Regolarizzazione contributiva a carico del datore di lavoro dopo l’annullamento del licenziamento

Gli Ermellini affrontano il tema dell’individuazione del dies a quo del termine di prescrizione dei contributi previdenziali dovuti tra il licenziamento e la sentenza di reintegrazione.

Sul tema la sentenza n. 21371/18, depositata il 29 agosto. Il caso. Dopo essere stata licenziata, una lavoratrice otteneva la dichiarazione di illegittimità del licenziamento con reintegrazione nel posto di lavoro e condanna al pagamento delle retribuzioni maturate sino all’effettiva reintegrazione, nonché alla regolarizzazione contributiva. La lavoratrice veniva reintegrata solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza. L’INPS, rimasto estraneo al procedimento, veniva a sapere della ricostituzione del rapporto di lavoro solo qualche anno più tardi quando la lavoratrice denunciò l’omessa regolarizzazione contributiva, motivo per cui l’Istituto intimava la parte datrice di lavoro a provvedere alla regolarizzazione. La Corte d’Appello di Firenze ha rigettato l’opposizione alla cartella esattoriale proposta dalla società ritenendo non ancora prescritto il credito contributivo della lavoratrice. La società ricorre in Cassazione dolendosi per l’erronea individuazione della decorrenza del termine di prescrizione, fissato dal giudice di merito nel momento della comunicazione all’INPS da parte della lavoratrice dell’omesso versamento dei contributi. Regolarizzazione contributiva. Nel periodo compreso tra la data del licenziamento illegittimo e la pronuncia giudiziale di reintegra del lavoratore, il rapporto di lavoro è quiescente ma non estinto il rapporto assicurativo/previdenziale rimane dunque in vita, così come il corrispondente obbligo contributivo da parte del datore di lavoro a prescindere dall’erogazione della retribuzione. In materia trova infatti applicazione il principio secondo cui, alla base del calcolo dei contributi previdenziali, deve essere posta la retribuzione dovuta per legge o per contratto, non quella di fatto corrisposta. Il disposto dell’art. 18, comma 4, stat. lav., nel prevedere che la sentenza che ordina la reintegra del lavoratore condanna il datore di lavoro anche alla regolarizzazione contributiva, mira a tutelare il lavoratore illegittimamente licenziato ripristinando la complessiva posizione previdenziale a cui avrebbe avuto diritto laddove il rapporto di lavoro fosse proseguito senza soluzione di continuità. In conclusione, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 marzo – 29 agosto 2018, numero 21371 Presidente Berrino – Relatore Calafiore Fatti di causa 1. Con sentenza del 18 dicembre 2012 la Corte d’Appello di Firenze ha riformato la sentenza di primo grado con la quale era stata accolta, per la sola posizione della lavoratrice R.R. , per decorso del termine quinquennale di prescrizione, l’opposizione al ruolo ed alla cartella esattoriale, relativa al pagamento dei contributi dovuti sulle retribuzioni maturate dai lavoratori R.R. e M.V. nel periodo compreso tra il loro licenziamento e la reintegrazione a seguito di sentenza, proposta da Fezia Grandi Alberghi s.p.a. 2. La Corte territoriale, dato atto del passaggio in giudicato del capo di sentenza relativo al lavoratore M.V. , ha ricostruito in fatto la vicenda relativa a R.R. evidenziando che la stessa aveva lavorato per la opponente dal 22 gennaio 1996 al 16 febbraio 1996, data in cui fu licenziata con sentenza numero 840 del 1997, ormai definitiva, il pretore del lavoro annullò il licenziamento ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro unitamente alla condanna a provvedere al pagamento delle retribuzioni maturate sino all’effettiva reintegrazione ed alla regolarizzazione contributiva la lavoratrice fu reintegrata in data 5 novembre 1997 in forza dell’esecutività della sentenza di primo grado. 3. La Corte ha poi ritenuto certo che l’obbligo contributivo sorse sin dalla data del 22 gennaio 1996 in ragione dell’annullamento del licenziamento con effetto di ricostituzione ex tunc del rapporto di lavoro, ma che l’Inps era rimasto estraneo al giudizio relativo all’impugnativa di licenziamento per cui era venuto a conoscenza della ricostituzione del rapporto solo dalla data del 21 dicembre 2001 quando la lavoratrice presentò denuncia presso l’Istituto. Così l’INPS inviò alla Fezia Grandi Alberghi s.p.a. lettera racc.ta del 14 febbraio 2002 prodotta senza copia dell’atto di spedizione postale e della ricevuta di ritorno intimando di provvedere alla regolarizzazione. 4. Da tali considerazioni, dunque, la Corte territoriale ha tratto la conclusione della necessità di considerare il decorso del termine di prescrizione dei contributi dal 21 dicembre 2001, data in cui la lavoratrice portò a conoscenza dell’INPS l’avvenuta ricostituzione del rapporto di lavoro, in applicazione del principio espresso dall’art. 2935 cod. civ. con la conseguente infondatezza dell’eccezione di prescrizione del credito contributivo, che la Corte fiorentina ha ritenuto comunque quinquennale, posto che il verbale di accertamento era stato notificato il 23 luglio 2003. La Corte ha pure accolto il motivo d’appello dell’INPS relativo alle conseguenze sanzionatorie derivanti dall’evasione del debito contributivo. 5. Avverso tale sentenza la s.p.a. Fezia Grandi Alberghi s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi, cui resiste l’Inps con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e o la falsa applicazione degli artt. 2935 e 2943 cod. civ. in relazione all’art. 3, comma nove, legge numero 335 del 1995, nonché vizio di motivazione in punto di decorrenza del termine di prescrizione. Rileva, in particolare, la ricorrente che dall’autonomia dell’obbligazione contributiva e dal rilievo pubblicistico del regime di prescrizione dei contributi previdenziali, discenda, una volta venuti in essere i presupposti fattuali per l’esistenza dell’obbligo, l’irrilevanza della conoscenza effettiva di tali presupposti da parte dell’Istituto previdenziale creditore ai fini del decorso del termine prescrizionale. 2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e o falsa applicazione degli artt. 2935 e 2941 cod. civ. in relazione all’art. 3, comma nove, legge numero 335 del 1995, sotto il profilo dell’erronea applicazione di una causa di sospensione del termine. 3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935, 2943 e 2702 cod. civ. in relazione all’art. 3 comma nove I. numero 335 del 1995 e vizio di motivazione in relazione agli artt. 2697 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’erroneità dell’interpretazione dell’atto datato 21.12.2001 come denuncia proveniente dalla lavoratrice, trattandosi al più della parziale compilazione di un modulo privo di sottoscrizione. 4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione degli artt. 112, 329, 342, 346 e 434 cod. proc. civ. e vizio di ultrapetizione ai sensi dell’art. 360, primo comma, numero 4 e vizio di motivazione giacché non era stato devoluto in appello il capo della sentenza di primo grado riferito agli aspetti sanzionatori. 5. Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 116, comma otto, I. numero 388 del 2000, essendo insussistente l’ipotesi di evasione contributiva per assenza di intento fraudolento. 6. Il primo motivo è fondato. La fattispecie concreta oggetto di ricorso è pacificamente riferita alla pretesa dell’Inps di ottenere la condanna della società ricorrente al pagamento dei contributi dovuti in relazione al rapporto di lavoro intercorso con la lavoratrice R.R. nel periodo compreso tra il 19 febbraio 1996 data in cui la stessa fu licenziata ed il 5 novembre 1997 data in cui la lavoratrice fu reintegrata per effetto della sentenza del Tribunale di Firenze numero 840 del 1996, resa in giudizio cui l’INPS era rimasto estraneo . La questione giuridica che il motivo propone è, dunque, quella relativa alla individuazione del dies a quo del termine di prescrizione dei contributi previdenziali dovuti tra il licenziamento e la sentenza di reintegrazione a seguito del medesimo licenziamento, posto che in tale periodo il rapporto di lavoro subisce in fatto una interruzione. 7. Questa Corte di cassazione ha, in termini più generali, affermato Cass. numero 6095 del 1996 numero 1537 del 2000 SS.UU. numero 15143 del 2007 che nel periodo compreso fra la data dell’illegittimo licenziamento e quella della pronunzia giudiziale contenente l’ordine di reintegra del lavoratore, durante il quale il rapporto di lavoro è quiescente ma non estinto, rimangono in vita il rapporto assicurativo previdenziale, ed il corrispondente obbligo contributivo del datore di lavoro, indipendentemente e nonostante la mancata erogazione della retribuzione nel periodo predetto o un’erogazione a titolo di risarcimento del danno ex art. 18 Stat. lavoratori di retribuzioni per un ammontare inferiore a quello che il lavoratore avrebbe percepito se non fosse stato licenziato. 8. Infatti, in tema di obbligazione contributiva verso l’Inps, vale il principio secondo il quale, alla base del calcolo dei contributi previdenziali, deve essere posta la retribuzione dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo, non quella di fatto corrisposta, in quanto l’espressione usata dall’art. 12 della L. numero 153 del 1969 nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie concreta per indicare la retribuzione imponibile tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro va intesa nel senso di tutto ciò che ha diritto di ricevere , ove si consideri che il rapporto assicurativo e l’obbligo contributivo ad esso connesso sorgono con l’instaurarsi del rapporto di lavoro, ma sono del tutto autonomi e distinti, nel senso che l’obbligo contributivo del datore di lavoro verso l’istituto previdenziale sussiste indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d’opera siano stati in tutto o in parte soddisfatti, ovvero che il lavoratore abbia rinunciato ai suoi diritti cfr. tra le numerose decisioni, Cass. 15 maggio 1993, numero 5547 13 aprile 1999, numero 3630 11091 del 2005 . 8. In punto di conseguenze sanzionatorie derivanti dall’inadempimento di tale obbligo contributivo le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione, con la sentenza numero 19665 del 2014 hanno, poi, precisato che Il legislatore del 1990 L. 11 maggio 1990, numero 108 , nel novellare l’art. 18 cit., prevede espressamente, nel novellato art. 18, comma 4, che il giudice, con la sentenza che reca l’ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, condanna il datore di lavoro - oltre che al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa del licenziamento inefficace o invalido id est nullo o annullabile - al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione. L’intento del legislatore è stato quello di tutelare il lavoratore illegittimamente licenziato ripristinando integralmente la posizione previdenziale cui avrebbe avuto - diritto ove il rapporto di lavoro non avesse subito soluzioni di continuità talché ben poteva ritenersi che la base di calcolo della contribuzione dovuta fosse costituita dalla retribuzione alla quale il lavoratore avrebbe avuto diritto ove il rapporto non fosse stato interrotto a causa dell’illegittimo licenziamento. . Per effetto dell’ordine di reintegrazione il datore di lavoro è tenuto a ricostituire per il passato la posizione previdenziale del lavoratore, illegittimamente interrotta per effetto del licenziamento inefficace, nullo o annullabile ed a partire dall’ordine di reintegrazione è obbligato al versamento dei contributi periodici maturati periodicamente. Per gli uni e gli altri l’obbligo di denuncia sorge per effetto dell’ordine di reintegrazione talché a partire da tale momento può verificarsi l’ordinaria fattispecie dell’omissione o dell’evasione contributiva. Parimenti per il rapporto previdenziale c’è la ricostituzione de jure e conseguentemente la conformazione richiesta al datore di lavoro consiste nell’obbligo di pagare i contributi per il periodo pregresso, ricostituendo la posizione previdenziale illegittimamente interrotta affinché nessun detrimento derivi al lavoratore sotto questo profilo, e parimenti nell’obbligo di pagare i contributi per il periodo successivo all’ordine di reintegrazione rispettivamente sulla base della retribuzione che sarebbe spettata al lavoratore ove non fosse stato licenziato e, dopo la riattivazione della prestazione lavorativa, sulla base della retribuzione corrisposta”. 9. Ne discende con evidenza non solo lo stato di mera quiescenza, tra il licenziamento e l’ordine di reintegrazione, dell’obbligo contributivo del datore di lavoro verso l’Inps, derivante dal rapporto di lavoro, ma anche la necessaria considerazione che il dies a quo del decorso del termine prescrizionale non può che coincidere con il termine di scadenza successivo alla riattivazione dell’obbligazione stessa perché da questo momento ex art. 2935 cod. civ. il diritto dell’Ente previdenziale può essere fatto valere, assumendo il dato della avvenuta impugnazione del licenziamento e dello svolgimento del relativo processo, la valenza di mero impedimento fattuale e non giuridico rispetto alla possibilità di far valere il credito contributivo. Questa Corte di cassazione Cass. numero 10828 del 26 maggio 2015 ha affermato in proposito che l’impossibilità di far valere il diritto, alla quale l’art. 2935 cod. civ. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è solo quella che deriva da cause giuridiche che ne ostacolino l’esercizio e non comprende anche gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 cod. civ. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione, tra le quali, salva l’ipotesi di dolo prevista dal numero 8 del citato articolo, non rientra l’ignoranza, da parte del titolare, del fatto generatore del suo diritto, il dubbio soggettivo sull’esistenza di tale diritto, né il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento” tale principio va applicato nel caso di specie ove l’impedimento giuridico alla riattivazione dell’obbligo contributivo - che impediva al debitore di procedere al pagamento dei contributi relativi al rapporto di lavoro ed all’Ente di accettarli - è costituito dalla sentenza di reintegrazione nel posto di lavoro, mentre la mera conoscenza della stessa da parte dell’Inps assume il ruolo di mero stato soggettivo di ignoranza circa la sussistenza del presupposto giuridico del credito. 10. Dunque, per risolvere la questione controversa, la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare l’efficacia della denuncia della lavoratrice e degli atti interruttivi del termine quinquennale di prescrizione dei crediti contributivi, sulla base delle considerazioni sopra sviluppate, non considerando rilevante il momento di effettiva conoscenza da parte dell’Inps dell’avvenuta impugnazione del licenziamento e della consequenziale sentenza di reintegrazione. 9. Restando, così, assorbiti gli altri motivi la cui valutazione resta condizionata dall’esito del citato accertamento sull’effettivo decorso del termine di prescrizione, la sentenza impugnata va, dunque, cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione che procederà a valutare il decorso della prescrizione relativo agli obblighi contributivi oggetto di causa alla luce dei principi sopra enunciati e provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione che regolerà le spese del presente giudizio di legittimità.