Legittima la previsione della non restituibilità dei contributi non utilizzabili ai fini pensionistici... anche nei riguardi degli eredi

In materia di trattamento previdenziale, gli enti previdenziali privatizzati, nell'esercizio della propria autonomia, che li abilita a derogare od abrogare disposizioni di legge in funzione dell'obbiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni, possono adottare misure prevedenti, fermo restando il sistema retributivo di calcolo della pensione, la facoltà di optare per il sistema contributivo a condizioni di maggior favore per gli iscritti, stabilendo, al contempo, la non restituibilità dei contributi legittimamente versati.

Consegue che la previsione dell'art 4, comma 1 del regolamento della Cassa Forense, della non restituibilità dei contributi è da ritenersi rispettosa dei limiti dell'autonomia degli enti previdenziali privatizzati e, come tale, idonea ad abrogare tacitamente la contraria previsione legge n. 576/1980, n. 21 del diritto alla restituzione dei contributi non utilizzabili ai fini pensionistici. Principio affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 4980, pubblicata il 2 marzo 2018. Il caso deciso. Gli eredi di un avvocato, deceduto nel luglio 2006, senza aver maturato il diritto alla pensione, agivano in giudizio al fine di ottenere il diritto, ai sensi dell’art. 21 legge n. 576/1980, al rimborso da parte della Cassa Forense dei contributi soggettivi versati dal loro dante causa nei 25 anni di iscrizione alla Cassa. Il Tribunale rigettava la domanda. Proposto appello, ugualmente la Corte di merito respingeva il gravame. Proponevano così ricorso in Cassazione gli eredi del professionista. L’efficacia dell’attività regolamentare della Cassa Forense. I ricorrenti censurano la decisione dei Giudici di merito in quanto sarebbe stato violato nel caso in esame il principio della gerarchia delle fonti normative. Attribuendo alle delibere regolamentari adottate dalla Cassa efficacia abrogativa della legge n. 576/1980, si sarebbero spogliate le Camere della funzione legislativa, consentendo alla fonte regolamentare modificare disposizione contenute in una legge. La Suprema Corte non ritiene fondato il motivo di censura. La questione sottoposta al vaglio della Corte di legittimità è già stata oggetto di disamina da parte della giurisprudenza della medesima Corte, che ha enunciato al riguardo il principio secondo cui, in materia di trattamento previdenziale, gli enti previdenziali privatizzati, nell'esercizio della propria autonomia, che li abilita a derogare od abrogare disposizioni di legge in funzione dell'obbiettivo di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni, possono adottare misure prevedenti, fermo restando il sistema retributivo di calcolo della pensione, la facoltà di optare per il sistema contributivo a condizioni di maggior favore per gli iscritti, stabilendo, al contempo, la non restituibilità dei contributi legittimamente versati, con abrogazione della precedente disposizione di cui alla L. n. 570/1980, art. 21, nel rispetto dei limiti dell'autonomia degli enti quali la previsione tassativa dei tipi di provvedimento che gli enti sono abilitati ad adottare ed il principio del pro-rata , senza che ne consegua la lesione di diritti quesiti o di legittime aspettative o dell'affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica. Al riguardo è stato, infatti, osservato che è coerente con la facoltà di optare per il sistema contributivo in quanto comportante un palese ampliamento dell'area di utilizzabilità a fini pensionistici dei contributi versati legittimamente alla Cassa la contestuale previsione art. 4, comma 1, del regolamento della Cassa della non restituibilità dei contributi medesimi pertanto, al pari della opzione per il contributivo, la previsione della non restituibilità dei contributi risulta rispettosa dei limiti dell'autonomia degli enti previdenziali privatizzati e, come tale, idonea ad abrogare tacitamente la contraria previsione, di cui all’art. 21, legge n. 570/1980, del diritto alla restituzione dei contributi non utilizzabili a fini pensionistici. Nessuna lesione di diritti quesiti o legittime aspettative. Né, proseguono gli Ermellini, può derivarne la lesione di diritti quesiti, ovvero di legittime aspettative o dell'affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica, posto che la previsione della non restituibilità dei contributi legittimamente versati risulta coerente, da un lato, con la regola generale e, dall'altro, con la previsione contestuale della facoltà di optare, a condizioni di maggior favore, per il sistema contributivo di calcolo della pensione. La stessa coerenza con la facoltà di optare per il sistema contributivo, concorre con la regola generale della inesistenza di un diritto alla restituzione di contributi previdenziali legittimamente versati. Ed il carattere affatto eccezionale che ne consegue, della previsione di tale diritto, non si pone in contrasto con la Costituzione. In proposito il Supremo Collegio richiama l’ordinanza della Corte Costituzionale n. 254/2016 e la precedente sentenza n. 404/2000, a sostegno della esclusione di qualsiasi contrasto con la costituzione, per la previsione di non restituibilità dei contributi medesimi, ai sensi dell'art. 4, comma 1 del regolamento della Cassa. Non risulta la lesione di diritti quesiti, in quanto presuppone la loro maturazione, prima del provvedimento ablativo né di legittime aspettative o dell'affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica. Il principio di non restituibilità esteso anche agli eredi. Peraltro, osserva la Suprema Corte, alla luce della pronuncia della Corte Costituzionale n. 404/2000 deve ritenersi che il divieto di restituzione dei contributi versati debba estendersi anche agli eredi, sul presupposto che l’istituto del rimborso contributivo non implica necessariamente la corrispettività tra contributi e pensioni, ma soltanto una particolare configurazione dei doveri di solidarietà posti a carico di tutti gli iscritti. E deve ritenersi affidato alle valutazioni discrezionali del legislatore stabilire in quale misura l’interesse dei singoli alla restituzione dei contributi sia suscettibile di contemperamento con il principio di solidarietà. In conclusione il ricorso proposto è stato ritenuto infondato e di conseguenza rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 2 novembre 2017 – 2 marzo 2018, n. 4980 Presidente Mammone – Relatore Calafiore Fatti di causa Gli eredi dell’avv. S.F., deceduto l’ omissis senza aver maturato diritto a pensione, hanno chiesto al Tribunale di Milano quale giudice del lavoro di accertare nei confronti della Cassa Nazionale di Assistenza e Previdenza Forense di seguito Cassa il proprio diritto al rimborso dei contributi soggettivi versati dal loro dante causa nei venticinque anni di iscrizione alla Cassa e dagli stessi eredi a titolo di integrazione per i redditi dell’anno 2006, oltre ad interessi, condannando la Cassa alla restituzione della somma pari ad Euro 896.168,48 ai sensi dell’art. 21 della legge n. 576/1980. In subordine, la richiesta è stata limitata al rimborso dei contributi soggettivi versati sino al giugno 2005 epoca precedente l’entrata in vigore della modifica al Regolamento della Cassa che ha previsto il rimborso solo parziale dei contributi unitamente alla previsione di una cd. mini pensione contributiva. Il Tribunale ha rigettato la domanda. Con sentenza del 21 settembre 2011 la Corte d’appello di Milano ha respinto l’impugnazione degli eredi dopo aver ribadito la legittimità dell’operazione eseguita dalla Cassa attraverso la modifica dell’art. 4 del Regolamento e l’insussistenza della lesione di diritti quesiti o di legittime aspettative come quelle delineate dai ricorrenti. Per la cassazione della sentenza ricorrono gli eredi dell’avv. S.F. con tre motivi. Resiste con controricorso la Cassa. Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod.proc.civ Ragioni della decisione 1. Col primo motivo i ricorrenti denunziano violazione e o falsa applicazione degli artt. 21 della legge n. 576/1980, 2 comma 1 d.lgs. n. 509/1994, 3 comma 12 I. n. 335/1995, 4 disp. prel. c.c. e 17 comma 2 I. n. 400/1988. In particolare, sostengono che, attribuendo alle delibere regolamentari adottate dalla Cassa ed approvate con dd. mm. 24 giugno 2004 e 16 maggio 2005 efficacia abrogativa dell’art. 21 della legge n. 576/1980, la Corte territoriale abbia violato il principio di gerarchia delle fonti, spogliando le Camere della funzione legislativa e consentendo alla fonte regolamentare di modificare disposizioni contenute nella legge. 2. Il secondo motivo denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 1 del d.lgs. 509/1994 e dell’art. 3 comma 12 della legge n. 335/1995 con riferimento agli artt. 70 e 3 della Costituzione, nell’ipotesi in cui i citati articoli del d.lgs. 509/1994 e della legge n. 335/1995 si dovessero interpretare quali norme di delegificazione. 3. Il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 3 comma 12 della legge n. 335/1995 e la carente motivazione su un punto decisivo della controversia che si ravvisa nella circostanza che la fattispecie in esame non avrebbe potuto essere giudicata alla stregua dei precedenti di legittimità citati dalla Corte d’appello in quanto, trattandosi di eredi, gli stessi non avrebbero potuto accedere ad alcun trattamento pensionistico di tipo contributivo in cambio della restituzione dei contributi, ma solo ottenere la somma di denaro prevista. Inoltre, il motivo prospetta l’omessa pronunzia in ordine all’eccezione con la quale si era sostenuto che la normativa primaria di riferimento art. 3 Cost., L. n. 335 del 1995 art. 3 comma 12 e L. n. 509 del 1994 art. 1 comma 6 consentiva sì alla Cassa di introdurre la pensione contributiva, ma per tutti gli iscritti e non solo per una parte di essi, cioè quelli che vantavano un periodo contributivo superiore ai cinque anni, ma inferiore ai trenta. In ogni caso, secondo il ricorrente, la motivazione sarebbe contraddittoria e carente laddove la Corte d’appello avrebbe giustificato la mancata applicazione del principio del pro-rata limitandosi a richiamare la sentenza di questa Corte n. 24202 del 16.11.2009. 4. I primi due motivi in quanto strettamente connessi vanno trattati congiuntamente e sono infondati. L’efficacia dell’attività regolamentare della Cassa Forense all’interno del sistema delle fonti, a seguito dell’entrata in vigore degli artt. 2, comma 1 del d.lgs. 509/1994 e dell’art. 3 comma 12 della legge n. 335/1995, è stata già esaminata, come è noto, da Corte di cassazione n. 24202 del 16 novembre 2009 oltre che da Cass. 12209/2011 e Cass. 19981/2017, per cui si è affermato un orientamento, cui si intende dare continuità, che previa ricognizione del quadro normativo come interpretato dalla precedente giurisprudenza costituzionale e di legittimità, ritiene che a il nuovo ente, sorto per effetto del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509 in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, non fruisce di finanziamenti o di altri ausili pubblici di carattere finanziario e mantiene la funzione di ente senza scopo di lucro cui continuano a fare capo i rapporti attivi e passivi ed il patrimonio del precedente ente previdenziale b tale ente ha assunto la personalità giuridica di diritto privato con il mantenimento dei poteri di controllo ministeriale sui bilanci e di intervento sugli organi di amministrazione oggi più penetranti per effetto dell’art. 14 L. n. 111/2011 in aggiunta alla generale soggezione al controllo della Corte dei conti ed a quello politico da parte della Commissione parlamentare di cui all’art. 56 della legge n. 88/1989 dunque è rimasto immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dall’ente originario, non incidendo su di esso la modifica degli strumenti di gestione legati alla differente qualificazione giuridica e permanendo l’obbligatorietà della contribuzione a conferma della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale come affermato da Corte costituzionale n. 248 del 18 luglio 1997, oltre che del principio di autofinanziamento vedi Corte cost. n. 340 del 24 luglio 2000 c il riconoscimento, operato dalla legge in favore del nuovo soggetto, dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile che, comunque, non esclude l’eventuale imposizione di limiti al suo esercizio vd. Corte cost. n. 15/1999 , ha realizzato una sostanziale delegificazione attraverso la quale, nel rispetto dei limiti imposti dalla stessa legge, è concesso alla Cassa di regolamentare le prestazioni a proprio carico anche derogando a disposizioni di leggi precedenti, secondo paradigmi sperimentati ad esempio laddove la delegificazione è stata utilizzata in favore della contrattazione collettiva vd. Cass. n. 29829 del 19 dicembre 2008 15135/2014 . 6. L’operatività di tale delegificazione all’interno del sistema delle fonti, deve aggiungersi, è stata confermata dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 254/2016 in relazione alla questione di legittimità costituzionale sollevata riguardo all’art. 3 della Cost., tra l’altro, degli artt. 1, comma 4, 2, comma 2, e 3, comma 2 del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 in attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 e dell’art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in combinato disposto con l’art. 1 del Regolamento della Cassa forense 17 marzo 2006 e con l’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 19 settembre 2008. La citata ordinanza, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte di cassazione relativa alla sostanziale delegificazione della materia, ha ribadito che la giurisdizione del giudice costituzionale, ai sensi dell’art. 134 Cost., non si estende a norme di natura regolamentare, come i regolamenti di delegificazione Corte cost. n. 427 del 2000 e, proprio con riferimento alle fonti di valore regolamentare, adottate in sede di delegificazione , la garanzia costituzionale va ricercata, a seconda dei casi, o nella questione di legittimità costituzionale sulla legge abilitante il Governo all’adozione del regolamento, ove il vizio sia ad essa riconducibile, per avere, in ipotesi, posto principi incostituzionali o per aver omesso di porre principi in materie che costituzionalmente li richiedono o nel controllo di legittimità sul regolamento, nell’ambito dei poteri spettanti ai giudici ordinari o amministrativi, ove il vizio sia proprio ed esclusivo del regolamento stesso Corte cost. n. 427 del 2000 . 7. La delegificazione, dunque, realizza la scelta legislativa di riconoscere l’autonomia regolamentare della Cassa nella materia indicata nel comma 12 dell’art. 3 della legge n. 335/1995 e l’effettivo esercizio del relativo potere, attraverso l’adozione dell’art. 4 del Regolamento generale che ha esteso il divieto di rimborso dei contributi, principio generale dell’intero sistema previdenziale Corte cost. n. 404/2000 , ha necessariamente prodotto l’effetto abrogativo delle precedenti disposizioni contenute nell’art. 21 della legge n. 576/1980. Ciò a prescindere dalla esistenza di una esplicita indicazione da parte della legge di delegificazione, posto che l’effetto abrogativo deriva comunque dalla forza normativa della legge che dispone la delegificazione e la determinazione del testo abrogato va fatta sulla base dell’interpretazione delle disposizioni in essa contenute. Nella fattispecie in esame, in particolare, la materia oggetto di delegificazione è stata ravvisata dalla citata sentenza di questa Corte di cassazione n. 24202/2009 nella previsione dell’art. 3 comma 12 della legge n. 335/1995 nella formulazione originaria di attribuzione del potere di adottare provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione del coefficiente di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata. È questa la base giuridica ed il parametro di legittimità dell’art. 4 del Regolamento della Cassa nel testo risultante dalle delibere approvate con dd. mm. 24 giugno 2004 e 16 maggio 2005. 8. L’effetto abrogativo, peraltro, non dipende neanche dal rispetto delle forme previste dall’art. 17 comma 2 della legge n. 400/1988 poiché tale testo, seppure nelle intenzioni ispirato a costituire modello generale di riferimento dell’affidamento alla fonte secondaria di materia prima regolate dalla legge, si è in concreto accompagnato a numerose statuizioni di legge per specifiche materie che o rinviano a questa disposizione con delle varianti, oppure stabiliscono autonome procedure più o meno simili ad es. art. 2 commi 7-9 L. 24 dicembre 1993, n. 537 . 9. La delegificazione in oggetto, per rispondere al dubbio di legittimità costituzionale sollevato dai ricorrenti per violazione degli art. 3 e 70 della Cost., risulta legittimamente adottata in assenza di una riserva assoluta di legge in materia di regolamentazione da parte della Cassa degli obblighi contributivi e di rimborso dei contributi versati, né si ravvisa alcuna violazione delle finalità indicate dalla legge di delegificazione. 10. Anche il terzo motivo è infondato. La Corte territoriale ha motivato la rispondenza a canoni di razionalità del disposto dell’art. 4 del nuovo Regolamento della Cassa, nella parte in cui lo stesso ha previsto la facoltà per l’ente di optare per il sistema pensionistico contributivo a condizione di maggior favore per gli interessati stabilendo, al contempo, il divieto di rimborso della contribuzione legittimamente versata. Inoltre, poiché la Cassa ha pure consentito all’iscritto con cinque anni di anzianità di ottenere una pensione contributiva commisurata ai contributi al 10% dallo stesso versati, la Corte d’appello ha ritenuto che il divieto di rimborso si giustifichi in quanto tali contributi servono a finanziare la nuova pensione contributiva concessagli. Secondo i ricorrenti, tale motivazione dimostrerebbe l’erroneità della decisione in quanto i superstiti dell’iscritto non potrebbero mai fruire del trattamento pensionistico per cui il divieto di rimborso non avrebbe giustificazione alcuna. 11. La tesi dei ricorrenti muove dall’erroneo presupposto che vi sia una sorta di necessaria relazione giustificativa tra divieto di rimborso dei contributi legittimamente versati e nuovo trattamento contributivo commisurato ai contributi versati al 10% ma tale presupposto non esiste, anzi alla luce di Corte costituzionale n. 404/2000, si deve rammentare che l’istituto della restituzione dei contributi costituisce un tratto peculiare della previdenza dei liberi professionisti ., che non trova corrispondenza nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria salvo talune limitatissime eccezioni , nel quale vige l’opposto principio dell’acquisizione, alla gestione previdenziale di appartenenza, dei contributi debitamente versati, nonostante che gli stessi non siano utili per l’insorgenza di alcun trattamento pensionistico. Il previsto rimborso da parte di alcune casse professionali dei contributi versati non vale, peraltro, a far venire meno quel principio solidaristico che, nel rappresentare l’impronta caratteristica della previdenza obbligatoria generale, tende, come più volte evidenziato dalla Corte tra le altre, vedi sentenze n. 450 del 1993 e n. 390 del 1995 , ad ispirare ormai anche la previdenza dei liberi professionisti, almeno secondo il modello in essa più diffuso, nel quale detto principio, sia pure con valenza endocategoriale, normalmente concorre, combinandosi con quello di corrispettività tra contribuzione e prestazioni, a garantire, a tutti i membri della categoria, una prestazione minima”. E ciò in quanto, secondo la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale citata, l’istituto del rimborso contributivo non implica necessariamente la corrispettività tra contributi e pensioni, ma soltanto una particolare configurazione dei doveri di solidarietà comunque posti a carico di tutti gli iscritti vedi sentenze n. 133 e n. 132 del 1984 . Prevale l’esigenza di tutela dei livelli di finanziamento del sistema previdenziale della categoria professionale e la tutela degli equilibri finanziari del medesimo non può non restare affidato alle valutazioni discrezionali del legislatore di stabilire in quale misura l’interesse dei singoli alla restituzione dei contributi sia suscettibile di contemperamento con il principio di solidarietà vedi sentenza n. 450 del 1993, già cit. . 12. Da ultimo va disatteso anche il profilo di domanda subordinata tendente ad ottenere l’affermazione del principio dell’applicabilità del meccanismo del pro rata al divieto di rimborso che, in ragione di ciò, avrebbe giustificato l’applicazione dell’art. 21 della legge n. 576/1980 perché non ancora abrogato nel periodo in cui i contributi soggettivi erano stati versati. Va ribadito, in proposito, che il cd. principio del pro rata non è un principio generale immanente nel sistema ma viene richiamato nel sistema transitorio di determinazione del trattamento pensionistico in concreto erogato. In sostanza, fermo restando il sistema retributivo di calcolo della pensione, la disposizione del Regolamento speciale in esame art. 4 comma 2 – sulla falsariga di quanto stabilito, per l’assicurazione generale obbligatoria e le forme sostitutive ed esclusive della stessa dall’art. 1, comma 23 in relazione ai commi 12 e 13, della L. n. 335 del 1995, cit. – introduce la facoltà di optare – per la liquidazione del trattamento pensionistico con le regole del sistema contributivo – stabilendone, contestualmente, i requisiti – meno rigorosi e, perciò, di maggior favore per gli iscritti – e mutandone comma 4 i criteri di calcolo della stessa L. n. 335 del 1995, cit. . Evidente ne risulta, quindi, non solo la riconducibilità ad uno dei tipi di provvedimento previsti dalla legge – e, segnatamente, al criterio di determinazione del trattamento pensionistico, con riferimento alla pensione contributiva istituita contestualmente immutato restando, invece, il regime della pensione retributiva – ma anche il rispetto del principio del pro rata. 13. Ciò che i ricorrenti pretendono, invece, è una sorta di schermatura dagli effetti abrogativi, consequenziali all’adozione delle delibere nella materia delegificata, dell’art. 21 della legge n. 576/1980 ormai definitivamente verificatisi al momento di presentazione dell’istanza di rimborso a seguito del decesso del dante causa. 14. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese di lite vanno compensate atteso che gli orientamenti giurisprudenziali che hanno definito la questioni dedotte in causa si sono consolidati in epoca successiva all’instaurazione del presente giudizio e considerata la novità della questione riferita agli eredi dell’iscritto alla Cassa. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso dichiara compensate le spese del giudizio.