Licenziabile l’operaio troppo lento

L’uomo è finito sotto accusa per i tempi con cui ha realizzato una lavorazione. A inchiodarlo, però, anche alcuni precedenti, sempre riguardanti negligenza” e lentezza”. I Giudici danno ragione all’azienda e rendono definitivo il licenziamento.

Licenziabile l’operaio troppo lento. Così si può riassumere la vicenda che ha visto protagonista il dipendente – oramai ex – di un’azienda operativa nel settore delle energie alternative. I Giudici del Palazzaccio hanno respinto definitivamente le sue obiezioni rispetto al licenziamento deciso dalla società e poggiato sull’eccessivo tempo impiegato per una lavorazione. Cassazione, sentenza n. 17685/18, sez. Lavoro, depositata il 5 luglio Lentezza nell’esecuzione del lavoro. Ricostruito l’episodio incriminato il lavoratore è finito nel mirino per avere impiegato più di tre ore e mezza di tempo per eseguire una lavorazione che , secondo l’azienda, un operaio con esperienza analoga avrebbe eseguito in poco più di mezz’ora . A renderne più delicata la posizione, poi, anche tre precedenti sanzioni disciplinari . Per la società è logico il licenziamento , che viene confermato dai Giudici del Tribunale prima e della Corte d’Appello poi. Decisiva la recidiva dell’operaio nella voluta negligenza e nella lentezza nell’esecuzione del lavoro . Inutile si rivela il ricorso in Cassazione proposto dal legale del lavoratore. I Giudici del Palazzaccio, difatti, conferma il provvedimento aziendale, proprio alla luce delle precedenti contestazioni subite dal lavoratore, e respingono l’ipotesi che vi sia stato un controllo eccessivo da parte della società. Su quest’ultimo fronte, in particolare, ribadiscono che è legittima l’installazione di impianti ed apparecchiature di controllo poste per esigenze organizzative e produttive o a tutela del patrimonio aziendale e da cui non derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività lavorativa né risulti in alcun modo compromessa la dignità e la riservatezza dei lavoratori .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 aprile – 5 luglio, n. 17685 Presidente Manna – Relatore Boghetich Rilevato che con sentenza depositata il 15.03.2016 la Corte di appello di Genova, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto il reclamo proposto dal sig. Ed. Ab. e per l'effetto ha rigettato la domanda di annullamento del licenziamento disciplinare intimatogli in data 03.12.2013 dalla società R.G.M. S.p.A., per aver impiegato più di 3,5 ore di tempo per eseguire una lavorazione che un operaio con esperienza analoga avrebbe eseguito in poco più di mezz'ora, considerate - quali elementi costitutivi del potere espulsivo - tre precedenti sanzioni disciplinari conservative che la Corte territoriale, dopo aver rilevato la sussistenza della recidiva in capo all'Ed., già destinatario di tre precedenti provvedimenti disciplinari di sospensione del 12.1.2011, del 16.9.2013 e del 30.9.2013 , ritenuti dalla Corte medesima validi ed efficaci, e dopo aver altresì rilevato che la domanda riguardante la violazione dell'art. 4 della legge 20 maggio 1970. n. 300 fosse stata tardivamente proposta e, comunque, non fondata nel merito per impossibilità di comprendere tra i controlli a distanza l'uso di un lettore ottico e di un codice a barre , concludeva per la legittimità del licenziamento disciplinare comminato ai sensi dell'art. 10 CCNL settore Metalmeccanica Industria privata, poiché correttamente sorretto dalla recidiva in una qualunque delle mancanze previste dall'art. 9 CCNL, tra cui la voluta negligenza o lentezza nell'esecuzione del lavoro che per la cassazione della sentenza il sig. Ed. propone ricorso affidato a tre motivi illustrati da memoria che la società ha depositato controricorso che il P.G. in data 26.3.2018 ha chiesto il rigetto del ricorso Considerato che con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9 e 10 CCNL metalmeccanici, dell'art. 99 cod.pen. nonché dell'art. 7, Statuto dei Lavoratori ex art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ. , per non aver la Corte distrettuale correttamente interpretato ed applicato l'istituto della recidiva, la cui disciplina va mutuata esclusivamente dal processo penale, con conseguente necessità della ricorrenza di due precedenti provvedimenti definitivi ossia confermati con sentenza passata in giudicato , tra i quali non può annoverarsi la contestazione disciplinare del 30.9.2013, impugnata in sede giudiziale che con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 8, 9 e 10 CCNL in relazione all'art. 7, Statuto dei Lavoratori ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ. avendo, la Corte distrettuale ritenuto efficace anche la contestazione del 16.9.2013 in considerazione della sua applicazione da parte del datore di lavoro, nonostante fosse stato contestato il vizio di omessa comunicazione che con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 4, L. 20 maggio 1970, n. 300 ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ. , avendo erroneamente la Corte territoriale ritenuto tardivamente sollevato e, comunque, infondato l'ulteriore motivo di illegittimità del licenziamento consistente nella sottoposizione del lavoratore a controlli a distanza che il primo motivo di ricorso è infondato, atteso che l'istituto della recidiva presenta caratteri autonomi rispetto all'istituto regolato dal diritto penale, costituendo espressione unilaterale di autonomia privata del datore di lavoro, in relazione alla quale l'impugnazione da parte del lavoratore sanzionato è solo eventuale e, in ogni caso, non costituisce causa di sospensione della sua efficacia cfr. sulla efficacia delle sanzioni disciplinari temporaneamente sospese, ex art. 7, comma 6, della legge n. 300 del 1970, a seguito di costituzione del collegio di conciliazione ed arbitrato, Cass. n. 7719 del 2016, Cass. n. 172 del 2005, Cass. 3915 del 1996 che il secondo motivo, attesa la reiezione del primo, oltre che risultare ultroneo essendo sufficiente, ai sensi dell'art. 10 del CCNL di settore, la sussistenza di due precedenti disciplinari , risulta comunque inammissibile, per avere ricondotto sotto l'archetipo della violazione di legge censure che in realtà si risolvono nella diversa valutazione delle risultanze istruttorie, avendo - la Corte territoriale - ritenuto sfornita di prova la deduzione della mancata notifica del provvedimento disciplinare del 16.9.2013, né risultando che il CCNL richiedesse una veste formale specifica per la comunicazione di una sanzione disciplinare che il terzo motivo di ricorso appare inammissibilmente formulato perché, senza contestare la statuizione di tardività della dedotta violazione dell'art. 4 della legge n. 300 del 1970 in quanto profilo sollevato solamente in sede di discussione della causa , sollecita una diversa lettura delle risultanze procedimentali in ordine alla percezione della condotta datoriale illegittima, sindacato non suscettibile di vaglio in sede di legittimità che, ferma l'inammissibilità per carenza di impugnazione di entrambe le rationes decidendi, la Corte territoriale ha correttamente affermato - in conformità a orientamento consolidato di questa Corte - che, in tema di controllo del lavoratore, non è soggetta alla disciplina dell'art. 4, comma 2, legge n. 300 del 1970, l'installazione di impianti ed apparecchiature di controllo poste per esigenze organizzative e produttive o a tutela del patrimonio aziendale dalle quali non derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività lavorativa né risulti in alcun modo compromessa la dignità e riservatezza dei lavoratori cfr. da ultimo, Cass. n. 22662 del 2016 Cass. n. 2531 del 2016, in motivazione Cass. n. 10636 del 2017 che, in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall'art. 91 cod.proc.civ. che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 legge di stabilità 2013 P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis dello stesso articolo 13.