratore di controllare la corrispondenza fra quanto a vario titolo dovutogli e quanto effettivamente corrispostogli, non vale, tuttavia, a snaturare l’imputazione stessa, in quanto quest’ultima, fatta facoltativamente o in esecuzione di un obbligo, presuppone pur sempre l’esistenza del debito e non può sostituirsi ad un valido titolo costitutivo del medesimo Cass. n. 11632/2018 conf. Cass. n. 22872/2010 Cass. n. 5498/1985 . Recentemente ha altresì soggiunto che Il patto di conglobamento nella retribuzione di corrispettivi ulteriormente dovuti al lavoratore subordinato per legge o per contratto quali la tredicesima mensilità, il compenso per le ferie e per le festività è valido solo se dal patto risultino gli specifici titoli cui è riferibile la prestazione patrimoniale complessiva, poiché solo in tal caso è superabile la presunzione che il compenso convenuto è dovuto quale corrispettivo della sola prestazione ordinaria e si rende possibile il controllo giudiziale circa l’effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettanti per legge o per contratto, senza tuttavia la necessità di una specificazione anche degli importi corrispondenti agli istituti conglobati Cass. n. 1644/2018 conf. Cass. n. 8255/2010 . I principi enunciati pongono in evidenza la esistenza di un preciso obbligo per il datore di lavoro di imputare le somme erogate al lavoratore nonché la presunzione che il compenso erogato al lavoratore, senza specificazione alcuna su differenti titoli, riguardi la sola prestazione ordinaria. Un eventuale patto di conglobamento, diversamente orientato a comprendere voci differenti rispetto a quelle ordinariamente dovute per la prestazione fornita e quindi titoli quali tfr, ferie, festività, tredicesima mesilità , deve comprendere specifiche indicazioni in tal senso, tali da poter con certezza in esso rinvenire la volontà delle parti di ricomprendere nelle somme erogate al lavoratore quegli specifici titoli retributivi. In assenza di tale patto, il cui onere allegatorio e probatorio incombe sul datore di lavoro, risulta operativa la presunzione di riferibilità delle somme erogate alla sola prestazione ordinaria. Di tale presunzione potrà avvalersi il lavoratore senza necessità di fornire ulteriori elementi probatori a riguardo. Il ricorso risulta quindi fondato poiché la corte territoriale non si è attenuta ai principi sopra riferiti. La sentenza deve quindi essere cassata e rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, perché valuti i motivi del gravame alla luce degli esposti principi e provveda anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.