La richiesta della comune volontà delle parti per la prosecuzione del rapporto di lavoro

In materia di trattamento pensionistico e proseguimento dell’attività lavorativa, la disposizione dell’art. 24, comma 4, d.l. n. 201/2011 non attribuisce al lavoratore il diritto protestativo a proseguire nel rapporto di lavoro fino al raggiungimento del 70esimo anno di età, poiché la norma non crea automatismo ma rende possibile tale continuazione solo in caso di accordo consensuale tra le parti.

In merito a ciò è tornata la Corte di Cassazione con sentenza numero 20089/18 depositata il 30 luglio. Il caso. La Corte territoriale respingeva il reclamo avverso la sentenza con la quale il Tribunale della stessa sede aveva ritenuto legittima la risoluzione del rapporto di lavoro adottata nei confronti di un lavoratore. In particolare i Giudici di secondo grado ritenevano che la disciplina applicabile agli iscritti all’istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani era quella assicurata dalle misure adottate dall’istituto stesso ai sensi dall’art. 24 d.l. numero 201/2011, così come previsto per gli iscritti ad altri enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza privatizzati, ex d. lgs. numero 509/1994. L’incentivazione al prolungamento del rapporto. Con consolidato orientamento giurisprudenziale il Supremo Collegio ribadisce che il legislatore, richiamando i cosiddetti limiti ordinamentali, intende precisare che l’incentivazione al prolungamento del rapporto di lavoro non deve contrastare con le disposizioni che regolano gli specifici comparti di appartenenza del lavoratore. Prosegue poi la Corte con l’esplicito richiamo al d.l. numero 101/2013, il quale prevede che per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni detto limite ordinamentale non è modificato dall’elevazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia. Il suo superamento è previsto solo per il trattenimento in servizio o per consentire all’interessato di conseguire la prima decorrenza utile della pensione.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 aprile – 30 luglio 2018, numero 20089 Presidente Bronzini – Relatore Leone Fatti di causa La Corte di appello di Milano con la sentenza numero 331/2016, in sede di procedimento di cui all’art. 1, comma 58 L.numero 92/2012, aveva respinto il reclamo avverso la sentenza con la quale il Tribunale della stessa sede aveva ritenuto legittima la risoluzione del rapporto di lavoro adottata da RCS MEDIAGROUP spa, nei confronti di A.M.A. , per raggiunti limiti di età. La Corte territoriale, prendendo atto della decisione delle Sezioni unite numero 17589/2015, aveva ritenuto che la disciplina applicabile agli iscritti all’istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani INPGI è quella assicurata dalle misure adottate dall’istituto stesso ai sensi dell’art. 24, comma 24, del D.L.numero 201/2011, così come previsto per gli iscritti agli altri enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza privatizzati ai sensi del d.lgs numero 509/94. Aveva inoltre ritenuto che, con riguardo ai trattamenti pensionistici ed al proseguimento dell’attività lavorativa, sempre in adesione alla decisione delle Sezioni Unite,la disposizione dell’art. 24, comma 4, del d.l.201/2011, non attribuisce al lavoratore il diritto postestativo a proseguire nel rapporto di lavoro sino al raggiungimento del 70 anno di età, in quanto la norma non crea alcun automatismo, ma rende possibile tale continuazione solo in caso di consensuale accordo tra le parti. Il giudice del gravame aveva infine escluso il carattere discriminatorio del recesso adottato dalla società. Avverso tale decisione l’A. proponeva ricorso affidandolo a due motivi cui resisteva la società con controricorso e memoria successiva. Ragioni della decisione 1 - Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 24, 4 comma del D.L. numero 201/2011, per aver, la Corte, ritenuto la non applicabilità della disposizione all’INPGI, in quanto ente privatizzato gestore di forma obbligatoria di assistenza e previdenza 2 - con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione del predetto art. 24, comma 4, per aver la sentenza impugnata, statuito che la disposizione non attribuisse alcun diritto potestativo al lavoratore di continuare il rapporto di lavoro sino al 70 anno di età, ma solo condizioni di incentivo alla prosecuzione consensuale del rapporto. Rileva il ricorrente che l’interpretazione data dalla Corte territoriale all’art. 24, comma 4, ignora la parte della disposizione in cui è espressamente prevista la applicazione della medesima alle forme sostitutive dell’assicurazione Generale obbligatoria. Peraltro l’Inpgi, a dire dell’A. è ente diverso dalle altre Casse privatizzate in quanto non solo ha una gestione obbligatoria ma anche sostitutiva. Il secondo motivo di censura tende a contestare la interpretazione della disposizione con riguardo alla possibilità di prosecuzione del rapporto sino al 70 anno di età, esclusa dalla Corte territoriale in assenza di un accordo consensuale tra le parti. Entrambi i motivi possono essere trattati congiuntamente perché attinenti alla interpretazione dell’art. 24, comma 4, e quindi a materia già affrontata dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza numero 17589/2015. Con riferimento alla prima censura è stato ritenuto che tra le forme esclusive e sostitutive dell’AGO, cui è riferita la disciplina del richiamato comma 4, non rientri alcuno degli enti privatizzati a seguito del d.lgs. numero 509, e ricompresi nella tabella ad esso allegata. Infatti, la circostanza che per indicare le disposizioni dirette ad attuare il contenimento della spesa pensionistica riservate agli iscritti dagli enti privatizzati gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza il legislatore abbia indicato una sede specifica il comma 24 , diversa da quella riservata alle misure concernenti coloro che sono iscritti all’AGO e alle forme esclusive e sostitutive della medesima comma 4 e seguenti , è chiaro indice della volontà di adottare due diversi schemi di intervento. Di modo che deve escludersi che, nonostante l’ambiguità dell’espressione normativa, le disposizioni contenute nell’art. 24, comma 4, possano avere una estensione così ampia da abbracciare anche posizioni assicurative ricomprese nell’ambito del successivo comma 24. Tale convinzione nasce innanzitutto da una fondamentale esigenza di logicità dell’intervento legislativo, in quanto sarebbe incomprensibile la ragione per cui il legislatore dopo aver affermato la rilevata divaricazione, coerente con i principi generali dell’ordinamento previdenziale, al punto da prevedere due differenti sedes materiae, consenta allo stesso tempo una commistione tra i diversi sistemi. Tale commistione sarebbe tanto più grave ove si consideri che i due sistemi previdenziali sono fondati su principi organizzativi diversi, essendo le contribuzioni, i requisiti soggettivi e le modalità di godimento delle prestazioni per l’AGO fissati di rettamente dalla legge, e per gli enti privatizzati rimessi ai rispettivi statuti e regolamenti, seppure sotto la vigilanza dell’Autorità centrale. Nulla ovviamente avrebbe impedito al legislatore di procedere ad una determinazione autoritativa anche per gli iscritti agli enti privatizzati, ma non è questo il caso, atteso che, in considerazione delle rilevate diversità dei sistemi, sarebbe stata necessaria una espressa disposizione derogatoria. Le Sezioni Unite hanno quindi chiarito, anche valutando le differenti opzioni interpretative della disposizione, ivi comprese quelle proposte dall’attuale ricorrente , le ragioni della non applicabilità all’Inpgi della disciplina del richiamato art. 24, c.4 del decreto legge numero 201/2011. Anche con riguardo alla seconda censura Le Sezioni Unite con la richiamata sentenza hanno stabilito che il legislatore con il richiamo ai limiti ordinamentali intende precisare che la incentivazione al prolungamento del rapporto di lavoro non deve collidere con le disposizioni che, sul piano legislativo regolano gli specifici comparti individuati sulla base della disciplina del rapporto tanto sul piano della regolazione sostanziale che di quella previdenziale di appartenenza del lavoratore e che potrebbero essere ostativi al nuovo regime previsto dalla disposizione in esame. Di fronte alla genericità della formulazione della disposizione legislativa, quella che viene qui sostenuta, rappresenta l’interpretazione più ragionevole della norma, coerente con la soluzione sopra adottata, secondo cui i regimi previdenziali toccati dall’art. 24, comma 4, sono solo quelli regolati per legge. Tale conclusione trova in qualche modo conferma nella disposizione del decreto-legge 31.08.13 numero 101, conv. dalla l. 30.10.13 numero 125, che, nell’ambito del perseguimento di obiettivi di razionalizzazione della spesa nelle pubbliche amministrazioni e nelle società partecipate, all’art. 2, comma 5, dà l’interpretazione autentica dell’art. 24, comma 4, sopra indicato. Detto d.l. numero 101 del 2013 prevede, infatti, che per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni il limite ordinamentale, previsto dai singoli settori di appartenenza per il collocamento a riposo d’ufficio e vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso, non è modificato dall’elevazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia. Il suo superamento, precisa la norma, è possibile solo per il trattenimento in servizio o per consentire all’interessato di conseguire la prima decorrenza utile della pensione. Inoltre, la disposizione nel prevedere che il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni non attribuisce al lavoratore un diritto di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, né consente allo stesso di scegliere tra la quiescenza o la continuazione del rapporto, ma prevede solo la possibilità che, grazie all’operare di coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settanta anni, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore. È questo il senso della locuzione è incentivato dall’operare dei coefficienti di trasformazione , la quale presuppone che non solo si siano create dette più favorevoli condizioni previdenziali, ma anche che, grazie all’incentivo in questione, le parti consensualmente stabiliscano la prosecuzione del rapporto sulla base di una reciproca valutazione di interessi Cass. SU numero 17589/2015 . La chiara indicazione delle Sezioni Unite rende conseguente affermare che la norma, nell’incentivare il proseguimento del rapporto sino al 70 anno, non individui un diritto soggettivo in capo al lavoratore indipendentemente dalla volontà comune del datore di lavoro. Essa dispone una situazione di semplice favor nei confronti del prolungamento del rapporto che, considerando i fermi limiti ordinamentali dei rispettivi settori , presuppone e richiede la comune volontà delle parti del rapporto sulla prosecuzione dello stesso. Il ricorso deve essere rigettato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.