Il ruolo dell’agenzia investigativa nel controllo delle obbligazioni lavorative

In virtù di quanto disposto dagli artt. 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori, il datore di lavoro può avvalersi, in casi eccezionali, dell’intervento di persone, anche diverse dalle guardie giurate, predisposte alla tutela del patrimonio aziendale e al controllo dell’adempimento delle prestazioni lavorative.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 15094/18 depositata l’11 giugno. Il caso. La Corte territoriale, riformando la sentenza di primo grado, respingeva l’appello proposto dal ricorrente volto ad impugnare il licenziamento disciplinare in tronco. I giudici di secondo grado ritenevano utilizzabili le informazioni investigative acquisite, posto che il lavoratore svolgeva un’attività lavorativa esterna di ispezione dei cantieri, al di fuori dei locali aziendali, non configurandosi dunque nessun divieto per il datore di lavoro di avvalersi di un’agenzia investigativa per il controllo delle prestazioni lavorative. Il lavoratore ricorre per la cassazione della sentenza, sottolineando la mancanza di un giustificato sospetto circa la realizzazione di condotte lavorative illecite che potessero legittimare l’utilizzo di relazioni investigative. L’attività delle agenzie investigative prevista dalla legge. Gli artt. 2 e 3 della legge n. 300/1970 non precludono, sempre nella tutela della libertà e dignità del lavoratore, il potere del datore di lavoro di ricorrere all’intervento di persone diverse dalle guardie giurate per la salvaguardia dei propri interessi, ossia per la tutela del patrimonio aziendale, né delimitano il potere di controllare le prestazioni lavorative e quindi di accertare eventuali mancanze lavorative da parte del dipendente, purché esse si limitino a denunciare gli atti illeciti non riconducibili al mero adempimento dell’obbligazione lavorativa. Sulla base di tale principio, è opportuno sottolineare che dette agenzie investigative per operare nei modi consentiti dalla legge non devono sconfinare nel controllo dell’attività lavorativa vera e propria, riservata direttamente al datore di lavoro, ma devono limitarsi ad individuare condotte illegittime adottate dal lavoratore laddove vi sia un sospetto di illeciti in corso di esecuzione. Pertanto, il divieto di controllo occulto sull’attività lavorativa vera e propria vige anche nel caso di prestazioni svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l’eccezione di ricorso ad investigatori privati per verificare comportamenti che possano sfociare in situazioni penalmente rilevanti. Per questi motivi, la Suprema Corte cassa la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 27 febbraio – 11 giugno 2018, n. 15094 Presidente Patti – Relatore Amendola Rilevato che la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 20.4.2016, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto il ricorso proposto in primo grado da R.F. volto ad impugnare il licenziamento disciplinare in tronco intimato in data 25 marzo 2009 da Acqualatina Spa che la Corte territoriale ha ritenuto utilizzabili le relazioni investigative acquisite, posto che la prestazione lavorativa del R. consisteva nell’attività esterna di ispezione dei cantieri e dunque si svolgeva prevalentemente al di fuori dei locali aziendali per cui nessun divieto poteva configurarsi per il datore di lavoro di avvalersi di agenzia investigativa per il controllo della diligente esecuzione della prestazione di lavoro che, accertata la mancata esecuzione dei compiti di verifica e controllo affidati al ricorrente e la inveritiera attestazione della positiva esecuzione di controlli mai eseguiti , la Corte di Appello ha considerato che i predetti comportamenti consistiti nell’aver rappresentato alla propria azienda un’attività lavorativa in realtà non svolta determinano la violazione del dovere di diligenza nell’adempimento della prestazione lavorativa, nonché la lesione dell’obbligo di fedeltà e in ultima analisi ledono irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro che per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso R.F. con 3 motivi, cui ha resistito Acqualatina Spa con controricorso, illustrato da memoria Considerato che i motivi di ricorso denunciano 1 violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 2 e 4 della l. n. 300 del 1970 per avere la Corte distrettuale ritenuto utilizzabili le relazioni investigative, nonostante le stesse fossero finalizzate ad avere notizie esaustive circa il corretto adempimento delle prestazioni lavorative , peraltro in assenza di un giustificato sospetto circa la realizzazione di condotte illecite del lavoratore 2 violazione e falsa applicazione dell’art. 5 della l. n. 604 del 1966 nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., sostenendo che l’azienda non avrebbe assolto l’onere di provare tanto il mancato svolgimento dell’attività lavorativa che la falsità dei rapporti di lavoro 3 violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 116 e 421 c.p.c., nonché omesso esame di un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti , sia sulla valutazione come prova della relazione investigativa , sia sulla interpretazione di fatto delle circostanze dedotte che il primo motivo, nella parte in cui lamenta la falsa applicazione delle disposizioni statutarie richiamate, è fondato che in ordine alla portata degli artt. 2 e 3 della l. n. 300 del 1970, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale art. 2 e di vigilanza dell’attività lavorativa art. 3 , va premesso che essi non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti come, nella specie, un’agenzia investigativa diversi dalla guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, né, rispettivamente, di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica che tuttavia ciò non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un’agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione cfr., in tali termini, Cass. n. 9167 del 2003 che tale fermo principio è stato sempre ribadito, affermandosi che le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, per cui resta giustificato l’intervento in questione solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione v. Cass. n. 3590 del 2011 più di recente Cass. n. 15867 del 2017, con la giurisprudenza conforme ivi citata né a ciò ostano sia il principio di buona fede sia il divieto di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d’opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro cfr. Cass. n. 16196 del 2009 per la legittimità del controllo datoriale a mezzo di agenzia investigativa in caso di mancata registrazione della vendita da parte dell’addetto alla cassa di un esercizio commerciale ed appropriazione delle somme incassate v. Cass. n. 18821 del 2008 che il divieto di controllo occulto sull’attività lavorativa vige anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l’eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti come l’esercizio durante l’orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi su cui v. Cass. nn. 5269 e 14383 del 2000 che, simmetricamente, ove il controllo demandato all’agenzia investigativa non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa e sia espletato al di fuori dell’orario di lavoro, esso è legittimo, come nel caso di verifica sull’attività extralavorativa svolta dal lavoratore in violazione del divieto di concorrenza, fonte di danni per il datore di lavoro Cass. n. 12810 del 2017 ovvero nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 legge n. 104 del 1992 v. Cass. n. 4984 del 2014 che dunque risulta errata in diritto l’affermazione della Corte territoriale secondo cui nessun divieto può configurarsi per il datore di lavoro di avvalersi di agenzia investigativa per il controllo della diligente esecuzione della prestazione di lavoro , senza alcun riferimento ad attività concorrenziali del F. o altrimenti fraudolente, avendo poi accertato la legittimità del licenziamento secondo quanto dalla medesima Corte romana statuito - proprio per comportamenti che determinano la violazione del dovere di diligenza nell’adempimento della prestazione lavorativa che, alla stregua delle suddette considerazioni, la sentenza impugnata deve essere cassata in accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri due motivi successivi in ordine logico-giuridico, e rinvio alla Corte indicata in dispositivo che si uniformerà a quanto innanzi statuito, regolando altresì le spese. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese dichiara assorbiti gli altri motivi.