Non bisogna pagare i contributi prima della sentenza che ordina la reintegrazione del lavoratore

Le sanzioni civili da omissione contributiva sono dovute in caso di licenziamento inefficace o nullo si tratta di omissione e non di evasione contributiva perché in ogni caso mancherebbe quella che l’art. 116, comma 8, lett. b , qualifica come intenzione specifica di non versare i contributi , atteso che l’omissione contributiva è invece conseguenza della ritenuta legittimità del licenziamento da parte del datore di lavoro.

Pertanto, il datore di lavoro che versa solo i contributi dopo la sentenza che ordina la reintegrazione non incorre in omissione e dunque non è tenuto a versare alcunché come somme aggiuntive e interessi di mora. Lo ha affermato la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 2970/18, depositata il 7 febbraio. Il caso. La Corte d’Appello di Roma ha accolto l’impugnazione dell’INPS avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto l’opposizione promossa da un’azienda ad una cartella esattoriale contenente l’intimazione di pagamento di un importo a titolo di interessi di mora e somme aggiuntive dovuto al ritardato pagamento dei contributi. Il primo giudice aveva ritenuto che l’omissione contributiva del datore di lavoro nel periodo compreso tra il licenziamento della dipendente e la sentenza di reintegrazione della medesima non rientrava in alcuna fattispecie di evasione o omissione contributiva e, di conseguenza, nessuna sanzione poteva essere irrogata per il ritardato versamento contributivo in quanto l’obbligazione era venuta meno a causa della cessazione del rapporto di lavoro e non poteva risorgere che all’atto del ripristino stesso. Al contrario, la Corte d’Appello ha ritenuto che l’efficacia retroattiva della sentenza costitutiva di annullamento del licenziamento ritenuto illegittimo determinava la non interruzione de iure anche del rapporto di previdenza. Quando si verifica l’omissione contributiva. La Suprema Corte ha accolto il ricorso promosso dal datore di lavoro sul presupposto che era da escludere l’omissione contributiva fino al concreto ripristino del rapporto. In ogni caso, infatti, sarebbe stato impossibile pagare i contributi prima della riforma della sentenza che aveva ritenuto legittimo il licenziamento, così come era da escludere la retroattività degli effetti della sentenza di secondo grado anche con riguardo alla decorrenza dell’obbligo contributivo. Osservano gli Ermellini che successivamente alla pronuncia della sentenza della Corte territoriale le Sezioni Unite hanno stabilito che in tema di reintegrazione del lavoratore per illegittimità del licenziamento, ai sensi dell’art. 18 stat. lav., anche prima delle modifiche introdotte dalla l. n. 92/2012, occorre distinguere, ai fini delle sanzioni previdenziali, tra nullità o inefficacia del licenziamento, che è oggetto di una sentenza dichiarativa, ed annullabilità del licenziamento, che è oggetto di una sentenza costitutiva nel primo caso, il datore di lavoro, oltre che ricostruire la posizione contributiva del lavoratore ora per allora”, deve pagare le sanzioni civili per omissione ex art. 116, comma 8, lett. a , l. n. 388/2000 nel secondo caso, il datore di lavoro non è soggetto a tali sanzioni, trovando applicazione la comune disciplina della mora debendi nelle obbligazioni pecuniarie, fermo che, per il periodo successivo all’ordine di reintegra, sussiste l’obbligo di versare i contributi periodici, oltre al montante degli arretrati, sicché riprende vigore la disciplina ordinaria dell’omissione e dell’evasione contributiva. Nel caso di specie, conclude la Corte di Cassazione, non è condivisibile la decisione del giudice di secondo grado che ha respinto l’opposizione alla cartella esattoriale contenente l’intimazione di pagamento di un importo per somme aggiuntive ed interessi di mora, solo per il fatto che il pagamento dei contributi era avvenuto dopo la sentenza di annullamento del licenziamento.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 ottobre 2017 – 7 febbraio 2018, n. 2970 Presidente D’Antonio – Relatore Berrino Fatti di causa La Corte d’appello di Roma sentenza 9.5.2012 ha accolto l’impugnazione dell’Inps avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva accolto l’opposizione proposta dalla società Capgemini Italia spa nei confronti della cartella esattoriale contenente l’intimazione di pagamento dell’importo di Euro 16.199,17 per interessi di mora e somme aggiuntive dovuti al ritardato pagamento dei contributi afferenti al periodo agosto 2005 - ottobre 2008 e, per l’effetto, ha riformato la gravata decisione ed ha rigettato l’opposizione alla predetta cartella. Il primo giudice aveva ritenuto che l’omissione contributiva del datore di lavoro nel periodo compreso tra il licenziamento della dipendente F.E. , dichiarato illegittimo, e la reintegrazione della medesima non rientrava in alcuna delle fattispecie di evasione o omissione sanzionate dall’art. 1, commi 217 e segg. l. 23/12/1996 n. 662, né alcuna sanzione poteva essere irrogata per il ritardato versamento contributivo dal momento che la cessazione del rapporto lavorativo determinava nei rapporti tra datore di lavoro ed ente previdenziale l’impossibilità dei versamenti secondo le scadenze prefissate, per cui l’obbligazione contributiva non poteva rivivere retroattivamente al momento della reintegra. Al contrario, la Corte d’appello ha ritenuto che l’efficacia retroattiva della sentenza costitutiva di annullamento del licenziamento giudicato illegittimo determinava la non interruzione de iure anche del rapporto di previdenza. Per la cassazione della sentenza ricorre la società Capgemini Italia spa con due motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c Resiste con controricorso l’Inps. Ragioni della decisione 1. Col primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla legge n. 662 del 1996, art. 1, comma 217, lett. a , in connessione coi commi da 217 a 225. Assume la ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, nessuna sanzione avrebbe potuto esserle irrogata al momento della scadenza dell’obbligazione contributiva, in quanto questa era venuta meno a causa della cessazione del rapporto di lavoro e non poteva risorgere che all’atto del ripristino dello stesso, per cui l’insussistenza di fatto e di diritto del rapporto lavorativo, in conseguenza del licenziamento, escludeva in radice la possibilità di ravvisare un’omissione contributiva fino al concreto ripristino del rapporto. In ogni caso, sarebbe stato impossibile pagare i contributi prima della riforma della sentenza che aveva ritenuto legittimo il licenziamento, così come era da escludere la retroattività degli effetti della sentenza di secondo grado anche con riguardo alla decorrenza dell’obbligo contributivo. Infine, non poteva non tenersi conto del legittimo affidamento posto dalla parte datoriale sulla regolarità della determinazione del primo giudice che aveva riconosciuto la legittimità del licenziamento. 2. Col secondo motivo, formulato per vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., la ricorrente lamenta che la Corte d’appello non ha spiegato la ragione per la quale ha ritenuto di estendere la retroattività prevista ad altri fini dall’art. 18 della legge n. 300/70 al caso in esame in cui era da escludere che l’Inps rappresentasse, alla pari del lavoratore licenziato da tutelare, la parte debole del rapporto col contribuente. 3. Osserva la Corte che per ragioni di connessione i due motivi possono essere esaminati congiuntamente. Tali motivi sono fondati. Invero, successivamente alla decisione oggi impugnata si è avuta, nella materia oggetto di causa, una pronunzia delle Sezioni Unite di questa Corte Sez. Un. n. 19665 del 18.9.2014 secondo la quale in tema di reintegrazione del lavoratore per illegittimità del licenziamento, ai sensi dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, anche prima delle modifiche introdotte dalla legge 28 giugno 2012, n. 92 nella specie, inapplicabile ratione temporis , occorre distinguere, ai fini delle sanzioni previdenziali, tra la nullità o inefficacia del licenziamento, che è oggetto di una sentenza dichiarativa, e l’annullabilità del licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, che è oggetto di una sentenza costitutiva nel primo caso, il datore di lavoro, oltre che ricostruire la posizione contributiva del lavoratore ora per allora , deve pagare le sanzioni civili per omissione ex art. 116, comma 8, lett. a, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 nel secondo caso, il datore di lavoro non è soggetto a tali sanzioni, trovando applicazione la comune disciplina della mora debendi nelle obbligazioni pecuniarie, fermo che, per il periodo successivo all’ordine di reintegra, sussiste l’obbligo di versare i contributi periodici, oltre al montante degli arretrati, sicché riprende vigore la disciplina ordinaria dell’omissione e dell’evasione contributiva . In pratica, con tale decisione le sezioni Unite hanno chiarito che le sanzioni civili da omissione contributiva sono dovute in caso di licenziamento inefficace o nullo omissione e non già evasione contributiva perché in ogni caso mancherebbe quella che l’art. 116, comma 8, lett. b che qualifica come intenzione specifica di non versare i contributi atteso che l’omissione contributiva è invece conseguenza della ritenuta, dal datore di lavoro legittimità del licenziamento. 4. Orbene, nella fattispecie è pacifico che il licenziamento fu ritenuto illegittimo e che fu emesso ordine di reintegra, dopodiché l’Inps intimò il pagamento dell’importo di Euro 16199,17 per somme aggiuntive ed interessi di mora a causa del ritardato pagamento, dopo la pronunzia giudiziale di annullamento del licenziamento, dei contributi relativi al periodo compreso fra lo stesso licenziamento ed il suo annullamento. Pertanto, considerato il principio di diritto sopra espresso dalle Sezioni Unite e tali essendo i presupposti di fatto della presente vicenda, deve dedursi che ha ragione la ricorrente a dolersi della decisione con la quale la Corte di merito le ha respinto l’opposizione alla cartella esattoriale contenente l’intimazione di pagamento di un importo per somme aggiuntive ed interessi di mora, solo per il fatto che il pagamento dei contributi era avvenuto dopo la sentenza di annullamento del licenziamento. 5. In definitiva, il ricorso va accolto e l’impugnata sentenza va cassata, con rinvio del giudizio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.