La Cassa dei commercialisti può verificare il legittimo esercizio della professione

La Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Dottori Commercialisti è titolare del potere di accertare in via autonoma, sia in fase di iscrizione che successivamente, e comunque prima dell’erogazione del trattamento previdenziale, il legittimo esercizio della professione.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19638/18, depositata il 24 luglio. La vicenda. La Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Dottori Commercialisti, vedendo confermata la sentenza di prime cure con cui gli veniva negato il potere autonomo di verifica dei requisiti di legittimità dell’esercizio della professione ai fini del riconoscimento dei corrispondenti anni di iscrizione ritenuti insussistenti nel caso di specie , ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Palermo. In particolare viene dedotta la violazione dell’art. 22 l. n. 21/1986 per aver la Corte territoriale negato la possibilità di verificare situazioni di incompatibilità nell’esercizio della professione di commercialista ostative al perdurare dell’iscrizione previdenziale, poteri che sarebbero impliciti nella competenza all’accertamento dell’effettivo in quanto legittimo esercizio dell’attività propria del commercialista. Potere di verifica della Cassa. La Corte ritiene fondata la censura richiamando una pronuncia dello scorso anno sentenza n. 2612/17 con la quale le Sezioni Unite avevano chiarito che la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei commercialisti è titolare del potere di accertare, sia in fase di iscrizione che successivamente e comunque prima dell’erogazione del trattamento previdenziale, il legittimo esercizio della corrispondente professione soprattutto in relazione all’insussistenza di situazioni di incompatibilità di cui all’art. 3 d.P.R. n. 1067/1958, anche se tale verifica non sia stata svolta dal Consiglio dell’Ordine competente. Non può a tal fine essere ravvisato alcun ostacolo nella carenza di una specifica procedura per l’esercizio del summenzionato potere autonomo di accertamento, risultando comunque assicurate le garanzie procedimentali dalle norme generali di cui alla l. n. 241/1990. Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 aprile – 24 luglio 2018, n. 19638 Presidente Manna – Relatore Bellè Fatti di causa 1. La Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, avverso la sentenza n. 1129/2013 della Corte d’Appello di Palermo che aveva confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede, con la quale si era ritenuto che alla Cassa non spettasse un potere autonomo, qualora fosse mancata una conforme decisione del relativo Ordine professionale, di verificare i requisiti di legittimità dell’esercizio della professione, ai fini del riconoscimento dei corrispondenti anni di iscrizione, requisiti che nel caso di specie, secondo la predetta Cassa, non sarebbero sussistiti a causa dell’esercizio da parte del ricorrente S. , dal 2003 al 2008, del ruolo di amministratore unico e socio al 75 % della società Pantelleria s.r.l 2. La sentenza, in ragione di quanto sopra, aveva altresì accolto la domanda dello S. di percezione della pensione di vecchiaia, attraverso la fruizione anche di quegli anni di iscrizione. 3. Lo S. ha resistito con controricorso e la Cassa ha depositato memoria illustrativa. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente adduce vizio di motivazione della sentenza impugnata, ai sensi del novellato art. 360 n. 5 c.p.c., per avere il giudice dell’appello errato nell’affermare che il Consiglio dell’Ordine avrebbe escluso la sussistenza delle cause di incompatibilità, poi accertate dalla Cassa, nel periodo 2003-2008, in quanto in realtà la delibera consiliare aveva semplicemente accertato l’avvenuta rimozione di quelle incompatibilità nel 2009 e non l’insussistenza di esse nel passato. Con il secondo motivo la Cassa afferma, ex art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 22 L. 21/1986, per essere stata ad essa negata la possibilità di verificare le situazioni di incompatibilità nell’esercizio della professione ostative al perdurare, nei corrispondenti periodi, dell’iscrizione in ambito previdenziale, poteri in realtà impliciti nell’attribuzione, di cui all’art. 22 cit., della competenza ad accertare l’effettivo, da intendersi anche come legittimo, esercizio dell’attività propria del dottore commercialista. Con il terzo motivo si sostiene che l’interpretazione adottata dalla Corte territoriale creerebbe la violazione del principio di uguaglianza e quindi dell’art. 3 Cost., in quanto tratterebbe in modo identico la situazione di chi sia regolarmente iscritto alla Cassa e di chi, per illegittimità attinenti all’iscrizione all’Ordine, non dovrebbe esserlo. Con il quarto ed ultimo motivo è addotta la violazione dell’art. 1, commi 1 e 3, nonché dell’art. 2 d.lgs. 509/1994, in quanto l’erogazione della prestazione previdenziale a favore di un soggetto che non ne avrebbe diritto per illegittima iscrizione all’Albo determinerebbe un indebito pregiudizio per le finanze dell’ente privatizzato. 2. Il secondo motivo è logicamente preliminare ed è fondato. 3. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito, con principi qui condivisi, che la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti è titolare del potere di accertare, sia all’atto dell’iscrizione ad essa, sia periodicamente, e comunque prima dell’erogazione di qualsiasi trattamento previdenziale, ed a tale limitato fine, che l’esercizio della corrispondente professione non sia stato svolto nelle situazioni di incompatibilità di cui all’art. 3 del d.p.r. 1067/1953 ora art. 4 del d.lgs. 139/2005 , ancorchè quest’ultima non sia stata accertata dal Consiglio dell’Ordine competente. In particolare, detto autonomo potere di accertamento sussiste nel momento della verifica dei presupposti per l’erogazione del trattamento previdenziale, al quale si associa naturalmente la cessazione dell’iscrizione all’Ordine, non potendosi ravvisare ostacolo alcuno nella carenza di una procedura specifica per l’esercizio di esso, risultando le garanzie procedimentali suscettibili di essere in ogni caso assicurate dall’osservanza delle norme generali di cui alla L. 241/1990 Cass., S.U., 1 febbraio 2017, n. 2612 conforme, in precedenza, Cass. 13 novembre 2013, n. 25526 . La Corte territoriale non si è attenuta a tali principi e ciò comporta la cassazione della pronuncia impugnata. I restanti motivi restano assorbiti e va disposto rinvio alla medesima Corte d’Appello affinché riesamini le circostanze delle domande di causa alla luce di quanto, nei termini di cui sopra, qui stabilito. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione.