Dipendente in malattia “si ricicla” come operaio tuttofare: licenziato

L’uomo è stato inchiodato dai resoconti forniti da alcuni investigatori. Nessun dubbio sul fatto che abbia svolto lavori manuali, come tinteggiatura e riparazione al soffitto, approfittando del periodo di malattia concessogli dall’azienda.

Pessima idea, senza dubbio, arrotondare lo stipendio con piccoli lavori come operaio tuttofare a casa di amici e conoscenti. Soprattutto quando, come in questa vicenda, si approfitta del periodo di malattia chiesto alla propria azienda. L’azzardo compiuto dal lavoratore – e certificato da un’agenzia investigativa – gli costa il licenziamento Cassazione, sentenza n. 9590/18, sez. Lavoro, depositata oggi . Assenza. Linea di pensiero comune per i Giudici del Tribunale e della Corte d’Appello tempestivi e corretti la contestazione di addebito e il licenziamento del dipendente beccato a svolgere abitualmente attività lavorativa durante i periodi di assenza per malattia riconosciutigli dall’azienda. Decisiva la verifica effettuata da alcuni investigatori e protrattasi per oltre tre mesi alla fine è stata appurata la condotta fraudolenta tenuta dal lavoratore, il quale era stato impegnato in lavori di tinteggiatura manutenzione del quadro elettrico lavori di riparazione al soffitto . Questa operatività certificava, secondo l’azienda e secondo i giudici, l’inesistenza della malattia . Attività. Inutile si rivela il ricorso presentato in Cassazione dal legale del dipendente, che deve dire addio al proprio posto di lavoro. Nessun dubbio, innanzitutto, sugli addebiti mossi al lavoratore, cioè lo svolgimento di attività extralavorativa in pendenza di malattia . Irrilevanti le obiezioni difensive proposte dall’uomo e centrate sul fatto che le attività svolte erano compatibili con la diagnosi certificata e con le indicazioni terapeutiche e non erano idonee ad aggravare le sue condizioni di salute . Assolutamente legittima, quindi, la reazione drastica dell’azienda. Definitivo perciò il licenziamento del lavoratore.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 dicembre 2017 – 17 aprile 2018, n. 9590 Presidente Di Cereo – Relatore Garri Fatti di causa 1. La Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che aveva rigettato il ricorso di An. Ci. teso all' accertamento dell'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli il 16 settembre 2009 dalla Barilla G. e R. Fratelli s.p.a 2. La Corte territoriale ha ritenuto che il licenziamento, e prima ancora la contestazione di addebito, erano tempestivi in considerazione della durata degli accertamenti investigativi che si erano resi necessari per accertare i fatti poi contestati, consistiti nello svolgimento abituale da parte del Ci. di attività lavorativa durante periodi di assenza per malattia. Sottolinea infatti il giudice di appello che la verifica aveva interessato un periodo di oltre tre mesi, nell'arco del quale gli investigatori avevano accertato il ripetersi della condotta poi contestata, e che l'addebito disciplinare era di soli quindici giorni successivo alla cessazione delle indagini e comunque ad un mese dall'ultimo episodio accertato. Inoltre il giudice di secondo grado ha verificato che gli addebiti erano sufficientemente specifici quanto al loro contenuto, tanto che il lavoratore era stato ben in grado di comprenderli e di difendersi appropriatamente, non negando i fatti ed affermando che l'attività extralavorativa svolta non era pregiudizievole del recupero ed era compatibile con le indicazioni terapeutiche impartite. Quanto alla sussistenza della giusta causa, la Corte di merito ha ritenuto fraudolenta la condotta tenuta effettuazione di lavori di tinteggiatura, manutenzione del quadro elettrico e lavori di riparazione al soffitto espressione dell'inesistenza della malattia. 3. Per la cassazione della sentenza ricorre An. Ci. articolando un unico motivo al quale oppone difese la Barilla G. e R. s.p.a. con tempestivo controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 4. Con l'unico motivo di ricorso An. Ci. si duole del fatto che la contestazione dell'addebito sia stata ritenuta sufficientemente specifica sebbene la lettera di contestazione dell'addebito non riportasse analiticamente la condotta contestata e facesse riferimento, genericamente, ad una attività extralavorativa , senza precisare il fatto nella sua materialità, né quando e dove era avvenuto. 4.1. Evidenzia che nella lettera di contestazione non era specificato che l'attività lavorativa svolta durante la malattia fosse incompatibile con il recupero e, conclusivamente, che il lavoratore non era stato posto in condizione di difendersi adeguatamente. 4.2. Sottolinea che la genericità della contestazione non era stata sanata dalla successiva audizione del lavoratore nel corso della quale era stata puntualmente evidenziata la genericità degli addebiti e la conseguente impossibilità di difendersi aggiungendo che solo con la memoria di costituzione, e perciò tardivamente, la società aveva prodotto la relazione investigativa e quattro pagine di contestazione di addebiti ai quali però, a distanza di oltre due anni, il lavoratore non era più in grado di replicare puntualmente. 5. Il ricorso è infondato. 5.1. La Corte territoriale nell'analizzare la contestazione dell'addebito al fine di verificarne la specificità, richiamati i principi ripetutamente affermati da questa Corte, ha poi verificato che i fatti contestati al lavoratore presentavano un grado sufficiente di specificità riportando il fatto ben determinato nei suoi contorni materiali attività extralavorativa in pendenza di malattia e nei suoi contorni temporali 28 e 29 aprile, 12 e 13 maggio, 18 giugno 2009 . A riprova della chiarezza della contestazione la Corte di merito ha osservato che le giustificazioni rese nell'immediatezza erano state puntuali e finalizzate a privare della rilevanza disciplinare la condotta. Il lavoratore si era difeso osservando che le attività extralavorative svolte e contestate erano compatibili con la diagnosi certificata e con le indicazioni terapeutiche inoltre aveva sottolineato che comunque non erano idonee ad aggravare le sue condizioni di salute. 5.2. Tale analisi della contestazione è in linea con quanto è stato ripetutamente affermato da questa Corte che ha chiarito che per ritenere integrata la violazione della garanzia posta dall' art. 7 dello Statuto dei lavoratori è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore e dunque la difesa esercitata in sede di giustificazioni è un elemento concretamente valutabile per ritenere provata la non genericità della contestazione cfr. Cass. 21/04/2005 n. 8303 . Ben vero che la condotta contestata deve essere ben individuata nella sua materialità, ivi compreso il tempo ed il luogo del suo svolgimento, e tuttavia nello specifico la Corte di merito ha verificato che l'addebito era stato temporalmente identificato e limitato a giornate individuate e che il riferimento ad un'attività extra lavorativa era stato esattamente compreso dal lavoratore che si era infatti difeso. 5.3. Va quindi ancora una volta ribadito che la previa contestazione dell'addebito, necessaria in funzione dei licenziamenti qualificabili come disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l'immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 cod. civ L'accertamento relativo al requisito della specificità della contestazione costituisce oggetto di un'indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità delle ragioni esposte dal giudice di merito, cfr. tra le tante Cass. 03/02/2003 n. 1562 e più recentemente Cass. 21/04/2017 n. 10154 . 6. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, vanno poste a carico del ricorrente soccombente. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell'applicabilità dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre accessori dovuti per legge. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell'art. 13 comma 1 bis del citato D.P.R