Illegittimo il licenziamento comminato al lavoratore che abbia conseguito la pensione di anzianità

La possibilità del recesso ad nutum, con sottrazione del datore di lavoro all’applicabilità dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, è condizionata non alla maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi previsti per l’acquisizione della pensione di vecchiaia, ma al momento in cui la prestazione previdenziale è giuridicamente conseguibile dal lavoratore.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 13181/18, depositata il 25 maggio. Il caso. La Corte territoriale di Palermo dichiarava illegittimo il licenziamento del lavoratore e condannava il datore di lavoro a corrispondergli l’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione totale di fatto dalla data del recesso fino al giorno in cui, sopravvenuta la finestra di uscita, il lavoratore ha maturato il diritto a conseguire il pensionamento e non può più essere reintegrato nel posto di lavoro. La stessa Corte palermitana rilevava che, dalla lettera di licenziamento risultava che il lavoratore aveva compiuto il 65° anno di età il mese successivo a quello in cui era stato intimato il licenziamento e avrebbe conseguito il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi dodici mesi della data di maturazione dei requisiti previsti dalla legge. Dalle informazioni fornite dall’Inps, risultava inoltre che questi aveva conseguito la pensione di anzianità e non quella di vecchiaia, per la quale non era ancora giunta la cosiddetta finestra di uscita. Il licenziamento risultava così illegittimo. Pertanto la società titolare proponeva ricorso in via principale per la cassazione della sentenza di secondo grado, al quale resisteva il lavoratore dipendente con controricorso. Il licenziamento ad nutum. In virtù dell’art. 4, comma 2, l. n. 108/1990, il datore di lavoro può sottrarsi all’applicabilità del regime dell’art. 18 della l. n. 300/1970 ed avvalersi del recesso ad nutum dal momento in cui la prestazione previdenziale è giuridicamente conseguibile dall’interessato, non rilevando la mera maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi idonei per l’ottenimento della pensione di vecchiaia. Soluzione questa confermata anche dalla Suprema Corte, la quale individua il momento di perfezionamento del diritto alla pensione nel momento di apertura della finestra di uscita, indicata caso per caso dalla legge, essendo irrilevante, in termini giuridici, che il lavoratore, prima di questo momento, abbia conseguito il requisito contributivo e presentato domanda di pensione. Il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro. La Corte palermitana, dopo aver dichiarato illegittimo il licenziamento comminato all’interessato, non ha però accolto la domanda dello stesso alla sua reintegrazione nel posto di lavoro, accordando al medesimo solo l’indennità risarcitoria, commisurata alle mensilità relative al periodo che va dalla data del licenziamento fino a quella in cui sarebbe andato in pensione di vecchiaia. Per la Corte di Cassazione tale ricorso incidentale merita accoglimento, confermando che il compimento dell’età pensionabile o il possesso dei requisiti previdenziali, non determinano l’automatica estinzione del rapporto di lavoro, ma solo la cessazione del regime di stabilità e della tutela prevista dalla legge sopra richiamata, consentendo il recesso ad nutum . Per queste citate ragioni, la Suprema Corte respinge il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 28 febbraio – 25 maggio 2018, n. 13181 Presidente Manna – Relatore Amendola Rilevato che la Corte di Appello di Palermo, con sentenza pubblicata il 29 luglio 2016, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato illegittimo il licenziamento comunicato a Da. St. in data 24 marzo 2011 e, per l'effetto, ha condannato Intesa San Paolo Group Services S.C.p.a. a corrispondergli l'indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto dalla data del recesso al 1. maggio 2012, oltre contributi ed accessori che la Corte territoriale, rilevato che dalla lettera di licenziamento risultava che lo St. aveva compiuto il 65. anno di età il 1. aprile 2011 e che il recesso gli era stato intimato sul presupposto che egli fosse in possesso dei requisiti per il diritto a pensione , ha osservato che, in base all'art. 12, co. 1, D.Lgs. n. 78 del 2010, egli, avendo maturato il requisito anagrafico nel corso dell'anno 2011, avrebbe conseguito il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi dodici mesi dalla data di maturazione dei previsti requisiti che, risultando dalle informazioni fornite dall'INPS già nel corso del giudizio di primo grado cfr. nota del 31.1.2014 che St. nel mese di giugno 2011 aveva conseguito la pensione di anzianità e non quella di vecchiaia per la quale non era ancora sopraggiunta la di uscita , la Corte ha giudicato il licenziamento illegittimo che, in punto di tutela applicabile, la Corte territoriale, in base all'art. 6, comma 2 bis I. n. 248/2007 , ha disposto l'applicazione dell'art. 18 della I. n. 300 del 1970, limitatamente, però, alla corresponsione della indennità risarcitoria, in misura pari alla retribuzione globale di fatto dal recesso al 1. maggio 2012, data in cui, sopravvenuta la finestra, il ricorrente ha maturato il diritto a conseguire il pensionamento e, pertanto, non può più essere reintegrato nel posto di lavoro che per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso in via principale la società con tre motivi, cui ha resistito Da. St. con controricorso, contenente impugnazione incidentale affidata ad un motivo ad essa ha resistito Intesa San Paolo con controricorso Considerato che i motivi del ricorso principale denunciano 1 violazione e falsa applicazione degli artt. 414, 416, 99, 112 c.p.c, per avere la Corte distrettuale motivato la decisione sul ritenuto contrasto del licenziamento sub iudice con il disposto dell'art. 71, comma 1, lettera b del CCNL del credito 8 dicembre 2007, ancorché l'appellante avesse ignorato del tutto la citata disposizione contrattuale e, sia nell'atto introduttivo del giudizio che nel ricorso d'appello, avesse chiesto accertarsi e dichiararsi l'illegittimità del licenziamento per violazione dell'art. 6, comma 2 bis de D.L. 31.12.2007, n. 248 2 violazione e falsa applicazione di norme di diritto e del contratto collettivo innanzi richiamato per avere la Corte di Appello interpretato la clausola pattizia nel senso che tra i requisiti pensionistici debba essere incluso quello della possibilità giuridica del conseguimento della pensione secondo la normativa vigente alla data del recesso e per avere escluso che tale condizione sussistesse in capo allo St. 3 in subordine, omesso esame di fatti decisivi per avere il Collegio del merito concluso che l'appellante avesse percepito dal 1. giugno 2011 una pensione di anzianità anziché di vecchiaia che i tre motivi, esaminabili congiuntamente per connessione, non possono trovare accoglimento che, infatti, premessa l'inammissibilità del primo motivo in cui si denuncia, nelle forme improprie della violazione dell'art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c, un preteso error in procedendo che avrebbe imposto la deduzione delle ragioni che determinavano la nullità della sentenza o del procedimento a mente del n. 4 dell'art. 360 c.p.c, per di più senza specificare adeguatamente i contenuti degli atti processuali dai quali ricavare la presunta violazione del canone della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, la decisione della Corte territoriale risulta conforme al diritto che l'art. 4, comma 2, della I. n. 108 del 1990 stabilisce che l'art. 18 della I. n. 300 del 1970 non si applica nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi del D.L. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1982, n. 54 pur in mancanza dell'esplicito riferimento alla pensione di vecchiaia, contenuto invece nella precedente disposizione della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 11, argomenti testuali e sistematici inducono a ritenere che nessun mutamento ha subito il principio per cui è soltanto la maturazione del diritto al pensionamento di vecchiaia che incide sul regime del rapporto di lavoro, consentendo al datore di lavoro il recesso ad nutum Cass. SS.UU. n. 17589 del 2015 in precedenza Cass. n. 3237 del 2003, n. 12568 del 2003 n. 6537 del 2014 che, ciò posto, è condivisibile l'interpretazione offerta dalla Corte territoriale in base alla quale la possibilità del recesso ad nutum, con sottrazione del datore di lavoro all'applicabilità del regime dell'art. 18 I. n. 300 del 1970, è condizionata non dalla mera maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi idonei per la pensione di vecchiaia, bensì dal momento in cui la prestazione previdenziale è giuridicamente conseguibile dall'interessato pertanto, avendo l'art. 12, comma 1, D.L. n. 78 del 2010, convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, vigente all'atto del licenziamento, stabilito che, a decorrere dall'anno 2011, coloro che - come lo St. - maturano il diritto all'accesso al pensionamento di vecchiaia a 65 anni, conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi 12 mesi dalla data di maturazione dei requisiti previsti , il passaggio al regime del recesso ad nutum avviene in tale ultimo momento, per cui il licenziamento intimato precedentemente non è sottratto all'applicazione dell'art. 18 pro tempore vigente che tale assunto è conforme ai principi affermati dalla Corte costituzionale che ha ritenuto compatibile con la Costituzione la previsione del recesso ad nutum, sul principale rilievo secondo cui in una società come quella attuale, in cui si hanno disoccupazione e sottoccupazione, l'assenza di una piena tutela del diritto al lavoro per difetto di garanzie di stabilità del posto per i lavoratori che abbiano già conseguito la pensione di vecchiaia trova ragionevole giustificazione nel godimento, da parte loro, di tale trattamento previdenziale vedi, per tutte Corte cost. sentenze n. 15 del 1983 n. 309 del 1992 n. 225 del 1994 n. 174 del 1971 n. 45 del 1965, nonché Cass. 26 maggio 2004, n. 10179 , per cui il licenziamento ad nutum è ammissibile in quanto si goda del trattamento pensionistico di vecchiaia e non è sufficiente che si sia in attesa di esso, seppure la fruizione sia procrastinata di soli 12 mesi che la soluzione appare altresì coerente con l'ormai consolidato principio nella giurisprudenza di questa Corte, affermato specificamente in materia di pensione di anzianità ma evidentemente operante anche per la pensione di vecchiaia, secondo cui la decorrenza della pensione di anzianità in base alle regole delle finestre indicate dalla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1 comma 29, e dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, commi 6 e 8, rappresenta un elemento costitutivo dello stesso diritto a pensione, il quale, pertanto, si perfeziona soltanto nel momento in cui matura la data di decorrenza fissata dalla legge, essendo quindi irrilevante, per l'insorgenza di siffatto diritto, che l'assicurato abbia, prima del predetto momento, conseguito il prescritto requisito contributivo e presentato domanda di pensione cfr. Cass. n. 18041 del 2007, n. 23094 del 2008, n. 20235 del 2010 e n. 6840 del 2014 Cass. n. 16532 del 2015 conf. da ultimo Cass. n. 15879 del 2017 in tal modo, il momento di perfezionamento di tale diritto diventa il momento in cui questo tempo è decorso momento che va identificato nella data di apertura della finestra indicata caso per caso dalla legge e questa volontà normativa ha fondamento nella stessa natura del tempo, quale ulteriore integrazione dell'età anagrafica Cass. n. 23094 del 2008 cit. cfr. pure Cass. n. 13626 del 2005, n. 18041 del 2007 che ogni altra censura relativa all'accertamento in fatto circa il conseguimento di una pensione di vecchiaia da parte del dipendente così come sostenuto dalla società piuttosto che una non omologabile pensione di anzianità come ritenuto dalla Corte territoriale è inammissibile in quanto trascura di considerare che la sentenza impugnata è sottoposta ratione temporis al novellato n. 5 dell'art. 360, c.p.c, interpretato rigorosamente dalle SS.UU. di questa Corte sent. nn. 8053 e 8054 del 2014 , dei cui enunciati la società ricorrente non tiene adeguato conto che invece il ricorso incidentale del lavoratore, con cui si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 18 della L. n. 300 del 1970, lamentando che la Corte palermitana seppure ha dichiarato illegittimo il licenziamento comminato al Sig. St., non ha - però - accolto la domanda di reintegrazione dello stesso e, pertanto, ha accordato al medesimo solo l'indennità risarcitoria, nella misura delle mensilità dalla data del licenziamento sino a quella in cui sarebbe andato in pensione di vecchiaia, ossia dal mese di aprile del 2011 sino al 1. maggio 2012 , precludendo anche l'esercizio della facoltà di opzione per le 15 mensilità di retribuzione in luogo della reintegra, è meritevole di accoglimento, avendo lo St. proposto fin dall'atto introduttivo del giudizio la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro, coltivata anche in appello che il compimento dell'età pensionabile, infatti, come il possesso dei requisiti per avere diritto alla pensione di vecchiaia, determinano non già l'automatica estinzione del rapporto, ma solo la cessazione del regime di stabilità e della tutela prevista dalla legge sopra richiamata, consentendo il recesso ad nutum che va ribadito il principio secondo cui nel caso in cui tali condizioni si perfezionino nel periodo intercorrente tra la data del licenziamento e quella della sentenza con cui venga accertata l'insussistenza di una sua idonea giustificazione, non è preclusa l'emanazione del provvedimento di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro L. 20 maggio 1970, n. 300, ex art. 18, che ha il valore di un accertamento che il rapporto è continuato inalterato e che sono operative le rispettive reciproche obbligazioni , mentre il rapporto di lavoro è suscettibile di essere estinto solo per effetto di un valido e diverso atto di recesso Cass. n. 3754 del 20 marzo 1995 , che ben può essere emanato anche nelle more del giudizio cfr. Cass. n 1908/1998 nonché Cass. n. 1462/2012 circa l'illegittimità della limitazione del risarcimento ex art. 18 Stat. Lav. fino al compimento del 65 anno di età , sicché non può neanche attribuirsi al licenziamento intimato per una data in cui non sussistevano i presupposti la capacità di procrastinare l'effetto risolutorio al momento dell'apertura della finestra , come pure opinato dalla società che dunque, respinto il ricorso principale, deve essere accolto il ricorso incidentale dello St., con cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvio alla Corte indicata in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito e provvedere anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità che occorre dare atto della sussistenza per la ricorrente principale dei presupposti di cui all'art. 13, co. 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1, co. 17, L. n. 228 del 2012. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.