Responsabilità del datore di lavoro per danni da cose in custodia

Secondo il combinato disposto degli artt. 2051 e 2087 c.c., sussiste una responsabilità del datore di lavoro per i danni subiti dal lavoratore da cosa che il datore di lavoro ha in custodia, con il conseguente obbligo di vigilanza e controllo sulla stessa, sempre che sia stato accertato il nesso eziologico tra il danno stesso e l’ambiente ed i luoghi di lavoro e salva la prova del caso fortuito.

E’ il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 5957/18, depositata il 12 marzo. Il caso. Il Tribunale di Udine veniva adito da un lavoratore per ottenere la condanna del datore di lavoro al risarcimento dei danni subiti a causa di un infortunio verificatosi in una galleria ferroviaria in costruzione allorquando, mentre l’attore era intento a praticare dei fori con un macchinario, era esplosa una carica precedentemente posizionata e rimasta nascosta. Il giudice rigettava la domanda escludendo che il danno fosse causalmente riconducibile ad un comportamento colposo del datore di lavoro, escludendo inoltre l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. Danno cagionato da cosa in custodia . La decisione veniva confermata in appello. Il lavoratore ricorre dunque in Cassazione deducendo la violazione degli artt. 2087 Tutela delle condizioni di lavoro e 2051 c.c Responsabilità del datore di lavoro. Il Collegio, ritenendo fondata la censura, ricostruisce il tessuto normativo di riferimento partendo dall’art. 2087 c.c. che prevede un generale obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro in favore del lavoratore con contenuto atipico e residuale, mentre il contenuto tipico di tale obbligo è individuato dalla disciplina di settore. La norma richiamata si pone dunque come disposizione di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni non ancora espressamente considerate dal legislatore che impone all’imprenditore l’obbligo di tutelare l’integrità psicofisica dei dipendenti con l’adozione – ed il mantenimento perfettamente funzionale – non solo di misure di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare il lavoratore dalla sua lesione nell’ambiente od in costanza di lavoro . Sulla base di tale premessa, ed escludendo comunque ogni profilo di responsabilità oggettiva in capo al datore di lavoro, la Corte giunge ad affermare il principio di diritto secondo cui laddove il danno sia stato subito dal lavoratore da cosa che il datore di lavoro ha in custodia, con il conseguente obbligo di vigilanza e controllo sulla stessa, e sia stato accertato il nesso eziologico tra il danno stesso e l’ambiente ed i luoghi di lavoro, secondo il combinato disposto degli artt. 2051 e 2087 c.c., sussiste una responsabilità del datore di lavoro, salvo che quest’ultimo dimostri il caso fortuito. In conclusione, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 dicembre 2017 – 12 marzo 2018, numero 5957 Presidente Bronzini – Relatore De Gregorio Fatti di causa F.L. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Udine la Ferica Società Cooperativa a r.l. per conseguirne la condanna al risarcimento dei danni subiti all’esito dell’infortunio occorsogli in data omissis . Esponeva che, mentre era intento a praticare dei fori con un macchinario all’interno di una galleria ferroviaria in costruzione, era esplosa una carica rimasta nascosta, arrecandogli gravi lesioni personali. Resisteva al ricorso la società convenuta. Il giudice adito rigettava le domande proposte con pronuncia che veniva confermata dalla Corte distrettuale. A fondamento del decisum, la Corte osservava, per quanto in questa sede rileva, che il quadro probatorio delineato in prime cure aveva consentito di acclarare come l’eventus damni non fosse causalmente riconducibile a comportamento colposo del personale preposto al controllo del sito, il quale aveva provveduto alla preparazione della parete ove si sarebbero dovute posizionare le nuove cariche esplosive né a carico del datore di lavoro, non essendovi sul sito segnali di pericolo per la esistenza di cariche rimaste inesplose. Escludeva, poi, l’applicabilità alla fattispecie, dei dettami di cui all’articolo 2051 c.c., prospettata per la prima volta in appello secondo modalità ritenute inammissibili, implicando ulteriori e precisi riscontri non consentiti per la prima volta in sede di gravame. Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione F.L. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso la società cooperativa intimata, in liquidazione. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’articolo 378 c.p.c Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione degli articolo 2087 e 2051 c.c. nonché dell’articolo 41 Cost. in relazione all’articolo 360 comma primo numero 3 c.p.c Si argomenta che in sede di gravame, si era sostenuto che la corretta applicazione dell’articolo 2087tilMponesse di ritenere come anche nella impossibilità tecnica di conseguire la sicurezza assoluta sul lavoro, il rischio e i costi degli eventuali incidenti non dovessero gravare sui dipendenti ma, piuttosto, sul datore di lavoro, grazie ad un meccanismo di responsabilità presunta, simile a quello di cui all’articolo 2051 c.c. del quale l’articolo 2087 era il corrispondente referente normativo in materia di infortuni sul lavoro. Si desumeva dal ricorso di primo grado e dall’atto di appello che l’infortunio si era verificato nel corso della attività lavorativa e a causa di una cosa impiegata in cantiere . L’esplosione era stata infatti determinata da una precedente mina rimasta inesplosa e dalla indicazione data al lavoratore di eseguire il foro nel medesimo punto in cui era stata posizionata quella mina. Si argomenta, quindi, come gli elementi che sotto il profilo fattuale definivano la vicenda scrutinata, mostrassero con evidenza la riconducibilità del danno di natura psicofisica risentito dal lavoratore, all’esplosione di materiale impiegato nella frantumazione di una parete rocciosa all’interno del cantiere gestito dalla parte datoriale, riconducibili a responsabilità gravante sul datore di lavoro. 2. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli articolo 2087 e 2051 c.c. nonché dell’articolo 41 Cost. in relazione all’articolo 360 comma primo numero 3 c.p.c Si ribadisce che, ferma restando la descrizione della dinamica del sinistro, riferibile all’ambiente lavorativo secondo le modalità delineate in sede di ricorso introduttivo del giudizio, nell’atto di appello si era invocata, inter alla, anche la responsabilità da cose in custodia gravante sul datore di lavoro, quale riflesso dell’applicazione dell’articolo 2087 fondante una responsabilità contrattuale a carico dell’imprenditore. 3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.c. ex articolo 360 comma primo numero 3 c.p.c Si stigmatizza l’impugnata sentenza per essere incorsa in violazione del principio per cui la diversa qualificazione giuridica conferita dal giudice rispetto a quella prospettata dalla parte, non integra un’ipotesi di novum. 4. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, sono fondati. Le doglianze formulate dal ricorrente, muovono tutte dalla considerazione dell’errore prospettico in cui sarebbe incorsa la Corte di merito, la quale non ha scrutinato la domanda sotto il profilo della responsabilità della parte datoriale ai sensi dell’articolo 2051 c.c., pur prospettata nei diversi gradi del giudizio di merito, erroneamente reputando violato il principio del divieto di nova in appello sancito dall’articolo 437 c.p.c Nel rispetto del principio di autosufficienza che governa il ricorso per cassazione - da intendere quale corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione tradotto nelle disposizioni contenute nell’articolo 366 c.p.c., comma 1 - il F. ha riportato significativi stralci del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado dai quali si deduceva che la sera dell’infortunio, dopo aver proceduto ad una prima esplosione, aver liberato il campo dai detriti ed aver consolidato la parete rocciosa con un getto di calcestruzzo, venivano segnati con vernice i punti ove dovevano essere praticati i fori per l’inserimento delle nuove cariche esplosive e veniva dato ordine a F.L. di eseguire gli ulteriori fori. Nel mentre il lavoratore stava praticando un foro ad un’altezza di circa un metro, si verificava un’esplosione ed egli veniva investito da una quantità notevole di detriti . . Il ricorrente ha in via ulteriore proseguito enunciando il tenore dell’articolo 38 d.p.r. numero 302/1956 secondo cui Trascorsi i tempi di sicurezza indicati nell’articolo 36, il caposquadra minatore, con i lavoratori strettamente necessari, deve sprovvedere a al disgaggio di sicurezza b all’accurata ispezione della fronte di sparo per individuare le eventuali mine,non esplose c all’accertamento della eventuale esistenza di residui di esplosivo nei fondelli. Nel caso di mine inesplose, e ove non sia rintracciabile la mina gravida sulla fronte e sia perciò presumibile l’avvenuta asportazione della stessa, si devono ricercarne attentamente i frammenti nel materiale abbattuto. In tal caso la rimozione del materiale deve essere effettuata con cautela. È vietato scaricare l’esplosivo di cui sia stata accertata l’esistenza nei fondelli residui, esso deve essere fatto esplodere mediante una carica sovrapposta. I fondelli residui devono essere accuratamente ricercati e messi in evidenza con appositi segnali indicatori, affinché siano evitati nella perforazione di nuovi fori. I nuovi fori devono essere aperti parallelamente ed a sufficiente distanza dai fondelli residui . Dalla descrizione della complessiva dinamica degli eventi, culminata nella verificazione dell’eventus damni occorso al lavoratore era, dunque, chiaramente evincibile come la causa del pregiudizio alla salute risentito, fosse da ravvisare nell’esplosione di materiale impiegato nella frantumazione di una parete rocciosa all’interno del cantiere datoriale. 5. Orbene, l‘esegesi del contesto fattuale in cui si è dipanata la vicenda sottoposta allo scrutinio di questa Corte e ad essa devoluta ex articolo 112 c.p.c., esige il richiamo al quadro normativo di riferimento come definito dall’interpretazione resa da questa Corte nei suoi consolidati approdi. Può dunque affermarsi che l’obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro in favore del lavoratore, è previsto in generale, con contenuto atipico e residuale, dall’articolo 2087 c.c. vedi ex plurimis, Cass. 7/6/2013 numero 14468, Cass. 17/02/2009 numero 3788, Cass. 21/2/2004 numero 3498 ed in particolare, con contenuto tipico, dalla dettagliata disciplina di settore concernente gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali e le misure di prevenzione. In via generale, va altresì rimarcato come la disposizione di cui all’articolo 2087 c.c., si qualifichi alla stregua di norma di chiusura del sistema antinfortunistico, estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione, ed impone all’imprenditore l’obbligo di tutelare l’integrità fisiopsichica dei dipendenti con l’adozione - ed il mantenimento perfettamente funzionale - non solo di misure di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla sua lesione nell’ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad eventi pur se allo stesso non collegati direttamente. In riferimento a tale profilo, con orientamento costante, questa Corte ha quindi affermato che la responsabilità del datore di lavoro ex articolo 2087 c.c. è di carattere contrattuale, atteso che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell’articolo 1374 c.c. dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale ex aliis, vedi Cass. cit. numero 3788/2009, Cass. 13/8/2008, numero 21590 anche se è possibile ipotizzare - per un fatto che viola contemporaneamente sia diritti che attengono alla persona in base al precetto generale del neminem laedere, sia diritti che scaturiscono dal vincolo giuridico contrattuale - il concorso della azione contrattuale basata sulla violazione degli obblighi di sicurezza posti a carico del datore di lavoro dall’articolo 2087 c.c. così Cass. 20/6/2001 numero 8381, cui adde, Cass. 27/6/2011 numero 14107 . L’articolo 2087 cod. civ., peraltro, non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento cfr. Cass. 29/1/2013 numero 3288 . Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell’articolo 1218 c.c. circa l’inadempimento delle obbligazioni, da ciò discendendo che il lavoratore il quale lamenti di aver subito un danno da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure. per evitare il danno. 6. Nell’ottica descritta, pregnante è il richiamo ai principi del pari affermati in questa sede di legittimità, che vanno qui ribaditi, alla cui stregua, nell’ipotesi in cui il danno sia stato determinato da cose che il datore aveva in custodia e la custodia non è da intendersi esclusivamente nel significato formalmente contrattuale, bensì come mera esistenza d’un potere fisico ad altri riconosciuto dal proprietario Cass.18/2/2000 numero 1859 in relazione all’ipotesi di contratto di appalto, in cui la consegna dell’area di proprietà del committente è di regola sufficiente a trasferirne la custodia esclusiva, vedi Cass. 22/1/2015 numero 1146 , è richiesta, per la responsabilità prevista dall’articolo 2051 cod. civ., la sussistenza d’una relazione diretta fra la cosa e l’evento dannoso, ed il potere fisico. del soggetto sulla cosa, da cui discende il di lui obbligo di controllare in modo da impedire che la cosa causi danni Cass. 14/6/1999 numero 5885 . In tale situazione, ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 2087 cod.civ., nell’ipotesi in cui il danno sia stato causato al lavoratore da cose che il datore di lavoro aveva in custodia e, a maggior ragione, in quella in cui lo stesso datore, a cagione dell’attività da lui esercitata, abbia ricevuto in consegna un oggetto che il lavoratore sia stato incaricato di elaborare - pur non configurandosi una responsabilità oggettiva del datore - sussiste una presunzione di colpa a carico del datore che è nel contempo custode della cosa da cui il danno deriva, scaturente dalla concorrente applicabilità degli articolo 2051 e 2087 cod.civ., che può essere superata solo dalla dimostrazione dell’avvenuta adozione delle cautele antinfortunistiche, ovvero dall’accertamento di un comportamento abnorme del lavoratore ex plurimis, Cass. 20/6/2002 numero 9016 , e, ove non sia in discussione la colpa di quest’ultimo, nel caso fortuito che si invera, ex articolo 2051 cod. civ. nella natura imprevedibile ed inevitabile del fatto dannoso vedi Cass.20/6/2003 numero 9909, Cass. 14/8/2004 numero 15919, Cass. S.U. 8/7/2008 numero 18623 . 7. Orbene, nello specifico va rimarcato come la Corte distrettuale non si sia conformata agli enunciati principi per avere escluso la riconducibilità agli archetipi normativi di cui alle clausole generali degli articolo 2087-2051 c.c. adducendo a motivo l’esistenza di un profilo di violazione del divieto di nova in appello. Secondo i dicta di questa Corte, ai quali va data continuità, il principio del tantum devolutum quantum appellatum articolo 434 e 437 cod. proc. civ. , non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma, rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi e, in genere, all’applicazione di una norma giuridica, diversa da quella invocata dalla parte vedi Cass.22/8/2013 numero 19424, Cass. 24/3/2011 numero 6757 . Per il principio iura novit curia sancito dall’articolo 113, comma primo,. cod. proc. civ., il giudice può infatti assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, ferma restando la preclusione di una decisione basata non già sulla diversa qualificazione giuridica del rapporto, ma su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa vedi ex plurimis, Cass.24/7/2012 numero 12943 , con immutazione della fattispecie e conseguente violazione - in ultra ovvero extrapetizione - del principio di correlazione tra il chiesto ed il pronunciato ex articolo 112 cod.proc.civ. cfr.Cass. 11/5/2017 numero 11629 . Nello specifico, dallo storico di lite, si evince come il ricorrente sin dall’atto introduttivo del giudizio, abbia indicato i dati fattuali posti a fondamento della domanda di risarcimento dei danni subiti ed abbia ricondotto chiaramente la causa dei suddetti danni alla esplosione. Detta prospettazione è rimasta immutata in grado di appello, introdotto con ricorso nel cui contesto non è stata configurata alcuna situazione che possa definirsi sostitutiva o in rapporto di alternatività rispetto a quella delineata in primo grado, in quanto riferentesi alla medesima situazione giuridica sostanziale generata dal fatto per il quale era stato promosso il giudizio. Consegue, dalle considerazioni svolte, che nella fattispecie considerata non è ravvisabile alcun elemento ostativo alla individuazione dell’articolo 2051 c.c. quale concorrente titolo di responsabilità a carico della parte datoriale in ordine alla causazione dell’evento dannoso, non essendo configurabile, alla luce dei principi testé richiamati, alcun mutamento degli elementi identificativi della domanda, giacché non richiesta l’attribuzione di un bene diverso da quello domandato né risultando introdotti nel tema controverso nuovi elementi di fatto vedi ex aliis, Cass. 1/9/2004 numero 17610, Cass. 14/5/2005 numero 10922, Cass. 12/4/2006 numero 8519, Cass. 24/07/2012 numero 12943 , la cui qualificazione compete, per quanto innanzi argomentato, al giudicante. 8. Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte d’Appello designata in dispositivo la quale, scrutinando la vicenda di merito, si atterrà al seguente principio di diritto Nel caso in cui un danno sia stato causato al lavoratore da cosa che il datore di lavoro ha in custodia - con il correlato obbligo di vigilanza e controllo su di essa - ove sia accertato il nesso eziologico tra il danno stesso e l’ambiente ed i luoghi di lavoro, sussiste ai sensi del combinato disposto di cui agli articolo 2051 c.c. danno cagionato da cose in custodia e 2087 c.c. tutela delle condizioni di lavoro cod.civ., una responsabilità del datore di lavoro, salvo che lo stesso provi il caso fortuito . Il giudice di rinvio provvederà alla regolamentazione delle spese, anche di questo giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Trieste in diversa composizione.