Limiti reddituali e diritto all’assegno sociale per il coniuge effettivamente separato

L’INPS denuncia l’insussistenza dei requisiti di reddito per l’accoglimento della domanda dell’interessata volta ad ottenere l’assegno sociale sul presupposto che la stessa, rinunciando all’assegno di mantenimento dopo la separazione dal marito, si fosse volontariamente posta in una situazione di autosufficienza economica. I Giudici di merito, al contrario, avevano ritenuto che la separazione effettiva della richiedente dal marito era sufficiente per considerare, ai fini della fruizione del beneficio, il solo reddito individuale. La questione è risolta dalla Suprema Corte.

Sul punto la Cassazione con sentenza n. 16852/18, depositata il 26 giugno. La vicenda. L’INPS ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello di Bologna con la quale veniva confermata la decisione di prime cure di accoglimento delle domanda dell’interessata volta ad ottenere l’assegno sociale di cui all’art. 3, comma 6, l. n. 335/1995 Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare . Nel merito il Giudice di merito rilevava la sussistenza dei requisiti previsti dal citato articolo ed in particolare, il reddito individuale inferiore al limite di legge della richiedente, stante la separazione dal coniuge provata dal ricorso e dal decreto di omologazione del giudice . Rinuncia all’assegno di mantenimento e separazione effettiva. A sostegno della decisione il Giudice osservava che la situazione dell’istante doveva essere equiparata a quella di persona non coniugata, non essendo previsto nel decreto di omologazione della separazione un assegno di mantenimento e sul presupposto che la residenza comune non era indice sufficiente di una separazione non effettiva. Secondo l’INPS, al contrario, il fatto che la richiedente avesse mantenuto la residenza nella casa coniugale dopo la separazione e che avesse rinunciato all’assegno di mantenimento ponendosi volontariamente in uno stato di non autosufficienza è prova dell’insussistenza delle condizioni reddituali per aver diritto all’assegno sociale. La Cassazione ha ritenuto che la doglianza dell’ente previdenziale si risolve in una inammissibile richiesta di rivalutazione dei fatti, i quali sono stati definitivamente e puntualmente accertati dai Giudici di merito. In particolare nella fattispecie in esame i Giudici esaminando il reddito individuale dell’interessata, ai sensi dell’art. 70, comma 2, l. n. 388/2000 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato secondo il quale solo il reddito del coniuge legalmente ed effettivamente separato non si cumula con quello del richiedente, hanno escluso l’ipotesi di separazione non effettiva pur valutando il mantenimento della residenza del marito presso la casa coniugale, ma ritenendolo indice non univoco, né sufficiente . In conclusione il ricorso è rigettato e il Collegio condannava altresì l’INPS al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 aprile – 26 giugno 2018, n. 16852 Presidente Manna – Relatore D’Antonio Fatti di causa La Corte d’appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Forlì di accoglimento della domanda di F.F. volta ad ottenere l’assegno sociale di cui all’art. 3, comma 6, L. n. 335/1995 con decorrenza dall’1/1/2011. La Corte territoriale ha, preliminarmente, rigettato l’eccezione sollevata dall’Inps di inammissibilità del ricorso per non avere la ricorrente dichiarato il valore della prestazione dedotta in giudizio quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo, in violazione dell’art. 152 disp. Att Ha rilevato, infatti, che la norma citata si riferiva solo alle prestazioni previdenziali e non anche a quelle assistenziali, quale quella in esame. Nel merito ha rilevato la sussistenza dei requisiti di cui all’art. 3, comma 6, della L. n. 335/1995 ed in particolare un reddito individuale, stante la formale e dimostrata separazione dal coniuge, inferiore al limite stabilito dalla legge. Ha richiamato, infatti, che in atti vi era il ricorso per separazione consensuale e il decreto di omologa che la situazione della F. doveva essere equiparata a quella di persona non coniugata non essendo previsto nel decreto un assegno di mantenimento e che il mantenimento da parte del coniuge della residenza presso la casa coniugale,come risultante dallo stato di famiglia depositato dalla ricorrente, non costituiva indice, univoco e sufficiente, di una separazione non effettiva. Avverso la sentenza ha proposto ricorso in cassazione l’Inps con due motivi cui ha resistito la F. con controricorso e poi memoria ex art. 378 cpc. Ragioni della decisione 1 Con il primo motivo l’Inps rinnova l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 152, ultimo periodo, disp. Att. Cpc. La questione è superata a seguito della sentenza della Corte Cost., n. 241/2017 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 152, ultimo periodo, disp.att. cpc, come modificato dall’art. 38, comma 1, lettera b , n. 2, del D.L. n. 98/2011 Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria , convertito, con modificazioni, nella L. n. 111/2011, che, nei giudizi per prestazioni previdenziali, sanzionava, con l’inammissibilità del ricorso, l’omessa indicazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, il cui importo doveva essere specificato nelle conclusioni dell’atto introduttivo. La Corte Costituzionale ha sottolineato che le conseguenze sfavorevoli derivanti dall’inammissibilità non sono adeguatamente bilanciate dall’interesse ad evitare l’abuso del processo che è già efficacemente realizzato dalla disciplina introdotta dalla novella di cui all’art. 52 della legge n. 69 del 2009 e che, quindi, l’eccessiva gravità della sanzione e delle sue conseguenze, rispetto al fine perseguito, comporta la manifesta irragionevolezza dell’art. 152 disp. att. cpc, ultimo periodo. 2 Con il secondo motivo l’Inps denuncia violazione dell’art. 3 L. 335/1995. Censura la sentenza per aver ritenuto irrilevante sia che il coniuge della F. avesse mantenuto la residenza nella casa coniugale anche dopo la separazione, sia la circostanza che nel decreto di omologa della separazione non fosse previsto un assegno di mantenimento. Osserva che rinunciando all’assegno la ricorrente si era posta volontariamente in stato di bisogno che anzi nel ricorso per separazione i coniugi avevano dichiarato di essere economicamente autosufficienti che inoltre la ricorrente aveva omesso di chiedere la modifica delle condizioni della separazione e che tale situazione farebbe ipotizzare che la separazione fosse simulata per conseguire il beneficio dell’assegno. Il motivo, pur denunciando la violazione di legge, si risolve in un’inammissibile richiesta di rivalutazione del fatto ritenendo l’Istituto che l’avere la F. rinunciato all’assegno e ponendosi volontariamente in uno stato di non autosufficienza fossero prova dell’insussistenza delle condizioni reddituali per avere diritto all’assegno sociale di cui all’art. 3, comma 6, L. n. 335/1995. Sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno esaminato il fatto in contestazione relativo alla capacità economica della F. superando le obiezioni dell’Inps e ritenendo che la ricorrente fosse separata e priva di reddito tanto da giustificare il riconoscimento del suo diritto a percepire l’assegno. Il ricorso in cassazione, nella sostanza, si risolve in una ormai del tutto inammissibile richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertate e valutate in sede di merito. L’Istituto, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., invoca piuttosto una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, perché la valutazione delle risultanze probatorie nella specie, il fatto storico della separazione e della sua omologa nonché della mancanza di un assegno di mantenimento , al pari della scelta di quelle - fra esse - ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili , non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. Nella specie la Corte territoriale, esaminato il solo reddito individuale della F. atteso che ai sensi dell’art. 70, comma 2, L. n. 388/2000 secondo cui il reddito del coniuge non si cumula solo nell’ipotesi di coniuge legalmente ed effettivamente separato , ha escluso l’ipotesi di una separazione non effettiva pur valutando il mantenimento della residenza del marito presso la casa coniugale, ma ritenendolo indice non univoco, né sufficiente. L’Istituto formula solo ipotesi prive di adeguato supporto probatorio o, addirittura, mai proposte prima quale è quella della sospetta rinuncia da parte della F. all’assegno di mantenimento. L’Istituto, peraltro, neppure accompagna tale ultima ipotesi alla prova dell’inidoneità reddituale del marito della F. . Per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna dell’Inps a pagare le spese processuali. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, dpr n. 115/2002. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna l’Inps a pagare le spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del dpr n 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.