Licenziamento giustificato in caso di crisi aziendale con carattere non transeunte

Il licenziamento può essere intimato per giustificato motivo oggettivo, qualora la necessità di sopprimere un dato posto di lavoro derivi da una crisi aziendale non limitata nel tempo o dalla necessità di ridurre i costi.

Sul punto si è espressa la Suprema Corte con sentenza n. 17200/18 depositata il 2 luglio. La vicenda. La Corte d’Appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado, dichiarava illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore, condannando la società datrice di lavoro a reintegrare il dipendente nel proprio posto di lavoro e a risarcirgli i danni. La società propone così ricorso in Cassazione lamentando violazione dell’art. 3 della l. n. 604/1966, per aver la Corte territoriale affermato che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non poteva essere intimato se non in presenza di una effettiva crisi aziendale di cui nulla diceva la lettera di licenziamento e accertato che lo svolgimento del lavoro da parte del dipendente non poteva da solo giustificare il licenziamento stesso, dal momento che questi svolgeva anche altre mansioni. Le ragioni del giustificato licenziamento. Poiché il citato motivo di ricorso per cassazione non è rivolto a censurare detta statuizione, interviene sul punto il giudicato interno, che rende inammissibile l’impugnazione per difetto di interesse, dato che l’eventuale accoglimento del ricorso non produrrebbe effetti in ordine ad una statuizione che resterebbe comunque ferma per la mancata impugnazione della distinta ragione del decidere fondata sul difetto di causalità del licenziamento rispetto all’intervenuta modifica organizzativa . Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - L, ordinanza 5 aprile – 2 luglio 2018, n. 17200 Presidente Curzio – Relatore Cavallaro Rilevato in fatto che, con sentenza depositata il 29.7.2016, la Corte d’appello di Napoli, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a B.P. da Caseificio Fratelli B. s.r.l., condannando la società datrice di lavoro a reintegrare il dipendente nel proprio posto di lavoro e a risarcirgli i danni che avverso tale pronuncia Caseificio Fratelli B. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura che B.P. ha resistito con controricorso che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio che parte controricorrente ha depositato memoria. Considerato in diritto che, con l’unico motivo di censura, parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 3, l. n. 604/1966, per avere la Corte di merito ritenuto che un licenziamento non potesse essere intimato se non quando la necessità di sopprimere quel dato posto di lavoro derivasse da una crisi aziendale di carattere non transeunte che la sentenza gravata, oltre ad affermare che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non poteva essere intimato se non in presenza di crisi, necessità di ridurre i costi o altri motivi relativi allo sfavorevole andamento economico aziendale , di cui la lettera di licenziamento nulla diceva, ha accertato che la esternalizzazione del lavaggio dei secchi non poteva da sola giustificare l’atto risolutivo , dal momento che l’odierno controricorrente in ogni caso svolgeva anche altre mansioni così la sentenza impugnata, pag. 5 che, non essendo il motivo del ricorso per cassazione espressamente rivolto a censurare detta statuizione, deve ritenersi intervenuto sul punto il giudicato interno, che rende logicamente inammissibile l’impugnazione per difetto d’interesse v. in tal senso Cass. n. 2970 del 1981 e, più di recente, Cass. nn. 14740 del 2005, 6045 del 2010, 22753 del 2011, 18641 del 2017 , dal momento che l’eventuale accoglimento delle doglianze di parte ricorrente sarebbe del tutto improduttivo di effetti in ordine ad una statuizione che resterebbe comunque ferma per la mancata impugnazione della distinta ratio decidendi fondata sul difetto di causalità del licenziamento rispetto all’intervenuta modifica organizzativa che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.