Troppi contanti in ufficio, ricco bottino per i ladri: la direttrice risarcisce Poste Italiane

La donna, responsabile della struttura, deve versare all’azienda quasi 38mila euro. Decisiva la sua scelta di non riporre denaro e valori nella cassaforte speciale ad apertura ritardata.

Colpo grosso all’ufficio postale i ladri portano via parecchi soldi. A rimetterci, però, non è l’azienda, ma la direttrice, inchiodata dalla scelta di conservare il denaro nella cassaforte ordinaria e non in quella ad apertura ritardata. Consequenziale la sua condanna a risarcire Poste Italiane versandole quasi 38mila euro Cassazione, sentenza n. 663, sez. Lavoro, depositata il 12 gennaio 2018 . La responsabilità della direttrice e l’accumulo di contanti. Svolta decisiva in Appello lì i giudici ritengono la dipendente di ‘Poste’ responsabile per la rapina commessa nell’ufficio da lei diretto. In sostanza, alla donna viene attribuita la negligente condotta consistita nell’avere violato le disposizioni aziendali in materia di giacenza fondi e nel non avere riposto la somma di 8mila euro, consegnata il giorno precedente alla rapina, nella speciale cassaforte ad apertura ritardata del vettore, così come prescritto, ma nella cassaforte ordinaria . Questa visione viene condivisa ora anche dalla Cassazione, che conferma il risarcimento a favore di ‘Poste’. Secondo i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, è evidente la condotta negligente della donna, che, responsabile dell’ufficio già da alcuni mesi , avrebbe dovuto formulare specifiche richieste dirette a definire quale fosse il limite giornaliero di accumulo di valori e contanti, relativamente all’aspetto della giacenza fondi e, con riguardo alla seconda cassaforte presente nei locali dell’ufficio ma di pertinenza del vettore , quali ne fossero le modalità e le condizioni di utilizzo .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 settembre 2017 – 12 gennaio 2018, n. 663 Presidente Bronzini – Relatore Negri Della Torre Fatti di causa 1. Con sentenza n. 367/2012, depositata il 10 aprile 2012, la Corte di appello di Genova, in riforma della sentenza di primo grado, condannava F.L. , in relazione alla rapina commessa il 15/11/2003 nell’ufficio di cui la stessa era stata responsabile, a risarcire alla S.p.A. Poste Italiane il danno per complessivi Euro 37.999,12 oltre interessi provocato con la negligente condotta consistita nell’avere violato le disposizioni aziendali in materia di giacenza fondi e nel non avere riposto la somma di Euro 8.000,00, consegnata il giorno precedente al fatto delittuoso, nella speciale cassaforte ad apertura ritardata del vettore, così come prescritto, ma nella cassaforte ordinaria. 2. La Corte di merito rilevava, a sostegno della propria decisione, come la lavoratrice, che era insediata nell’ufficio già da alcuni mesi, dovesse assumere un comportamento attivo, sia nel chiedere quale fosse il limite di accumulo dei fondi, trattandosi di aspetto della gestione dell’ufficio di immediata e particolare evidenza, sia nell’informarsi sulle modalità di utilizzazione della cassaforte del vettore, restando ininfluente se, in ordine a tale aspetto, fossero state fatte o meno le consegne da parte del precedente responsabile. 3. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la lavoratrice con due motivi, cui la società ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1. Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della motivazione in forma semplificata. 2. Con il primo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360 n. 3 in relazione all’art. 51 del CCNL per i dipendenti di Poste Italiane, la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere la Corte considerato che, ai sensi della disciplina collettiva, non è configurabile una violazione dell’obbligo di diligenza a carico del dipendente se allo stesso non vengono impartite prescrizioni o, se esistenti, non vengono portate alla sua conoscenza. 3. Con il secondo motivo, la ricorrente si duole che la Corte abbia reso una motivazione insufficiente o contraddittoria in relazione a punti decisivi della controversia e cioè se la lavoratrice avesse l’obbligo di informarsi circa l’esistenza di eventuali limiti di giacenza di denaro e valori e circa le modalità di uso della cassaforte presente nei locali dell’ufficio ma di pertinenza non di Poste Italiane ma del vettore o se, invece, non fosse la datrice di lavoro ad avere un obbligo di informativa nei confronti della propria dipendente. 4. I motivi, che possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati. 5. La Corte di merito ha ritenuto accertata la negligente condotta della lavoratrice, quale fatto costitutivo della pretesa risarcitoria avanzata nei suoi confronti da Poste Italiane, adottando come criterio di valutazione la natura delle funzioni esercitate che erano, già da alcuni mesi, quelle di responsabile dell’ufficio postale nel quale è avvenuta la rapina e sottolineando, in coerenza con tale premessa, l’obbligo della dipendente di farsi attiva, mediante la formulazione di specifiche richieste dirette a definire quale fosse il limite giornaliero di accumulo di valori e contanti, relativamente all’aspetto della giacenza fondi, e, con riguardo alla seconda cassaforte presente nei locali dell’ufficio ma di pertinenza del vettore , quali ne fossero le modalità e le condizioni di utilizzo. 6. Con tale percorso argomentativo la Corte si è esattamente conformata al contenuto dell’art. 2104 c.c., il quale prevede, al comma 1°, che il grado di diligenza dovuta dal lavoratore, trattandosi di elemento variabile secondo la peculiarità del singolo rapporto di lavoro, debba essere commisurata mediante l’applicazione di due distinti parametri, entrambi espressamente delineati nella norma in oggetto e costituiti, quali specificazioni del principio generale stabilito dall’art. 1176 c.c., dalla natura della prestazione dovuta e dall’interesse dell’impresa ove il primo parametro richiama la complessità delle mansioni svolte dal lavoratore, intesa non solo sul piano della difficoltà e dell’impegno di carattere tecnico ma anche su quello dell’assunzione di responsabilità che ad esse è collegata mentre il secondo parametro, non esaurendosi nell’interesse del creditore ad un esatto adempimento come è reso palese dal riferimento all’impresa , pone la necessità di una prestazione che si raccordi alla specifica organizzazione in funzione della quale è resa. 7. Né a conclusioni diverse può pervenirsi sulla base del CCNL per i dipendenti di Poste Italiane e, in particolare, del suo art. 51, il quale richiama, oltre alle disposizioni per l’esecuzione e la disciplina del lavoro impartite dalla società , proprio i principi enunciati nell’art. 2104 c.c. oltre che quelli enunciati nell’art. 2105 , in definitiva rinnovando, nella dimensione della volontà delle parti collettive, il contenuto della disposizione codicistica in tema di diligenza del prestatore di lavoro. 8. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto. 9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.