Contesta la dirigenza con un messaggio interno: niente licenziamento

Salvo il posto di lavoro per la componente di una cooperativa. Per i Giudici l’episodio incriminato non è così grave da giustificare l’allontanamento della donna, poiché ella ha esercitato il proprio diritto di critica”.

Attenzione alle comunicazioni on line possono costare il posto di lavoro. A correre questo rischio è stata anche la socia di una cooperativa, sfogatasi tramite WhatsApp con un’altra socia e mostratasi critica verso la dirigenza. A salvarla, però, il fatto che il messaggio da lei inviato sia stato valutato dai Giudici come una mera critica”, peraltro coincidente, nella sostanza, con un volantino anonimo diffuso in ambito aziendale attraverso la posta elettronica Cassazione, ordinanza n. 21719/18, sez. Lavoro, depositata oggi . Messaggio. Passaggio decisivo per la lavoratrice, socia di una cooperativa, è quello in Appello lì i Giudici dichiarano l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimatole dalla società. Consequenziali sono il riconoscimento del suo diritto alla reintegrazione e la condanna della cooperativa alla corresponsione in suo favore delle retribuzioni maturate, nel limite di dodici mensilità . A salvare la lavoratrice, responsabile della formazione , è la valutazione del comportamento da lei tenuto. Su questo fronte i Giudici osservano che il messaggio di testo, inviato al di fuori della prestazione lavorativa e mediante WhatsApp a un’altra socia, non presenta caratteri di gravità tali da rendere legittima la sanzione espulsiva adottata dalla cooperativa, anche perché esso si pone sul piano della manifestazione della libertà di pensiero e dell’esercizio del diritto di critica . A sostegno di questa visione, poi, anche il riferimento alla coincidenza di pensiero con un volantino anonimo diffuso per posta elettronica ai soci e la constatazione del tipo di linguaggio normalmente usato in tali forme di comunicazione . Diritto di critica. Ogni obiezione proposta dai legali della società si rivela inutile. Per la Cassazione è corretta la valutazione della vicenda compiuta dai Giudici d’Appello. In sostanza, viene respinta l’ipotesi accusatoria secondo cui la lavoratrice ha travalicato il legittimo diritto di critica, utilizzando espressioni denigratorie e offensive nei confronti della dirigenza della cooperativa e ingenerando turbamento nella socia destinataria del messaggio. E viene ritenuto irrilevante il fatto che la lavoratrice era collocata in elevata posizione come responsabile della formazione questo dato non rende più grave la condotta da lei tenuta. Per i Giudici del Palazzaccio, quindi, va ribadita l’illegittimità del licenziamento, poiché il messaggio incriminato va letto come espressione del diritto di critica del lavoratore .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 15 maggio – 6 settembre 2018, n. 21719 Presidente Bronzini – Relatore Amendola Fatto e diritto Rilevato che 1. con sentenza del 19 luglio 2016 la Corte d'Appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia di primo grado resa nell'ambito di un giudizio ex lege n. 92 del 2012, ha dichiarato l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimato in data 10 novembre 2014 nei confronti di Gr. An. da Realco Società Cooperativa con conseguente condanna della società alla reintegrazione ed alla corresponsione delle retribuzioni maturate nel limite di 12 mensilità, oltre accessori e spese 2. la Corte, analizzando l'addebito, ha ritenuto che il messaggio di testo, inviato al di fuori della prestazione lavorativa, dalla Gr. alla socia Sandra Chiesa mediante il circuito WhatsApp non presentasse caratteri di gravità tali da legittimare la sanzione espulsiva ha considerato infatti che si ponesse sul piano della manifestazione della libertà di pensiero e dell'esercizio del diritto di critica , rispettoso sia della continenza sostanziale sotto il profilo soggettivo, stante la coincidenza di pensiero con un volantino anonimo diffuso per posta elettronica ai soci, sia della continenza formale, tenuto altresì conto del tipo di linguaggio normalmente utilizzato in tali forme di comunicazione 3. la Realco Società Cooperativa ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza impugnata sulla base di due motivi al quale ha resistito la Gr. con controricorso la società ha anche comunicato memoria ex art. 380 bis c.p.c Considerato che 1. il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c. e 1 L. n. 300 del 1970 nonché dell'art. 193, in relazione agli artt. 190 e 191 del CCNL di categoria, per avere la Corte territoriale omesso di considerare che, soprattutto il diritto di critica, perché se ne possa declinare l'esercizio legittimo, deve rispettare taluni limiti che la Sig.ra Gr. ha sicuramente travalicato , utilizzando espressioni denigratorie e offensive nei confronti della dirigenza della cooperativa ed ingenerando turbamento nella socia Chiesa si deduce altresì che la lavoratrice era collocata in elevata posizione aziendale come responsabile della formazione e che la richiamata disciplina collettiva prevede il licenziamento disciplinare per grave mancanza dell'obbligo imposto di improntare i rapporti all'interno della cooperativa ai sensi della reciproca correttezza 2. la censura non è meritevole di accoglimento atteso che la Corte territoriale si è manifestata consapevole che il diritto di critica del lavoratore incontra i limiti della continenza sostanziale nel senso di corrispondenza dei fatti alla verità, sia pure non assoluta ma soggettiva e formale nel senso di misura nell'esposizione dei fatti , per cui non è ravvisabile la violazione dei principi di diritto espressi in materia da questa Corte, piuttosto traducendosi la doglianza in un diverso apprezzamento del contenuto del messaggio diffuso che si assume avere superato detti confini, ma secondo l'opinione della parte in difformità da quanto invece ritenuto dai giudici di merito cui l'apprezzamento di tali fatti esclusivamente compete se sorretto, come nella specie, da adeguata motivazione quanto poi al riferimento alla contrattazione collettiva è evidente che, una volta ritenuto che il messaggio non esorbitasse dall'esercizio del diritto di critica, la condotta non può assumere rilievo disciplinare 2. con il secondo motivo si lamenta l'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in quanto i giudici del gravame avrebbero omesso qualsiasi vaglio investigativo sulla circostanza che il volantino, di cui il messaggio della Gr. avrebbe recepito il contenuto, era stato redatto in data successiva al messaggio inviato dalla lavoratrice, per cui la Corte avrebbe dovuto desumere che il contenuto del messaggio era stato frutto di un pensiero colpevole e consapevole della lavoratrice 3. come noto, ogni accertamento di fatto non è sindacabile in sede di legittimità oltre i limiti imposti dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c, così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte con le sentt. nn. 8053 e 8054 del 2014 con principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici , di cui parte ricorrente non tiene adeguato conto, pretendendo nella sostanza una rivalutazione della vicenda storica preclusa a questa Corte e con riferimento ad una circostanza che, oltre a non essere specificamente dedotto quando e come sia stata discussa e controversa, non ha comunque alcun carattere di decisività nel senso che, se fosse stata esaminata, il giudizio avrebbe avuto un esito diverso, con certezza e non con prognosi di mera probabilità 4. conclusivamente il ricorso va respinto, con spese che seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, co. 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, co. 17, L. n. 228 del 2012. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso spese forfettario al 15% e accessori secondo legge. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.