L’attività svolta alle dipendenze del liceo religioso è qualificabile come lavoro domestico

Il rapporto di lavoro deve essere qualificato come domestico laddove sia caratterizzato dalla prestazione finalizzata al funzionamento della vita familiare per soddisfare un bisogno personale del datore e che non costituisce strumento per l’esercizio della sua attività professionale.

Con l’ordinanza n. 21446/18, depositata il 30 agosto, la Corte di legittimità si è pronunciata sul ricorso presentato da una lavoratrice che invocava la dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatolo da una scuola religiosa per la quale lavorava. La ricorrente deduce l’erronea qualificazione della prestazione lavorativa come domestica per l’assenza dei requisiti di collegamento diretto con le finalità religiose e di culto della comunità religiosa. Qualificazione del rapporto di lavoro. La doglianza risulta priva di fondamento in quanto correttamente il Giudice di merito ha qualificato il rapporto di lavoro come domestico perché caratterizzato dalla prestazione finalizzata al funzionamento della vita familiare per soddisfare un bisogno personale del datore e che non costituisce strumento per l’esercizio della sua attività professionale . La natura familiare” può essere caratteristica di qualunque comunità stabile di persone che convivano continuativamente e permanentemente sotto lo stesso tetto, senza uno scopo di lucro, nell’osservanza di un principio di mutua assistenza, assimilabile a quello delle famiglie legate da vincoli di sangue. Possono dunque qualificarsi come lavoratori domestici coloro che prestano a qualsiasi titolo la propria attività per il funzionamento di tale nucleo familiare. Precisa poi l’ordinanza in commento che può essere definito datore di lavoro non imprenditore chi svolge senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, rimanendo irrilevante il fatto la prestazione di servizi, laddove effettuata con modalità organizzative ed economiche di tipo imprenditoriale, sia resa solo nei confronti di associati o attraverso un’organizzazione sindacale. La valutazione del carattere imprenditoriale dell’attività resta comunque riservata al giudizio di merito ed è censurabile in Cassazione solo per vizio di motivazione. Sottraendosi dunque la sentenza impugnata ad ogni censura, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 16 maggio – 30 agosto 2018, n. 21446 Presidente Balestrieri – Relatore Patti Rilevato in fatto che con sentenza in data 13 luglio 2016, la Corte d’appello di Torino rigettava il reclamo proposto da R.M. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda di condanna del Liceo omissis e respinto quella di accertamento di illegittimità del licenziamento intimatole il 31 luglio 2014 che avverso tale sentenza la lavoratrice ricorreva per cassazione con unico motivo, cui resisteva l’Istituto con controricorso. Considerato in diritto che la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2240 c.c., 1 L. 339/1958, 1 d.p.r. 1403/1971 e del CCNL AGIDAE, per erronea qualificazione della prestazione lavorativa come domestica, in assenza dei requisiti di diretto collegamento con le finalità religiose e di culto della comunità religiosa, in realtà compenetrata con quella imprenditoriale del liceo e aperta all’offerta di vitto ed alloggio anche a soggetti ad essa estranei unico motivo che il motivo è infondato che la Corte territoriale ha correttamente qualificato il rapporto come di lavoro domestico, caratterizzato dalla prestazione finalizzata al funzionamento della vita familiare per soddisfare un bisogno personale del datore e che non costituisce strumento per l’esercizio della sua attività professionale Cass. 14 dicembre 2005, n. 27578 che deve essere poi individuata la natura familiare di una comunità stabile di persone che convivano continuativamente e permanentemente sotto lo stesso tetto, senza uno scopo di lucro, nell’osservanza di un principio di mutua assistenza, in quanto assimilabile a quello delle famiglie, basate su vincoli di sangue, in una solidarietà affettuosa fra persone aventi una tale comunanza di vitto e di alloggio Cass. 31 marzo 1983, n. 2354 sicché possono essere ascritti alla categoria dei lavoratori domestici coloro che, ai sensi dell’art. 1 L. 339/1958 e dell’art. 2240 c.c., prestino a qualsiasi titolo la loro opera per il funzionamento di una vita familiare così intesa che inoltre può essere definito datore di lavoro non imprenditore chi svolga senza fini di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto tale da qualificare in base alla natura dell’attività, da valutare secondo gli ordinari criteri, riferiti al tipo di organizzazione e all’economicità della gestione, a prescindere dall’esistenza di un vero e proprio fine di lucro, restando irrilevante che la prestazione di servizi, ove effettuata secondo modalità organizzative ed economiche di tipo imprenditoriale, sia resa solo nei confronti di associati al soggetto che tali servizi eroghi ovvero ad un’organizzazione sindacale cui il soggetto erogatore sia collegato Cass. 26 gennaio 2004, n. 1367 che l’accertamento del carattere imprenditoriale dell’attività in concreto svolta è riservato al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione Cass. 16 maggio 2005, n. 10155 Cass. 15 giugno 2011, n. 13093 che la Corte subalpina ha fatto un’esatta applicazione dei principi di diritto suenunciati dal secondo capoverso di pg. 12 all’ultimo di pg. 13 della sentenza , con accertamento in fatto della rispondenza ad essi della fattispecie in concreto esaminata, alla luce delle risultanze istruttorie per le ragioni esposte dal primo capoverso di pg. 14 al primo di pg. 16 della sentenza pertanto insindacabile in sede di legittimità che deve pertanto essere esclusa la ricorrenza della violazione di legge denunciata risultando, anziché la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e necessariamente implicante un problema interpretativo della stessa secondo la natura propria del vizio rubricato , piuttosto l’allegazione di quella della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione Cass. 4 aprile 2013, n. 8315 Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110 Cass. 11 gennaio 2016, n. 195 Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155 , qui da escludere che dalle superiori argomentazioni discende il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna R.M. alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 4.000,00, per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.