Inescusabile il ritardo della richiesta di disoccupazione a causa del mancato ricevimento del “pin dispositivo” da parte dell’INPS

La proroga del termine per chiedere l’indennità di disoccupazione è ammessa solo in casi eccezionali. Da ciò discende che è irrilevante il mancato esercizio dovuto ad una situazione di mera difficoltà, non riconducibile al concetto normativo di forza maggiore .

Lo ha ribadito la Cassazione con ordinanza n. 12990/18, depositata il 24 maggio. Il caso. I Giudici di merito rigettavano, per tardività, l’istanza dell’interessato volta al riconoscimento del sui diritto all’indennità di disoccupazione ordinaria. Contro detta decisione il soccombente ha proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost. per aver il Giudici di merito ritenuto non giustificato il ritardo nella proposizione delle domanda, presentata in via telematica, nonostante fosse dipeso dal fatto che il pin dispositivo, richiesto per accedere al portale online per formulare la richiesta di indennità, veniva inviato dall’INPS anch’esso in ritardo. Ritardo non scusabile e importanza del termine. Secondo gli Ermellini la censura è inammissibile posto che stabilire se la decadenza sia imputabile o meno ad un ritardo nell’invio del pin da parte dell’ente è un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità. Inoltre, osservano i Giudici di Cassazione, la motivazione della sentenza impugnata è corretta nella parte in cui riporta che il richiedente avrebbe potuto attivarsi e utilizzare gli altri sistemi previsti per l’esecuzione della pratica uffici INPS o sedi CAF , visto che l’arrivo del pin era prossimo alla decadenza del termine per la proposizione della domanda. Infatti il Supremo Collegio ha precisato che dopo l’esclusione, nel caso di specie, dell’ipotesi di forza maggiore, i Giudici di merito hanno fatto corretta applicazione del principio secondo il quale in materia di indennità di disoccupazione il decorso del termine di 60 giorni per la presentazione della domanda di ammissione al beneficio, ai sensi dell’art. 129, comma 5, del r.d.l. n. 1827/1935, comporta la decadenza del diritto, in quanto si tratta di un termine stabilito nell’interesse alla certezza di una determinata situazione giuridica, la cui proroga, sospensione o interruzione è ammessa solo in casi eccezionali tassativamente previsti dalla legge, sicché è irrilevante il mancato esercizio dovuto ad una situazione di mera difficoltà, non riconducibile al concetto normativo di forza maggiore . In conclusione la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 22 febbraio – 24 maggio 2018, n. 12990 Presidente Doronzo – Relatore Di Paola Fatto e diritto Rilevato che la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza di primo grado con cui è stata rigettata, per tardività, la domanda proposta da G.G. , volta al riconoscimento del suo diritto all’indennità di disoccupazione ordinaria per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso G.G. , affidato ad un motivo l’Inps ha resistito con controricorso è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio la difesa del ricorrente ha depositato memoria in data 14 febbraio 2018, ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c., insistendo per l’accoglimento del ricorso Considerato che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata G.G. - denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost., nonché dei principi generali in materia di imputabilità del ritardo e delle sue conseguenze - si duole che la Corte di Appello, statuendo sulla compiuta decadenza in data 7.7.2011 , non abbia ritenuto giustificato il ritardo, nella proposizione della domanda presentata in via telematica, dipeso dall’invio, solo il 12.7.2011, da parte dell’Inps, del pin richiesto il 3.7.2011. Ritenuto che la censura è inammissibile, giacché stabilire se la decadenza sia imputabile, o meno, ad un ritardo nell’invio del pin da parte dell’Istituto, è oggetto di un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità, avuto anche riguardo alla logica argomentazione, contenuta nella sentenza impugnata, imperniata sulla constatazione che il richiedente - chiesto il pin solo il 23 giugno 2011 e ricevuta l’assegnazione completa del codice il giorno successivo, nonché chiesto solo in data 3 luglio il pin dispositivo per il rilascio del quale non è previsto alcun termine necessario per inoltrare la richiesta - ben avrebbe potuto, visto l’approssimarsi del termine ultimo per la proposizione della domanda, utilizzare gli altri sistemi previsti per l’esecuzione della pratica presso gli uffici Inps ovvero presso la sede di un Caf o chiedere il pin dispositivo direttamente allo sportello Inps una volta esclusa, nel caso, un’ipotesi di forza maggiore , la sentenza impugnata è in linea con quanto statuito, in ipotesi analoga a quella in esame, da Cass. n. 17404/2016, ove è affermato che In materia di indennità di disoccupazione, il decorso dei sessanta giorni per la presentazione della domanda di ammissione al beneficio, previsti dall’art. 129, comma 5, del r.d.l. n. 1827 del 1935, determina la decadenza dal diritto, trattandosi di termine stabilito nell’interesse alla certezza di una determinata situazione giuridica, la cui proroga, sospensione o interruzione è ammessa solo in casi eccezionali, tassativamente previsti dalla legge, sicché è irrilevante il mancato esercizio dovuto ad una situazione di mera difficoltà, non riconducibile al concetto normativo di forza maggiore” le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.000,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.