Scontro con una collega più anziana: l’episodio non legittima il licenziamento

Scenario dell’episodio la scuola materna gestita da una cooperativa. Lo scontro si è verificato dinanzi ai piccoli alunni. Nonostante tutto, però, i Giudici ribadiscono il diritto della dipendente a conservare il proprio posto di lavoro.

Scontro verbale e fisico tra due dipendenti di una cooperativa. A rendere ancor più grave l’episodio è il contesto una scuola materna. Nonostante questo dato, però, la lavoratrice che ha dato il ‘la’ alla rissa, aggredendo una collega più anziana, non può essere licenziata. A dirlo sono i giudici del ‘Palazzaccio’, respingendo le osservazioni proposte dalla società e confermando il diritto della donna a riavere il proprio posto di lavoro Cassazione, ordinanza n. 12916/2018, Sezione Sesta Civile - Lavoro, depositata il 24 maggio 2018 . Alterco. Facilmente ricostruito l’increscioso episodio, verificatosi nella scuola materna gestita da una cooperativa. In sostanza, è stato appurato che una dipendente ha avuto una discussione piuttosto animata con una collega più anziana . Per l’azienda ci si trova di fronte a un comportamento scorretto , tenuto dinanzi agli occhi dei piccoli alunni, per giunto, poiché la donna si è resa protagonista di ingiurie e rissa sul luogo di lavoro, con assunzione di condotta in contrasto con i principi della cooperativa e lesiva della dignità della persona . Consequenziale, in questa ottica, il licenziamento della lavoratrice. Questo provvedimento è però ritenuto illegittimo dai giudici che, prima in Tribunale e poi in Corte d’appello, pongono in rilievo un dettaglio non secondario la dipendente più anziana non aveva ricevuto una vera e propria investitura formale del ruolo di coordinatrice . Ciò significa, sempre secondo i giudici, che l’alterco verificatosi nella struttura non poteva qualificarsi come insubordinazione , con la conseguenza che la condotta addebitata alla lavoratrice non era assimilabile per gravità ad alcuna delle ipotesi tipizzate dal contratto quale giusta causa di licenziamento . Gravit à . La valutazione compiuta in Appello viene condivisa anche dai giudici della Cassazione, che sanciscono la vittoria della dipendente della cooperativa, che può considerare salvo il proprio posto di lavoro. Respinte le obiezioni proposte dai legali della società, obiezioni centrate sul fatto che la condotta della donna si era realizzata al cospetto dei piccoli ospiti della struttura, che ne avevano risentito sul piano emotivo . Impossibile, secondo i giudici, parlare di gravità dell’episodio , nonostante i richiami della cooperativa alla delicatezza del contesto e ai controlli effettuati dall’assessorato comunale alle Politiche sociali a seguito delle rimostranze di alcuni genitori. Certo, ci si trova di fronte a una discussione animata sul luogo di lavoro e caratterizzata da termini non consoni al contesto, ma, nonostante tutto, non si può parlare di episodio così grave da giustificare il provvedimento drastico adottato dalla cooperativa, concludono i magistrati.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 7 marzo – 24 maggio 2018, n. 12916 Presidente Doronzo – Relatore Esposito Rilevato che la Corte di Appello di Catania confermava la sentenza di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità per mancanza di giusta causa e giustificato motivo del licenziamento intimato da omissis Coop nei confronti di G.V. , condannando la società alla reintegra della lavoratrice nel posto di lavoro che la contestazione riguardava il comportamento scorretto tenuto dalla lavoratrice verso gli utenti, minori in età prescolare, della cooperativa sociale, nonché verso i colleghi e verso soggetti esterni, essendosi ella resa protagonista di ingiurie e rissa sul posto di lavoro, con assunzione di condotta in contrasto con i principi della cooperativa e lesiva della dignità della persona che la Corte territoriale, precisato che l’onere probatorio in ordine alla legittimità del licenziamento era a carico di parte datoriale e dato atto delle contrastanti versioni rese dai testi escussi, ha ritenuto provato che vi era stata una discussione piuttosto animata tra la lavoratrice e B.P. , altra dipendente più anziana, ma che non era stata provata una vera e propria investitura formale del ruolo di coordinatrice in capo a quest’ultima, talché l’alterco intercorso non poteva qualificarsi come insubordinazione, tanto meno grave, con la conseguenza che la condotta addebitata alla lavoratrice non era assimilabile per gravità ad alcuna delle ipotesi tipizzate dal CCNL quale giusta causa di licenziamento che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società sulla base di tre motivi, illustrati mediante memoria che la G. ha resistito con controricorso che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata che il collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata. Considerato Che con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c. e art. 1 L. 604 del 1966 in relazione al CCNL cooperative sociali e alla legge regionale Sicilia 9 maggio n. 22 e regolamento DPR Sicilia del 29 giugno 1988, osservando che il giudizio di gravità dell’episodio deve essere rapportato alla delicatezza del contesto lavorativo in relazione sia all’utenza che ai controlli effettuati dall’assessorato comunale alle politiche sociali, avuto riguardo alle rimostranze dei genitori che con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 cod. proc. civ. omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione alla sussistenza di giusta causa di licenziamento per l’inadempimento contrattuale che con il terzo motivo deduce erronea applicazione del CCNL cooperative sociali ex art. 42 lett. E punti 11 e 12 - proporzionalità della sanzione alla gravità dell’infrazione, osservando che l’art. 42 CCNL di settore contempla come sanzione per il licenziamento la grave insubordinazione verso i superiori ovvero i casi di litigi di particolare gravità e che i connotati di gravità erano ravvisabili perché la condotta si era realizzata al cospetto dei piccoli ospiti che ne avevano risentito sul piano emotivo che i motivi di ricorso possono essere valutati congiuntamente in ragione dell’intima connessione, considerato che tanto per l’indagine in ordine alla individuazione dei parametri per il licenziamento per giusta causa, quanto per l’indagine in ordine alla sussistenza delle ipotesi di licenziamento contemplate dai contratti collettivi rileva l’accertamento in concreto circa la reale entità e gravità del fatto, anche sotto il profilo soggettivo della colpa e del dolo Cass. n. 8826 del 5/4/2017 che in proposito la Corte d’appello ha accertato che era intervenuta una discussione animata sul luogo di lavoro, ma che la stessa, ancorché accompagnata da termini non consoni all’ambiente lavorativo, non poteva qualificarsi come insubordinazione, stante la mancanza di una vera e propria investitura formale in capo alla B. , né configurava un rifiuto ad eseguire una direttiva del superiore, mentre, per altro verso, il fatto non rivestiva carattere di particolare gravità ove raffrontato con alcune condotte, connotate da ben maggior disvalore, sanzionate solo con la sospensione dal CCNL, tenuto anche conto dell’unicità dell’episodio, rimasto del tutto isolato che parte ricorrente con i motivi di ricorso non identifica i parametri integrativi della clausola generale che sarebbero stati violati dai giudici di merito, limitandosi esclusivamente a ribadire che, secondo la sua valutazione, il fatto addebitato costituirebbe giusta causa di licenziamento, anche sotto il profilo della proporzionalità della sanzione, con la conseguenza che la decisione non risulta congruamente censurata sotto il profilo della denunciata violazione di legge e del rispetto della contrattazione collettiva Cass.18715 del 10 maggio 2016 che la stessa parte neppure indica la violazione del criterio di sussunzione della fattispecie, in relazione ai fatti come accertati, limitandosi piuttosto a criticare il giudizio formulato dalla Corte territoriale in ragione degli elementi di fatto in precedenza riportati, in tal modo proponendo una rivalutazione del merito non consentita in sede di legittimità cfr. sentenza citata che, pertanto, in base alle svolte argomentazioni, il ricorso va rigettato, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro 3.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.