Niente rimessione in termini se i problemi tecnici della PEC non sono dimostrati

Affinché sia possibile concedere la rimessione in termini a causa di problemi informatici relativi alla notificazione della sentenza tramite PEC, non è sufficiente presentare una generica documentazione di un tecnico privato che affermi la mera presenza di problemi di ricezione.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 1393/18, depositata il 19 gennaio. Il caso. Il Tribunale di Milano dichiarava legittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore per superamento del periodo di comporto di malattia. La Corte d’Appello di Milano dichiarava inammissibile il reclamo proposto dal lavoratore poiché depositato oltre il termine previsto per legge di 30 giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado tramite PEC. Avverso la sentenza della Corte distrettuale il lavoratore propone ricorso per cassazione denunciando l’illegittimità della mancata rimessione in termini da parte del Giudice d’Appello, nonostante la presentazione, da parte del proprio legale di fiducia, di una dichiarazione con cui un informatico affermava la sussistenza di problemi tecnici inerenti alla ricezione della notificazione PEC. Il fatto storico decisivo e l’onere della prova. Il Supremo Collegio evidenzia, preliminarmente, che qualora non vengano presi in esame alcuni elementi istruttori, ciò non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie . Difatti, la Suprema Corte rileva che il ricorrente si sia limitato in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito, ed in particolare l’insufficienza della generica documentazione di un tecnico privato, in tesi curante le notifiche PEC presso il pc del difensore, circa i dedotti problemi di ricezione . La Corte infatti, alla luce dell’art. 360, comma 1, c.p.c. dichiara inammissibile il ricorso, essendo le doglianze del ricorrente dirette ad una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, senza adeguata contestazione circa l’accertamento della Corte di merito .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 ottobre 2017 – 19 gennaio 2018, numero 1393 Presidente Amoroso – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 16.3.15, M.V. proponeva reclamo, ai sensi dell’articolo 1 L. numero 92/12, avverso la sentenza del Tribunale di Milano che, in accoglimento dell’opposizione presentata da Poste Italiane s.p.a. avverso l’ordinanza emessa il 2.8.14, aveva accertato la legittimità del licenziamento intimatole da detta società con lettera del 23.4.12 per superamento del periodo di comporto di malattia. In particolare, il Tribunale aveva escluso che la M. avesse assolto all’onere probatorio, su di lei gravante, in ordine alla riconducibilità ad infortunio della propria assenza protrattasi dal 1.4.01 al 1.4.14. Con sentenza depositata il 9.6.15, la Corte d’appello di Milano dichiarava inammissibile il reclamo per essere stato depositato allorquando il termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado tramite p.e.c. - avvenuta il 28.1.15 - era ormai decorso. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la M. , affidato ad unico motivo. Resiste la società Poste Italiane con controricorso. Motivi della decisione 1.-La M. denuncia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c. . Lamenta che il suo legale, per documentati problemi tecnici inerenti la ricezione della notificazione tramite p.e.c. del deposito della sentenza di primo grado, non aveva potuto rispettare il termine di trenta giorni per il deposito del gravame, chiedendo così alla Corte d’appello la rimessione in termini. Si duole che la medesima Corte, si sia limitata ad affermare che la dichiarazione fornita dal tecnico che curava l’invio delle p.e.c. al domicilio del suo legale era insufficiente, senza spiegare adeguatamente il perché, e senza spiegare perché la comunicazione non venne inoltrata tramite fax. Il ricorso è inammissibile in quanto diretto, nel regime di cui al novellato numero 5 dell’articolo 360, comma 1, c.p.c. ad una diversa valutazione del fatto storico decisivo, ampiamente esaminato dalla corte milanese. Deve infatti considerarsi che il nuovo testo del numero 5 dell’articolo 360 cod. proc. civ. introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia . L’omesso esame di elementi istruttori, secondo le sezioni unite di questa Corte, non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, numero 6 e all’articolo 369 c.p.c., comma 2, numero 4 , - il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando nel quadro processuale tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la decisività del fatto stesso Cass. sez.unumero 22 settembre 2014 numero 19881 . Il ricorso non rispetta il dettato di cui al novellato numero 5 dell’articolo 360, comma 1, c.p.c., limitandosi in sostanza a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze di causa, ampiamente valutate dalla Corte di merito, ed in particolare l’insufficienza della generica documentazione di un tecnico privato, in tesi curante le notifiche p.e.c. presso il PC del difensore, circa i dedotti problemi di ricezione. Nella specie del resto la ricorrente richiama la vecchia formulazione del numero 5 dell’articolo 360, comma 1. Giova comunque considerare che l’articolo 4, comma 2, della l. 22 febbraio 2010, numero 24, ha stabilito che i commi 1, 2 e 3 dell’articolo 51 d.l. numero 112 del 2008, convertito con modificazioni in L. 6.8.2008 numero 133, sono così sostituiti 1. A decorrere dal quindicesimo giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dei decreti di cui al comma 2, negli uffici giudiziari indicati negli stessi decreti, le notificazioni e le comunicazioni di cui al primo comma dell’articolo 170 del codice di procedura civile, la notificazione di cui al primo comma dell’articolo 192 del codice di procedura civile e ogni altra comunicazione al consulente sono effettuate per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata di cui all’articolo 16 del d.l. 29 novembre 2008, numero 185, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 gennaio 2009, numero 2. 2. Con uno o più decreti aventi natura non regolamentare, da adottarsi entro il 1 settembre 2010 il Ministro della giustizia accerta la funzionalità dei servizi di comunicazione, individuando gli uffici giudiziari nei quali trovano applicazione le disposizioni di cui al comma 1. Per quanto concerne il Circondario di Milano è stato emanato il d.m. 26.5.09 numero 57 in G.U. numero 124/2009, in vigore dal 1.6.09 . Nella specie le attuali doglianze sono dirette ad una diversa valutazione delle risultanze istruttorie circa l’idoneità della generica documentazione proveniente da un soggetto privato - Linea Ufficio s.numero c. con sede in Monza - inerente l’esistenza di un problema di rete, ovvero l’irrilevanza dell’indicazione, nella p.e.c. in esame, della data di lettura del dispositivo, valendo quella del deposito della sentenza , senza adeguata contestazione circa l’accertamento della corte di merito secondo cui la notificazione della sentenza di primo grado avvenne il 28.1.15. Il ricorso deve essere dunque rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. numero 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 numero 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.