Licenziamento legittimo per il dipendente che offende l’amministratore unico della società

Accertata l’esistenza di una giusta causa di recesso, idonea a giustificare il licenziamento, l’eventuale esistenza di un ulteriore motivo illecito, che deve necessariamente essere provato dal lavoratore, non risulta rilevante ai fini dell’ammissibilità del licenziamento stesso.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza n. 14197/18 depositata il 4 giugno. Il caso. La ricorrente proponeva ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Milano che aveva respinto la sua opposizione contro il rigetto dell’impugnativa del licenziamento disciplinare intimatole dall’azienda presso la quale lavorava. Il Tribunale riteneva che la condotta tenuta dalla lavoratrice, consistita nell’aver rivolto offese con toni minacciosi all’amministratore unico della società nonché fratello della reclamante rappresentasse giusta causa di licenziamento, escludendone la natura ritorsiva. Ma, la lavoratrice sosteneva che il giudice di primo grado avesse ritenuto il licenziamento proporzionato rispetto all’illecito disciplinare, senza considerare che il suo comportamento fosse inserito in un contesto di rapporto fra ella e il fratello già da tempo contrastato per quanto riguarda la gestione sociale. Inoltre, la dipendente reclamava che il Tribunale avesse ricostruito la vicenda sulla base di quanto riferito da altre dipendenti, le quali non erano presenti all’accaduto ma avevano udito la lite da stanze vicine, cogliendone solo parte del contenuto. La Corte d’Appello di Milano rigettava il reclamo, così la ricorrente chiede la cassazione della sentenza di secondo grado. Il motivo illecito e la giusta causa di licenziamento. Come affermato dalla Corte di merito, una volta accertata l’esistenza di una giusta causa di recesso, capace di giustificare il licenziamento, l’esistenza di un ulteriore motivo illecito, da provarsi a cura del lavoratore, è irrilevante. Ciò è confermato anche dalla Suprema Corte, la quale sottolinea che il motivo illecito determina la nullità del licenziamento solo nell’ipotesi in cui il provvedimento espulsivo sia stato determinato esclusivamente da esso, dunque la nullità deve essere esclusa quando con lo stesso concorra una giusta causa a norma dell’art. 2119 c.c Spetta poi al lavoratore provare l’esistenza dell’illiceità del motivo unico e determinante il recesso prova che, nel caso di specie, non è stata fornita dalla dipendente. Omesso esame di un fatto decisivo e attendibilità dei testi. Inoltre, anche l’evidenziata inattendibilità dei testi, i quali non essendo presenti sul luogo dell’accaduto hanno potuto carpire solo alcune parti del discorso aggressivo della lavoratrice rivolto al fratello, non trova accoglimento in questa sede, poiché si denuncia l’apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito. Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice alla base della decisione, sicché il giudice stesso presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata contrariamente, il sindacato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 dello stesso codice riguarda un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti. Ne consegue, quindi, che l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione sono connessi ad un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, fatto che deve presentare tali caratteristiche la sua esistenza deve risultare dal testo della sentenza, deve aver costituito oggetto di discussione tra le parti e deve avere carattere decisivo con l’onere da parte del ricorrente di indicare tale fatto storico , non esaminato, il dato , testuale o non, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e la decisività di esso. Principio questo espresso dalla Suprema Corte, Sezioni Unite, con sentenza n. 19881/2014. Nella fattispecie concreta il ricorso non rispetta il dettato normativo di cui sopra, ma si limita a richiedere un mero e inammissibile riesame delle circostanze di causa, già valutate dal giudice di merito. Pertanto, la Corte di Cassazione lo rigetta.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 6 febbraio – 4 giugno 2018, numero 14197 Presidente Bronzini – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso depositato in data 27.7.2015, P.P. proponeva reclamo, ex art. 1, co. 58 e ss., L. numero 92/12, avverso la sentenza del Tribunale di Milano numero 1855/15 che aveva respinto l’opposizione, dalla stessa proposta, avverso il rigetto dell’impugnativa del licenziamento disciplinare intimatole da BISCOTTIFICIO P. s.r.l. in data 10.7.2014. In particolare, il Tribunale aveva convenuto con il Giudice della fase sommaria nel ritenere che la condotta contestata alla lavoratrice consistita nell’essersi rivolta all’amministratore unico della società con toni violenti ed epiteti fortemente ingiuriosi e provati in corso di causa integrasse una giusta causa di recesso e consentisse di escludere la natura ritorsiva del licenziamento. Infatti, a tale fine sarebbe stato necessario, ad avviso del primo Giudice, che il dedotto motivo illecito avesse rivestito rilievo unico e determinante rispetto al provvedimento espulsivo, circostanza non verificatasi nel caso di specie, nel quale esso era risultato giustificato dalla condotta gravemente insubordinata tenuta dalla P. . La reclamante lamentava che il primo Giudice avesse ritenuto il licenziamento proporzionato rispetto all’illecito disciplinare, senza considerare che il comportamento contestato fosse inserito nel contesto dei rapporti fra la stessa ed il fratello Pi. , i quali erano anche soci ed avevano in tale veste da tempo motivi di disaccordo sulla gestione sociale. La P. evidenziava, inoltre, come fosse risultata indimostrata la presenza di altri dipendenti all’episodio, indicata nella missiva di contestazione, avendo le altre due lavoratrici udito il contenuto della discussione da stanze attigue. Infine, lo stesso Pi. era stato solito in passato rivolgersi alla sorella con toni volgari ed aggressivi. Con ulteriore motivo di reclamo, la P. si doleva del fatto che il Tribunale avesse ricostruito la vicenda sulla base di quanto riferito da dipendenti le quali, non essendo presenti al diverbio, ne avevano udito solo alcune parti contestava la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice ed inoltre il mancato accertamento della natura ritorsiva del licenziamento. Chiedeva dunque la declaratoria di illegittimità del licenziamento con applicazione della tutela reale, o in subordine di quella indennitaria prevista dal comma 5 del novellato art. 18. Con sentenza depositata il 5.11.15, la Corte d’appello di Milano rigettava il reclamo. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso P.P. , affidato a quattro motivi. Resiste il Biscottificio P. s.r.l. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1.-Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dei novellati artt. 7 e 18 L. numero 300/70 2119, 1324 e 1345 c.c Lamenta che, a differenza di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, per l’illegittimità del licenziamento è sufficiente che questo sia stato determinato da motivo illecito, ma non è affatto necessario che tale motivo sia l’unica ragione del recesso. Si duole in sostanza che la pur contestata sussistenza di un fatto grave anche concretante una giusta causa di recesso non impedisce di accertare la sussistenza del motivo ritorsivo, avente in sostanza un suo autonomo ed assorbente rilievo. Il motivo presenta evidenti profili di inammissibilità laddove è diretto a contestare, o proporne di nuovi, accertamenti in fatto svolti peraltro congruamente dalla sentenza impugnata nel regime di cui al novellato numero 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c Per il resto è infondato in quanto, come correttamente osservato dalla Corte di merito, una volta accertata l’esistenza di un giusta causa di recesso, evidentemente di per sé idonea a giustificare il licenziamento, l’eventuale esistenza di un concorrente motivo illecito, da provarsi a cura del lavoratore prova nella specie secondo la corte di merito non adeguatamente fornita , è irrilevante. In tal senso Cass. numero 12349/03, secondo cui poiché il motivo illecito determina la nullità del licenziamento solo quando il provvedimento espulsivo sia stato determinato esclusivamente da esso, la nullità deve essere esclusa quando con lo stesso concorra, nella determinazione del licenziamento, una giusta causa a norma dell’art. 2119 cod. civ. Nella specie, la S.C., in applicazione del principio di cui in massima,ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato una giusta causa del licenziamento di un dipendente, rappresentante sindacale, nel comportamento dello stesso, che aveva ripetutamente pronunciato frasi minacciose nei confronti dei capireparto, tali da assumere di per sé rilevanza penale, escludendo perciò ogni rilievo alla indagine sulla eventuale esistenza di un carattere antidiscriminatorio del licenziamento . Del resto, come esattamente evidenziato da Cass. numero 6501/13, l’allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare, ai sensi dell’art. 5 della legge 15 luglio 1966, numero 604, l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso ove tale prova sia stata fornita, incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’intento ritorsivo e, dunque, l’illiceità del motivo unico e determinante del recesso cfr. altresì Cass. numero 3986/15 . La ricorrente ha dedotto l’esistenza di dissapori tra essa ed il fratello P. , entrambi soci della s.r.l. producendo al riguardo anche un lodo arbitrale che annullò una delibera assembleare e accertò talune irregolarità commesse dal fratello , senza tuttavia fornire alcuna effettiva prova che il recesso, adottato per i gravi comportamenti accertati dalla corte di merito, sia invece stato adottato per un diverso motivo illecito determinante. A tal fine il lodo arbitrale che accertò talune irregolarità compiute dal fratello nella gestione della società non ha alcun decisivo rilievo, a differenza di quanto sostenuto dalla P. nella memoria ex art. 378 c.p.c., ai fini della prova della natura ritorsiva del licenziamento, in sostanza affidato alla presunzione che il ricorso della ricorrente all’arbitro abbia determinato il licenziamento, come visto invece basato sul grave comportamento da essa tenuto in ambito aziendale. 2.- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. Censura l’attendibilità riconosciuta ad alcuni testi o informatori, evidenziando che essi non godevano del regime di stabilità cd. reale, e dunque risultavano influenzabili dal timore di perdere il loro posto di lavoro. Il motivo è inammissibile denunciando esplicitamente, nel regime di cui al novellato numero 5 dell’art. 360 c.p.c., l’apprezzamento delle prove da parte del giudice d merito. 3.- Col terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 18 L. numero 300/70 8 L. numero 604/66, 2118 e 2119 c.c. Lamenta che la sentenza impugnata non aveva considerato che non vi erano altri dipendenti presenti al momento dell’illecito contestato, che, al massimo, avrebbero potuto udire solo in parte e malamente le frasi proferite al fratello. Il motivo è inammissibile essendo, come esposto, diretto ad una nuova valutazione dei fatti di causa. 4.- Col quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 18 L. numero 300/70 8 L. numero 604/66, 2118 e 2119 c.c Anche tale motivo è inammissibile in quanto, denunciando formalmente una violazione di norme di diritto, la ricorrente censura nella sostanza l’apprezzamento dei fatti esaminati peraltro adeguatamente dalla corte di merito, evidenziando circostanze precedenti dissapori tra essa ed il fratello, dedotte provocazioni parimenti valutate ed apprezzate dalla sentenza impugnata. Deve infatti considerarsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, numero 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto posta dal giudice a fondamento della decisione id est del processo di sussunzione , sicché quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata ipotesi non ricorrente nella fattispecie al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360, primo comma numero 5 c.p.c. oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione Cass. sez. unumero 7 aprile 2014, numero 8053 , coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti ipotesi ricorrente nel caso in esame . Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione rimessi all’apprezzamento del giudice di merito quanto alla proporzionalità della sanzione cfr. Cass. numero 8293/12, Cass. numero 144/08, Cass. numero 21965/07, Cass. numero 24349/06 quanto alla gravità dell’inadempimento, cfr. Cass. numero 1788/11, Cass. numero 7948/11 ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio oggi limitato all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360, comma 1, numero 5. c.p.c Deve allora rimarcarsi che Al nuovo testo del numero 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia . L’omesso o insufficiente esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, numero 6 e all’art. 369 c.p.c., comma 2, numero 4 , - il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando nel quadro processuale tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la decisività del fatto stesso Cass. sez.unumero 22 settembre 2014 numero 19881 . Il ricorso non rispetta il dettato di cui al novellato numero 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c., limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito. 5.- Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. numero 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 numero 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.