Dimissioni presentate nel corso della prosecuzione volontaria del lavoro: il lavoratore deve darne il preavviso

Il lavoratore può esercitare il diritto di opzione per la prosecuzione del servizio, ex art. 16, comma 1, d.lgs. n. 503/1992, e tale diritto comporta solamente lo slittamento in avanti dei termini dell’età pensionabile.

Sul punto è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con ordinanza n. 21449/18 depositata il 30 agosto. La vicenda. La Corte d’Appello, in riforma della sentenza del Tribunale, ordinava all’Agenzia delle Dogane di restituire al dipendente l’indennità di mancato preavviso quest’ultimo aveva rassegnato le proprie dimissioni dopo solo 6 giorni dall’inizio della prosecuzione volontaria del rapporto di lavoro a seguito del raggiungimento del 65esimo anno di età. Secondo la Corte territoriale il dipendente non era obbligato al preavviso, poiché nessuna norma lo prevede espressamente per la cassazione della sentenza ricorre l’Agenzia delle Dogane. La prosecuzione volontaria del rapporto di lavoro. Ricorda la Cassazione che l’esercizio del diritto di opzione da parte del lavoratore per la prosecuzione del rapporto di lavoro, ai sensi dell’art. 16, comma 1, d. lgs. 503/1992, comporta solo lo slittamento in avanti del termine dell’età pensionabile, senza modificare i diritti e i doveri delle parti che vi erano nel periodo precedente. Pertanto non si può ritenere che qualora il lavoratore intenda recedere nel corso del periodo di prosecuzione volontaria, autorizzato dal datore di lavoro, non sia obbligato a dare alla controparte il preavviso ai sensi dell’art. 2118 c.c Proprio per questa ragione il ricorso viene accolto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 30 maggio – 30 agosto, numero 21449 Presidente Napoletano – Relatore De Felice Fatto e diritto Rilevato che la Corte d’appello di Ancona, in riforma della sentenza del Tribunale, ha ordinato all’Agenzia delle Dogane di restituire al dipendente G.F. l’indennità di mancato preavviso alla cui corresponsione in favore della datrice lo stesso era stato condannato dal Giudice di primo grado il G. aveva rassegnato le proprie dimissioni dopo soli sei giorni dall’inizio della prosecuzione volontaria del rapporto di lavoro con l’Agenzia a seguito del raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età diversamente dal primo Giudice, la Corte d’Appello ha ritenuto che il dipendente, in caso di recesso dal periodo di prosecuzione volontaria, non fosse obbligato al preavviso, poiché nessuna norma prevede espressamente detto obbligo, né lo stesso può farsi derivare dai principi generali dell’ordinamento per la cassazione della sentenza ricorre l’Agenzia delle Dogane con due motivi, mentre G.F. non si costituisce, ma deposita memoria. Considerato che con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, numero 3 cod. proc. civ., la ricorrente deduce Violazione e falsa applicazione dell’art. 2118 cod. civ., nonché degli artt. 74 e 76 del c.c.numero l. delle Agenzie Fiscali . La pronuncia della Corte d’Appello avrebbe disatteso la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, nella disciplina della risoluzione del rapporto di lavoro, l’obbligo del preavviso si pone quale regola, le cui deroghe risultano espressamente individuate da specifiche disposizioni normative, nessuna delle quali richiamata dal Giudice dell’Appello per fondare la propria decisione. La pronuncia si discosta anche dalla contrattazione collettiva nazionale per il settore delle Agenzie Fiscali, quadriennio normativo 2002-2005, dove si prevede l’obbligo di preavviso in caso di dimissioni art. 76, co. 2 , dovendosi, in assenza, corrispondere all’altra parte un’indennità pari all’importo della retribuzione spettante per il periodo di mancato preavviso art. 74, co. 4 con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, numero 5 cod. proc. civ., lamenta Omessa motivazione su un punto decisivo e controverso del giudizio la Corte d’Appello avrebbe omesso di motivare in merito all’affermazione secondo la quale, in caso di prolungamento del servizio oltre il sessantacinquesimo anno di età, il rapporto di lavoro non risulta più retto dalla disciplina ordinaria che, sul punto specifico, sia la giurisprudenza costituzionale che quella di legittimità sono pacificamente di contrario avviso, nel ritenere che in caso di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, normalmente esercitata al fine di incrementare la propria anzianità contributiva, Io stesso rimane assoggettato al regime - reale od obbligatorio - applicabile alla fattispecie, nonché all’insieme delle regole che ne disciplinano l’estinzione va preliminarmente affermata l’irricevibilità della memoria difensiva presentata in prossimità dell’udienza dal G. , rimasto intimato in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, in assenza di controricorso, la parte intimata non può presentare memoria difensiva con la quale spiega - per la prima volta - le proprie ragioni di resistenza da ultimo cfr. Cass. numero 27140/2017 il primo motivo è fondato l’esercizio del diritto di opzione da parte del lavoratore per la prosecuzione del servizio, ai sensi dell’art. 16, comma 1 del d.lgs. numero 503 del 1992, comporta unicamente lo slittamento in avanti dei termini dell’età pensionabile, ma non modifica i diritti e doveri delle parti propri del periodo precedente, sicché non vi è motivo di ritenere che qualora il lavoratore intenda recedere nel corso del periodo di prosecuzione volontaria autorizzato dal datore non sia obbligato a dare alla controparte il preavviso ai sensi dell’art. 2118 cod. civ. e, nel caso qui esaminato, degli artt. 74 e 76 del CCNL delle Agenzie Fiscali per il quadriennio 2002-2005 in analoga fattispecie, si pronuncia in tal senso Cass. numero 6641/2012 anche il secondo motivo è fondato la Corte territoriale non motiva affatto l’affermazione secondo la quale il preavviso, oltre che non obbligatorio, si sarebbe rivelato altresì inutile in quanto riferito ad un’attività lavorativa che comunque avrebbe avuto termine, nella sua specificità, di maggiore rilevanza immediatamente p.3 sent. detta conclusione viene fatta conseguire dalla mancata conferma del G. nell’incarico di funzioni dirigenziali precedentemente ricoperto, e tuttavia la Corte d’Appello non esplicita l’iter logico - giuridico per il quale, pur a voler considerare il ricorrere di una siffatta circostanza, questa dovesse comportare l’inapplicabilità della disciplina contrattuale ordinaria sul recesso delle parti dal rapporto di lavoro anche a voler trascurare l’erroneità di quanto sostenuto, per avere, il Giudice di seconde cure assimilato il rapporto di lavoro proseguito oltre il sessantacinquesimo anno di età al conferimento dell’incarico di funzioni dirigenziali, che è per sua natura temporaneo, l’affermazione rimane apodittica e priva di motivazione in definitiva, essendo fondate le censure prospettate dall’Agenzia delle Dogane, il ricorso è accolto. La sentenza impugnata è cassata e la Corte, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., rigetta l’originaria domanda. Le spese dei giudizi di merito sono compensate in ragione dell’esito alterno degli stessi, mentre le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza si dà atto che non ricorrono i presupposti per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nei merito, rigetta l’originaria domanda. Compensa le spese dei giudizi di merito e condanna G.F. alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.