Consentito il licenziamento in mancanza dell’autorizzazione del datore di lavoro alla fruizione delle ferie

Le giustificazioni rese in sede disciplinare dal lavoratore sono utili a dimostrare il carattere della buona fede del comportamento di questi in merito alla convinzione di essere autorizzato a fruire del periodo di ferie non correttamente” richiesto al datore di lavoro, ma non a fornire la prova positiva della autorizzazione stessa.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 17885/18 depositata il 6 luglio. Il fatto. La Corte d’Appello rigettava la domanda di annullamento del licenziamento intimato al lavoratore dalla società datrice di lavoro per assenza ingiustificata di 11 giorni sul posto di lavoro, poiché riteneva provato l’allontanamento per la fruizione di ferie senza l’autorizzazione del datore di lavoro. Avverso la sentenza di secondo grado il lavoratore ricorre per la cassazione sostenendo che si trovava in una situazione psicologica di buona fede quando aveva confidato che l’autorizzazione alla fruizione delle ferie rilasciata oralmente a suo fratello anch’egli dipendente della stessa società e interessato allo stesso periodo di ferie comprendesse anche la sua posizione. La valutazione della buona fede del lavoratore. Occorre ribadire che la valutazione della sussistenza della buona fede in capo al lavoratore riguarda valutazioni di merito che non rientrano nella presente sede di legittimità, poiché in tale sede non è riconosciuto il potere di riesaminare il merito della causa, ma solo quello di controllare la valutazione fatta dal giudice del merito. E nel caso in esame non risulta agli Ermellini alcuna lacuna o contraddizione di tal specie nella sentenza impugnata, in particolare quando sottolinea che le giustificazioni rese dal lavoratore nei precedenti gradi di giudizio dimostrano la sua buona fede ma non sono la prova positiva dell’autorizzazione alla fruizione del periodo di ferie da parte del datore di lavoro. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 17 aprile – 6 luglio 2018, n. 17885 Presidente Manna – Relatore Boghetich Rilevato in fatto che con sentenza del 30.4.2016 la Corte d’Appello di Venezia, in riforma della pronuncia di prime cure, ha rigettato la domanda di annullamento del licenziamento intimato il 6.9.2013 a B.G.R. dalla società Fratelli Bu. Autotrasporti s.n.c. di Bu.Gi. , Ma. e Mo. per assenza ingiustificata nel periodo 1223.8.2013, ritenendo dimostrato l’allontanamento dal posto di lavoro per fruizione delle ferie senza l’autorizzazione del datore di lavoro, come da prima contestazione disciplinare spedita il 12.8.2013 e da successiva contestazione concernente la recidiva nell’assenza che avverso l’anzidetta sentenza, il B. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da memoria che l’azienda ha depositato controricorso. Considerato in diritto che con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge in relazione alla sussistenza della buona fede del lavoratore nonché vizio di motivazione in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ. avendo, la Corte distrettuale, trascurato che il lavoratore si trovava in una situazione psicologica di incolpevole buona fede avendo confidato che l’autorizzazione alla fruizione del periodo di ferie rilasciata oralmente al fratello anch’esso dipendente della società ed interessato al medesimo periodo di ferie necessitate dalla partecipazione ad un matrimonio comprendesse anche la sua posizione che con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione di clausole contrattuali art. 32 del C.C.N.L. Logistica, Trasporto, Merci e Spedizioni avendo, la Corte distrettuale, trascurato che l’assenza effettuata concerneva un unico periodo continuativo con esclusione, pertanto, di ogni recidiva nel comportamento disciplinarmente sanzionato e che il contratto collettivo prevedeva infrazioni analoghe punite con sanzione conservativa da applicare anche al caso di specie che il primo motivo è inammissibile in quanto la sussistenza della bua fede in capo al lavoratore attiene a valutazioni di merito che non possono trovare ingresso nella presente sede di legittimità, dal momento che, nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le allegazioni e le prove offerte dalle parti, risolvendosi esclusivamente in un controllo di logicità del giudizio del fatto che, inoltre, il controllo di logicità del giudizio di fatto è, nella presente fattispecie, consentito alla luce dell’art. 360 cod.proc.civ , primo comma, n. 5 nella formulazione successiva alla novella introdotta con il D.L. n. 83 del 2012, conv. nella L. n. 134 del 2012 trattandosi di sentenza depositata dopo l’11.9.2012 ed essendo denunciabile come precisato da Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014 e dalle successive pronunce conformi solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, non è rinvenibile alcuna lacuna o contraddizione di tal specie nella sentenza impugnata che ha precisato come le stesse giustificazioni rese in sede disciplinare dal lavoratore sono volte a dimostrare la buona fede del lavoratore in merito alla convinzione di essere autorizzato, ma non a fornire la prova positiva della autorizzazione che gli ulteriori motivi sono infondati avendo la Corte distrettuale, sotto il profilo della valutazione della proporzionalità della sanzione all’infrazione commessa, rilevato che non erano assimilabili, al caso di specie, le ipotesi specificamente previste dal C.C.N.L. applicato in azienda e sanzionate con provvedimenti conservativi, trattandosi, con riguardo all’ipotesi di assenza per malattia simulata di un allontanamento temporaneo, nonché sottolineato che la condotta presentava profili di gravità tali da incidere sull’obbligo di fedeltà e di diligenza a fronte di una assenza protratta non solo per il week end ma per un lungo periodo, priva di certezza sul rilascio dell’autorizzazione da parte del datore di lavoro della quale conosceva la necessità e di iniziative quali la chiamata telefonica dell’azienda per la verifica della regolarità dell’assenza pag. 10 della sentenza impugnata che, inoltre, con riguardo alla recidiva profilo esaminato non in quanto elemento costitutivo dell’infrazione bensì ai fini della regolarità dell’iter disciplinare , la Corte distrettuale ha correttamente escluso la violazione del principio del contraddittorio, di fonte legale e contrattuale, posto a tutela del lavoratore nell’ambito del procedimento disciplinare, avendo consentito - la doppia contestazione - la possibilità di immediata conoscenza del fatto l’assenza del primo giorno e la fruizione di un congruo termine a difesa che il ricorso va, pertanto, rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ. che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 legge di stabilità 2013 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.