Lettera di trasferimento: nessun passo indietro dopo firma e accettazione

Respinta definitivamente l’opposizione di una lavoratrice alla decisione presa dall’azienda. Decisivo per i Giudici il fatto che la donna abbia firmato la lettera fattale recapitare dalla società.

Difficile equivocare la accettazione” messa per iscritto dalla lavoratrice alla lettera di trasferimento consegnatale dall’azienda. Ecco perché è vana l’azione giudiziaria finalizzata a contestare l’assegnazione alla nuova sede Cassazione, ordinanza n. 12341/2018, Sezione Lavoro, depositata il 18 maggio 2018 . Firma. Decisivo il passaggio in Corte d’Appello, dove, contrariamente a quanto deciso in Tribunale, viene respinta la pretesa della lavoratrice, finalizzata alla declaratoria di illegittimità del trasferimento disposto dalla società – ‘Poste Italiane spa’ – e alla riassegnazione nel posto precedentemente ricoperto . Riferimento centrale, per i Giudici di secondo grado, è il valore negoziale della dichiarazione di accettazione fatta dalla dipendente in calce alla comunicazione del trasferimento . Questa visione è condivisa anche dai magistrati della Cassazione, i quali spiegano che all’accettazione della lettera di trasferimento, firmata dalla lavoratrice, deve attribuirsi un’efficacia pregnante , ossia il valore di una completa accettazione, appunto, di quanto disposto dal datore di lavoro . E, sempre secondo i Giudici del ‘Palazzaccio’, non è possibile dubitare della manifestazione di volontà adesiva della lavoratrice rispetto al contenuto della dichiarazione stessa . A fronte di tale quadro, eventuali motivi interni come condizionamento della volontà della donna non possono essere fatti valere, concludono i giudici, come ipotesi di annullabilità .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 20 aprile – 18 maggio 2018, n. 12341 Presidente Balestrieri – Relatore Leo Rilevato che, con sentenza depositata il 17/7/2013, la Corte di Appello di Palermo, in riforma della pronunzia emessa dal Tribunale della stessa sede in data 16/11/2011, ha respinto la domanda proposta da Ri. Lu., nei confronti di Poste Italiane S.p.A., diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del trasferimento disposto dalla società datrice di lavoro con nota del 6/8/2008 e la riassegnazione ad essa ricorrente del posto precedentemente ricoperto presso il C.P.O. di Enna con mansioni di addetta al videoterminale che avverso tale sentenza Ri. Lu. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo che Poste Italiane S.p.A. ha resistito con controricorso che il P.G. non ha formulato richieste che la Lu. ha depositato memoria Considerato che con l'unico motivo di ricorso per cassazione si censura la violazione degli artt. 1262 recte 1362 , 1363, 1371 e 2103 c.c. e si lamenta che la Corte di merito avrebbe errato nell'attribuire valore negoziale alla dichiarazione di accettazione - fatta dalla lavoratrice in calce alla comunicazione del trasferimento presso la sede di Alcamo -, avendo omesso di valutare quale fosse la comune intenzione delle parti, nonché di interpretare le clausole contrattuali nel senso che risultava dal complesso dell'atto e senza tenere conto, inoltre, del fatto che il termine accettazione , nella fattispecie, non poteva significare adesione incondizionata al trasferimento operato dalla società datrice di lavoro, poiché, a parere della ricorrente, perché il termine per accettazione possa intendersi inequivocabilmente come adesione incondizionata occorre che la locuzione venga apposta a fronte di una proposta contrattuale, ovvero diretta a chi ha la possibilità di scelta tra aderire o meno alla prospettazione dell'altro contraente , mentre nella specie non vi è alcuna proposta da parte di Poste, né risulta che la ricorrente fosse a conoscenza della reale situazione di fatto con tutti gli elementi che le consentissero di effettuare una concreta valutazione o che le fosse stata offerta la scelta tra diverse destinazioni per la qual cosa, l'accettazione della Lu. avrebbe dovuto essere intesa come semplice presa d'atto della volontà aziendale con conseguente adeguamento alla unilaterale decisione della società datrice che il motivo non è fondato invero, alla stregua degli arresti giurisprudenziali di legittimità, in tema di ermeneutica contrattuale, l'accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio - in primo luogo da operare in base al senso letterale delle parole e delle espressioni del contratto, coordinato con l'elemento logico - si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nell'ipotesi di motivazione inadeguata o di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e segg. c.c. con l'ulteriore rilievo che, in tale ultima ipotesi, il ricorrente ha l'onere di indicare, in modo specifico, i criteri in concreto non osservati dal giudice di merito ed il modo in cui questi si sia da essi discostato, non essendo a tale scopo sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa e più favorevole interpretazione cfr., tra le molte, Cass. nn. 4832/2016, 17033/2012, 20303/2011 che, come rettamente e motivatamente sottolineato nella sentenza oggetto del giudizio di legittimità, all'accettazione della lettera di trasferimento firmata dalla lavoratrice in data 6/8/2008 deve attribuirsi una efficacia pregnante, non potendosi non conferire alla stessa, alla stregua del significato obiettivo dell'espressione e della sua collocazione nel documento - in calce alla lettera di riammissione e contestuale trasferimento - altro valore che quello di una completa accettazione, appunto, di quanto disposto dal datore di lavoro ed invero, la detta dicitura, per quanto specificato innanzi, implica anche una manifestazione di volontà adesiva relativamente al contenuto della dichiarazione medesima che, pertanto, come pure sottolineato dalla Corte di merito, eventuali motivi interni che avessero condizionato la volontà della lavoratrice non possono essere fatti valere quale ipotesi di annullabilità del negozio ai sensi dell'art. 1427 e segg. c.c., dato che la Lu. non ha formulato nel ricorso di prima istanza alcuna domanda in tal senso che, per quanto sopra considerato, il ricorso deve essere rigettato con conseguente determinazione del regime delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, secondo il criterio della soccombenza che, avuto riguardo all'esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui all'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis, dello stesso art. 13.