L’omessa o infedele denuncia all’INPS dei rapporti di lavoro configura l’evasione contributiva

Ai sensi dell’art. 116, l. n. 388/2000, l’omessa o infedele denuncia mensile da parte del datore di lavoro dei rapporti lavorativi o delle retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta , configura l’evasione contributiva e non un’ipotesi di omissione contributiva.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 14027/18, depositata il 2 maggio. Il caso. La Corte d’Appello di Lecce riformava la sentenza di primo grado e, parallelamente, annullava la cartella esattoriale opposta per il pagamento di una somma dovuta dal ritardato versamento dei contributi spettanti ad alcuni lavoratori dipendenti, rideterminando le somme aggiuntive dovute. La medesima Corte riteneva altresì che il mancato pagamento dovesse attribuirsi al fatto di un terzo e che pertanto sussistesse un’ipotesi di omissione contributiva. Avverso la sentenza della Corte distrettuale l’INPS ricorre per cassazione denunciando come la Corte avesse ritenuto la sussistenza di un’omissione contributiva anziché di evasione. L’evasione contributiva. Il Supremo Collegio ribadisce come l’omessa o infedele denuncia mensile all’INPS di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché, come nella specie, registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l’evasione contributiva di cui all’art. 116, comma 8, lett. b , l. n. 388/2000, e non la meno grave fattispecie dell’omissione contributiva, disciplinata dalla lett. a della medesima norma, concernente le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi . Di conseguenza, sul datore di lavoro grava l’onere della prova dell’assenza dell’intento fraudolento , onere che si ritiene assolto in ragione della avvenuta corretta annotazione dei dati, omessi o infedelmente riportati nelle denunce . La Suprema Corte sottolinea che, nel caso di specie, l’elemento intenzionale del datore di lavoro è individuabile nella condotta silente dello stesso, derivante dalla mancata denuncia all’autorità dell’asserita condotta, del consulente, di appropriazione indebita di somme da versare all’INPS e che la Corte distrettuale abbia errato ritenendo ricorrere, nella specie, una mera omissione contributiva . La Corte quindi cassa la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 31 gennaio – 2 maggio 2018, n. 10427 Presidente D’antonio – Relatore Mancino Fatto e diritto Rilevato 1. che, con sentenza in data 28 giugno 2011, la Corte di Appello di Lecce ha riformato la sentenza di primo grado e, per l’effetto, ha annullato la cartella esattoriale opposta, per il pagamento della complessiva somma di Euro 4.308,82 a titolo di somme aggiuntive per ritardato pagamento di contributi, nella gestione lavoratori dipendenti, in riferimento a sedici lavoratori a al mese di luglio del 2001, e ha rideterminato le somme aggiuntive dovute, nella misura del 40 per cento dei contributi omessi, e comunque in misura non superiore ad Euro 2.076,40 2. che, per la Corte di merito, il mancato tempestivo pagamento dei contributi era da attribuirsi a fatto del terzo l’indebita appropriazione, da parte del consulente, della somma da versare a titolo di contributi e tanto integrava una semplice omissione contributiva, peraltro poi regolarizzata 3. che avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso, affidato ad un motivo, al quale l’intimata non ha opposto difese Considerato 4. che, deducendo violazione dell’art. 116, comma 8, della legge n. 388 del 2000, l’INPS si duole che la Corte di merito abbia ritenuto integrata, nella specie, un’ipotesi di omissione contributiva e non di evasione, con applicazione di un regime sanzionatorio meno gravoso 5. che ritiene il Collegio si debba accogliere il ricorso 6. che trova applicazione nella specie, ratione temporis, il disposto della legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8 e ss. che, modificando la precedente disciplina art. 1, comma 217, lett. b , della L. 23 dicembre 1996, n. 662 , ha diversamente configurato la fattispecie dell’evasione contributiva e le relative sanzioni civili 7. che, alla stregua della consolidato giurisprudenza di legittimità, l’omessa o infedele denuncia mensile all’INPS attraverso i modelli DM10 di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché, come nella specie, registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l’evasione contributiva di cui all’art. 116, comma 8, lett. B della richiamata legge n. 388 del 2000, e non la meno grave fattispecie dell’omissione contributiva, disciplinata dalla lettera A della medesima norma, concernente le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi, dovendosi ritenere che l’omessa o infedele denuncia configuri un occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e faccia presumere l’esistenza della volontà datoriale di occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti v. precedenti richiamati nel paragrafo che segue 8. che, conseguentemente, grava sul datore di lavoro inadempiente l’onere di provare la mancanza dell’intento fraudolento e, quindi, la sua buona fede, onere che non può, tuttavia, reputarsi assolto in ragione della avvenuta corretta annotazione dei dati, omessi o infedelmente riportati nelle denunce, sui libri di cui è obbligatoria la tenuta cfr., da ultimo, Cass. 18 gennaio 2018, n. 1167 e la giurisprudenza ivi richiamata Cass. 25 agosto 2015, n. 17119 Cass. 25 giugno 2012, n. 10509 9. che proprio il rilievo da annettere all’elemento intenzionale consente, anche in ipotesi di denunce omesse o non veritiere, di escludere l’ipotesi dell’evasione, con onere probatorio a carico del datore di lavoro inadempiente, attraverso l’allegazione e prova di circostanze dimostrative dell’assenza del fine fraudolento per inadempimenti derivati da mera negligenza o da altre circostanze contingenti e il relativo accertamento, tipicamente di merito, resterà, secondo le regole generali, intangibile in sede di legittimità ove congruamente motivato 10. che, nella specie, l’elemento intenzionale è risultato corroborato dalla condotta silente del datore di lavoro non tradottasi, a fronte di un preteso fatto doloso del terzo, in un comportamento positivo e tempestivo di denuncia, all’autorità giudiziaria penale, dell’asserita condotta, del consulente, di appropriazione indebita delle somme da versare all’INPS, come del resto dato atto dalla stessa Corte di merito che ha puntualizzato che non era risultato osservato il termine per la denuncia, all’autorità penale, del mancato/ritardato pagamento dei contributi per fatto doloso del terzo, alla stregua dell’art. 124, primo comma, codice penale, dunque nel termine trimestrale per richiedere l’accertamento penale della condotta evocata a suffragio dell’assenza del fine fraudolento 11. che la Corte distrettuale, ritenendo ricorrere, nella specie, una mera omissione contributiva, non si è uniformata ai principi esposti e la sentenza va, dunque, cassata per non essere necessari ulteriori accertamenti, la causa va decisa nel merito, con il rigetto dell’opposizione 12. che le spese del giudizio di merito, in considerazione dell’esito alterno, si compensano e le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione compensa le spese del giudizio di merito condanna la parte intimata al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 1.800,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge.