La Cassazione torna sul criterio del possesso dei requisiti pensionistici nei licenziamenti collettivi

Premesso che il possesso dei requisiti pensionistici costituisce un criterio oggettivo correttamente adottabile, ai sensi dell’art. 5, legge n. 223/1991, nella scelta dei destinatari di una procedura di riduzione del personale, ove in concreto se ne lamenti un’erronea applicazione per essere stati illegittimamente esclusi dal novero dei lavoratori licenziabili alcuni dipendenti che pure erano in possesso di tale requisito, sussiste interesse ad agire soltanto se risulti che tale illegittima esclusione abbia avuto un rilievo determinante sul far ricomprendere l’attore fra i destinatari del licenziamento.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 7986/18 della Corte di Cassazione, depositata il 30 marzo scorso. Il caso. La Corte di Cassazione torna ad affrontare la questione relativa alla legittimità del licenziamento collettivo operato da Unicredit a seguito dell’accordo sindacale del 15 settembre 2012. Le parti sociali avevano programmato un piano di esodo volontario rivolto ad una vasta platea di dipendenti in possesso dei requisiti per conseguire il trattamento pensionistico, stabilendo che qualora il numero di adesioni all’esodo incentivato fosse stato inferiore a quello previsto, si sarebbe dato luogo ai licenziamenti collettivi dei lavoratori comunque in possesso dei suddetti requisiti pensionistici o che li avessero maturati entro il 31 dicembre 2015. In tale accordo, peraltro, era stata inserita una norma transitoria che prevedeva la possibilità di posticipare la data di risoluzione del rapporto per un numero marginale di posizioni con contenuti specialistici. Un lavoratore ha comunque impugnato il licenziamento ed i giudici di merito, in entrambi i gradi di giudizio, hanno ritenuto illegittimo il recesso per violazione dei criteri, ritenendo altresì illegittima in quanto discrezionale l’esclusione di una parte di lavoratori dal novero dei soggetti licenziabili. Il criterio dei requisiti pensionistici e la sua applicazione. La Suprema Corte ha invece ritenuto legittima e non discriminatoria la disposizione transitoria con la quale sono stati esclusi, dal novero dei dipendenti licenziabili, alcuni lavoratori. In particolare gli Ermellini hanno inteso dare continuità ad un orientamento che aveva ritenuto che tale disposizione non aveva condizionato i licenziamenti, atteso che il numero delle dimissioni incentivate è stato considerato al fine di ridurre il numero dei lavoratori in esubero. In altre parole, secondo la Cassazione, l’esercizio della facoltà prevista dalla citata norma transitoria non ha influito sul criterio della pensionabilità, nel senso che sono stati licenziati, così come pattuito in sede sindacale, soltanto lavoratori che alla data indicata dagli accordi applicati nell’ambito della procedura di mobilità avevano maturato i requisiti pensionistici e non avevano aderito alla proposta di esodo incentivato. È ormai assodato, infatti, che in tanto si verifica una violazione dei criteri di scelta stabiliti dall’art. 5 legge n. 223/1991 in quanto la comparazione fra i lavoratori astrattamente licenziabili sia stata viziata dall’adozione di criteri generici, non verificabili e comunque lasciati alla mera discrezione del datore di lavoro, oppure sia avvenuta alla stregua di criteri astrattamente oggettivi e verificabili, ma in concreto malamente applicati. Il problema del difetto di interesse all’impugnazione del licenziamento. La Suprema Corte ha poi affrontato la questione dell’interesse ad impugnare il licenziamento, sotto il profilo della valutazione se l’esclusione dal novero dei licenziabili dei lavoratori aderenti alla proposta di esodo volontario e di quelli rientranti nel gruppo dei lavoratori con diritto alla posticipazione del recesso abbia provocato il licenziamento del ricorrente. La risposta è stata negativa coloro che hanno accettato l’esodo incentivato hanno pacificamente cessato il rapporto di lavoro prima della data in cui è stato licenziato il ricorrente, con l’effetto che tali lavoratori non potevano essere comparati con quest’ultimo perché, appunto, cessati dal servizio ancor prima dell’avvio della procedura di mobilità. Coloro che, invece, sono stati trattenuti in servizio in forza della norma transitoria sono stati comunque esclusi - a monte - dal calcolo del numero complessivo degli esuberi per i quali avviare la procedura di mobilità, perciò anche in tal caso non dovevano essere comparati con il ricorrente. Dunque, sussiste il difetto di interesse ad impugnare il licenziamento posto che dall’inserimento dei predetti lavoratori nel novero di quelli potenzialmente licenziabili non risulta comunque che il lavoratore che ha agito in giudizio avrebbe conservato il posto di lavoro, a discapito di un collega.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 gennaio – 30 marzo 2018, n. 7986 Presidente Napoletano – Relatore Manna Fatti di causa 1. Con sentenza n. 409/15 il Tribunale di Frosinone rigettava l’opposizione proposta da UNICREDIT S.p.A. contro l’ordinanza 11.3.14 con cui lo stesso Tribunale aveva dichiarato illegittimo, per violazione dell’art. 5 legge n. 223 del 1991, il licenziamento intimato il 29.11.12 dalla predetta società a G.B. nell’ambito d’una procedura di riduzione di personale che aveva interessato una vasta platea di dipendenti che non avevano accettato la proposta aziendale di esodo volontario e che erano in possesso dei requisiti per conseguire il trattamento pensionistico. Il Tribunale aveva quindi ordinato la reintegra del dipendente nel posto di lavoro con le conseguenze anche economiche di cui all’art. 18 legge n. 300 del 1970. 2. Con sentenza pubblicata il 30.9.15 la Corte d’appello di Roma, confermata l’illegittimità del licenziamento, rigettava il reclamo di UNICREDIT S.p.A., che oggi ricorre per la cassazione di detta sentenza affidandosi a tre motivi. 3. G.B. resiste con controricorso. 4. Le parti depositano memoria ex art. 378 cod. proc. civ. Ragioni della decisione 1.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1362, 1363 e 1366 cod. civ., per avere la sentenza impugnata ritenuto illegittimo il licenziamento in base all’erroneo rilievo che con la norma transitoria in calce all’art. 2 dell’accordo sindacale 15.9.2012 fosse stato adottato un criterio di scelta dei lavoratori licenziabili generico, non obiettivo né razionale, affidato alla mera discrezionalità della società obietta la ricorrente che tale norma transitoria riguardava, invece, la mera posticipazione per un periodo di massima di nove mesi e comunque nell’ambito di valenza del Piano Strategico , ossia entro il 31 dicembre 2015, termine comunque rispettato della data di risoluzione del rapporto di lavoro con i lavoratori aderenti all’esodo incentivato in quanto tali estranei alla procedura di riduzione del personale ex lege n. 223 del 1991 era, invece, unico e corretto - prosegue il motivo - il criterio di scelta per i licenziamenti, adottato con l’accordo sindacale 22 novembre 2012, criterio consistente nella maturazione dei requisiti per conseguire il trattamento pensionistico - da parte dei lavoratori non aderenti all’esodo incentivato - già avvenuta o destinata ad avverarsi entro il 31 dicembre 2015. 1.2. Con il secondo motivo ci si duole di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistenti nella portata del collegamento negoziale fra i summenzionati accordi 15.9.12 e 22.11.12, nella diversità tra le due categorie di dipendenti gli aderenti volontari all’esodo e i licenziati a norma degli artt. 4 e 24 l. 223/1991 e nella differenza tra il criterio di scelta dei dipendenti da licenziare e la data di efficacia della cessazione del rapporto di lavoro dei dipendenti aderenti all’esodo volontario. 1.3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5 legge n. 223 del 1991 in relazione alla ritenuta illegittimità del criterio della prossimità alla pensione adottato in base a quanto previsto dagli accordi collettivi del 15.9.12. e del 22.11.12. 2.1. Il terzo motivo di ricorso - da esaminarsi prioritariamente in quanto dirimente - è fondato. Emerge dalla sentenza impugnata sia detto in sintesi che con accordo sul Piano Strategico 2015 del Gruppo UNICREDIT del 15.9.12 le società del gruppo e le oo.ss. dei lavoratori avevano concordato di attivare un programma - da attuarsi entro il 2015 di esodo volontario dietro corresponsione d’un incentivo di 800 lavoratori in possesso dei requisiti per conseguire il trattamento pensionistico di legge. Era stato altresì pattuito che, se il numero di adesioni all’esodo incentivato fosse stato inferiore a quello previsto, si sarebbe fatto luogo a licenziamenti collettivi dei lavoratori non aderenti al piano di esodo incentivato comunque in possesso dei suddetti requisiti pensionistici o che li avessero maturati entro il 31.12.15. Poiché le adesioni volontarie al piano di esodo incentivato non avevano raggiunto il numero programmato di esuberi, la società ricorrente aveva dato avvio alla procedura di licenziamenti collettivi ex lege n. 223 del 1991. Con norma transitoria posta in calce all’art. 2 di detto accordo 15.9.12 era stato altresì stabilito che le società del gruppo UNICREDIT avrebbero potuto, al fine di salvaguardare la funzionalità di strutture operative ed organizzative strategiche per il Gruppo, limitatamente ad un numero marginale di posizioni con contenuti specialistici e/o commerciali di particolare rilevanza , posticipare la data di risoluzione del rapporto di lavoro degli aderenti all’esodo incentivato per un periodo di massima di 9 mesi e comunque nell’ambito di valenza del summenzionato Piano Strategico. Di tale possibilità si era avvalsa la società ricorrente. Sulla procedura di mobilità per cui oggi è causa e sulla legittimità del criterio di scelta adottato si sono registrati dei precedenti di questa S.C. di segno non coincidente Cass. n. 23100/16 ha ravvisato una violazione dell’art. 5 legge n. 223/91 perché con la suddetta norma transitoria la società, riservandosi la possibilità di posticipare la data di risoluzione del rapporto di lavoro di taluni aderenti all’esodo incentivato per un periodo di massima di 9 mesi e comunque nell’ambito di valenza del Piano Strategico, avrebbe finito con il sottrarre tali dipendenti al licenziamento, a tal fine utilizzando un criterio del tutto generico e indeterminato, non razionale né obiettivo in quanto riferito a funzioni di particolare rilevanza rivestite da taluni degli aderenti all’esodo, il tutto affidato alla mera discrezionalità datoriale. Altre sentenze Cass. n. 13803/17, Cass. n. 12814/17, Cass. n. 12813/17, Cass. n. 22789/2016 e Cass. n. 20063/2016 sono state, invece, di diverso avviso e hanno ritenuto legittima e non discriminatoria la previsione contenuta nella citata disposizione transitoria in calce all’art. 2 dell’accordo sindacale 15.9.12. Afferma tale ultima giurisprudenza che la disposizione transitoria non ha condizionato i licenziamenti, atteso che il numero delle dimissioni incentivate è stato considerato al fine di ridurre il numero dei lavoratori in esubero. In altre parole, l’esercizio della facoltà prevista dalla citata norma transitoria non ha influito sul criterio della pensionabilità, nel senso che sono stati licenziati, così come pattuito in sede sindacale, soltanto lavoratori che alla data indicata dagli accordi applicati nell’ambito della procedura di mobilità avevano maturato i requisiti pensionistici e non avevano aderito alla proposta di esodo incentivato. Quest’ultimo orientamento merita di essere condiviso. Si muova dal rilievo che in tanto si verifica una violazione dell’art. 5 legge n. 223 del 1991 sui criteri di scelta in quanto la comparazione fra i lavoratori astrattamente licenziabili sia stata viziata dall’adozione di criteri generici, non verificabili e comunque lasciati alla mera discrezione del datore di lavoro, oppure sia avvenuta alla stregua di criteri astrattamente oggettivi e verificabili, ma in concreto malamente applicati. V’è altresì bisogno - pena difetto di interesse ad impugnare il licenziamento cfr., da ultimo e per tutte, Cass. n. 24558/16 che risulti che il lavoratore che lamenti essere avvenuta a proprio danno una discriminazione o comunque una violazione dei criteri di scelta si sia visto inserire nel novero degli esuberi per far posto ad un altro o ad altri dipendenti che, pur appartenendo alla medesima platea di lavoratori potenzialmente licenziabili, nondimeno abbiano beneficiato di un’erronea applicazione dei criteri di scelta o di criteri di scelta generici o discrezionali adoperati dal datore di lavoro. Insomma, l’annullamento del licenziamento per violazione dei criteri di scelta ai sensi dell’art. 5 L. 223/1991 può essere chiesto soltanto dai lavoratori che in concreto abbiano subito un pregiudizio per effetto della violazione. Non è questo il caso in oggetto, nel senso che non risulta che escludere dal novero dei licenziabili i lavoratori aderenti alla proposta di esodo volontario abbia provocato il licenziamento dell’odierno controricorrente. Infatti, coloro i quali hanno aderito all’esodo volontario hanno dovuto farlo entro il 20.10.12 e con cessazione del rapporto alla data del 1.11.12 come si legge nella gravata pronuncia , vale a dire prima dell’avvio della procedura di mobilità. E quindi hanno cessato il proprio rapporto lavorativo prima della data in cui è stato licenziato l’odierno controricorrente. Ciò esclude di per sé una discriminazione o un non controllabile esercizio del potere di scelta da parte della società, giacché in nessun caso i lavoratori di cui sopra potevano essere comparati con il controricorrente perché, appunto, cessati dal servizio ancor prima dell’avvio della procedura di mobilità. Coloro che, invece, sono stati trattenuti in servizio in forza della norma transitoria in discorso, sono stati comunque esclusi a monte - dal calcolo del numero complessivo degli esuberi per i quali avviare la procedura di mobilità calcolo che riguardava, per espressa volontà pattizia, i non aderenti all’esodo volontario perciò anche in tal caso non dovevano essere comparati con il controricorrente. Insomma, il loro trattenimento in servizio peraltro, per un tempo limitato non ha avuto incidenza sul numero degli esuberi risultante all’esito delle adesioni all’esodo volontario, cioè non ha avuto incidenza sulla platea dei lavoratori non aderenti all’esodo volontario potenzialmente licenziabili se in possesso dei requisiti pensionistici. Né si dica che i lavoratori trattenuti in servizio per alcuni mesi nonostante l’adesione all’esodo volontario dovessero essere comunque considerati nella procedura di licenziamento collettivo in realtà essi sono stati considerati, a monte, come già in predicato di cessare il rapporto, il che ha sostanzialmente ridotto il numero complessivo degli esuberi per cui è stata poi attivata la procedura ex lege n. 223 del 1991. D’altro canto, proprio nel summenzionato accordo 15.9.12 le società del gruppo e le oo.ss. dei lavoratori avevano concordato che, se il numero di adesioni all’esodo incentivato fosse stato inferiore a quello previsto, si sarebbe fatto luogo a licenziamenti collettivi dei lavoratori non aderenti al piano di esodo incentivato comunque in possesso dei suddetti requisiti pensionistici o che li avessero maturati entro il 31.12.15. E nella procedura di riduzione del personale gli esuberi - vale a dire, giova rimarcare, i dipendenti ancora in servizio e non destinati a cessare il proprio rapporto di lavoro - sono stati trattati tutti alla stregua dell’unico criterio selettivo del possesso dei requisiti pensionistici, criterio oggettivo che costante giurisprudenza di questa S.C. ha ritenuto correttamente adottabile nelle procedure di riduzione di personale ex lege n. 223 del 1991 cfr., per tutte, Cass. n. 4186/13 . Insomma, il criterio di scelta non è in sé censurabile. Obietta la difesa di parte controricorrente che lo sono state però - le concrete modalità di sua applicazione, perché non sarebbe stato correttamente individuato il novero dei lavoratori licenziabili, illegittimamente ridotto. A sua volta l’illegittima riduzione sarebbe derivata dal fatto che, come accertato dalla sentenza impugnata, non tutti i lavoratori esodati hanno cessato il proprio rapporto lavorativo all’atto delle dimissioni o entro i previsti 9 mesi di possibile trattenimento in servizio in realtà alcuni di essi la sentenza non ne chiarisce l’esatto numero, ma il pronome indefinito adoperato dalla Corte territoriale sembra far riferimento ad un numero assai ridotto sono stati trattenuti in servizio ben oltre il termine massimo indicato dalla summenzionata norma transitoria posta in calce all’art. 2 dell’accordo 15.9.12 di conseguenza - afferma la sentenza impugnata - alla data del licenziamento dell’odierno controricorrente costoro facevano ancora parte, a tutti gli effetti, della platea dei lavoratori licenziabili perché anche essi in possesso dei requisiti pensionistici, ma ciò nonostante ne erano stati illegittimamente espunti. Tuttavia l’obiezione non scalfisce le osservazioni che precedono. In primo luogo deve osservarsi che, ove pure questi lavoratori trattenuti in servizio oltre il termine predetto fosse stati inseriti nel novero dei licenziabili, ciò avrebbe nel contempo incrementato in misura corrispondente il numero degli esuberi poiché esso era stato calcolato - giova ribadire - al netto degli esodati, vale a dire al netto di tutti quelli che avevano manifestato il proprio intento di dimettersi aderendo al programma di esodo incentivato. In secondo luogo, anche a prescindere dal rilievo che precede, quando - come nel caso di specie - non possa parlarsi di criterio di scelta generico o del tutto discrezionale certamente non lo è il possesso dei requisiti pensionistici che, come sopra ricordato, è stato ritenuto legittimo da costante giurisprudenza di questa S.C. , ma si possa discutere soltanto della correttezza della sua applicazione ove si sostenga che non sia stata esattamente individuata la platea dei dipendenti astrattamente licenziabili , resta l’ostacolo costituito dal difetto di interesse ad impugnare il licenziamento per violazione dell’art. 5 legge n. 223 del 1991 se non risulta e nel caso di specie non risulta neppure a livello di mera allegazione che dell’inserimento di tali lavoratori nel novero di quelli potenzialmente licenziabili avrebbe beneficiato proprio il lavoratore che agisce in giudizio anziché un altro suo collega parimenti licenziato perché, in ipotesi, lo precedeva nell’elenco dei dipendenti in possesso del requisito utilizzato come criterio selettivo . Infine, è appena il caso di ricordare che il difetto di interesse ad agire è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, perché costituisce una condizione dell’azione giurisprudenza costante cfr., da ultimo e per tutte, Cass. n. 19268/2016 . 2.2. L’accoglimento del terzo motivo assorbe la disamina dei primi due. 3.1. In conclusione, accolto il terzo motivo di ricorso ed assorbiti il primo e il secondo, la sentenza impugnata deve cassarsi in relazione al motivo accolto, con rinvio - anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità - alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione. Nel decidere la presente controversia il giudice del rinvio dovrà attenersi al seguente principio di diritto Premesso che il possesso dei requisiti pensionistici costituisce un criterio oggettivo correttamente adottabile, ai sensi dell’art. 5 legge n. 223 del 1991, nella scelta dei destinatari d’una procedura di riduzione di personale, ove in concreto se ne lamenti un’erronea applicazione per essere stati illegittimamente esclusi dal novero dei lavoratori licenziabili alcuni dipendenti che erano pur in possesso di tale requisito, sussiste interesse ad agire soltanto se risulti che tale illegittima esclusione abbia avuto un rilievo determinante sul far ricomprendere l’attore fra i lavoratori destinatari del licenziamento . P.Q.M. Accoglie il terzo motivo, dichiara assorbiti il primo e il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.