Avvocato, mamma e insegnante: tre “lavori” un'unica indennità

Non vi sono dubbi sul diritto all’indennità di maternità per l’avvocato ai sensi degli artt. 70 e 71 d.lgs. n. 151/2001. Nella fattispecie, però, la richiesta di indennità a Cassa Forense avveniva dopo che l’avvocato aveva già ottenuto la fruizione della prestazione da parte di un ente pubblico in quanto, la stessa richiedente, faceva anche l’insegnante part-time.

Sul punto la Cassazione con sentenza n. 515/18, depositata l’11 gennaio. Il caso. La vicenda oggetto di ricorso per cassazione trae origine da un avvocato che, in primo e in secondo grado, vede rigettata la domanda per la corresponsione, da parte di Cassa forense, dell’indennità di maternità. Il rigetto dei Giudici di merito deriva dal fatto che la richiedente, oltre al lavoro come legale, era anche un’insegnante di ruolo part-time. Osservavano i Giudici che, proprio in virtù di questo secondo lavoro, la richiedente aveva già ottenuto l’erogazione di tale indennità da parte del INPDAP Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica che comportava l’inesistenza di un altro trattamento per la maternità per l’impossibilità di cumulo delle prestazioni. I requisiti dell’indennità di maternità. L’avvocato lamenta in Cassazione che nella decisione di merito siano stati violati gli artt. 70 e 71 d.lgs. 151/2001 Testo unico sulla maternità e paternità . La Corte ha ribadito che i citati articoli prevedono che la lavoratrice che chiede l’indennità di maternità deve, tra le altre formalità, attestare, con dichiarazione ad hoc, l’inesistenza di un altro trattamento di maternità come lavoratrice pubblica o autonoma . Secondo la S.C. si tratta di un requisito essenziale per la fruizione della prestazione con lo scopo di evitare il cumulo di prestazione da parte di più enti previdenziali per lo stesso evento , come è previsto anche per le altre prestazioni di natura assistenziale o previdenziale. Infondati dubbi di costituzionalità. Inoltre la ricorrente sostiene che nella motivazione dei Giudici di merito non siano stati considerati i dubbi costituzionali, in merito alla norme contestate, da lei sollevati in memoria. La Cassazione ha ritenuto non condivisibili i dubbi di costituzionalità della ricorrente, osservando che la giurisprudenza costituzionale ha precisato che l’indennità serve per assicurare alla lavoratrice la possibilità di vivere la maternità senza una radicale riduzione del tenore di vita che il suo lavoro le ha consentito di raggiungere e ad evitare che alla maternità si ricolleghi uno stato di bisogno economico . Ciò premesso, rileva la Corte, lo stesso concetto di tenore di vita non è sovrapponibile a quello di livello retributivo goduto in senso stretto . Per questo motivo la considerazione che la lavoratrice abbia subito una riduzione del tenore di vita precedentemente goduto a causa dell’indennità ottenuta in relazione al lavoro di insegnante part-time non può comportare l’erogazione di un’altra indennità in quanto la lavoratrice era consapevole della scelta dell’ente previdenziale pubblico che avrebbe comportato l’impossibilità di usufruire dell’indennità anche da parte di Cassa Forense. In conclusione la S.C. ha dichiarato il ricorso inammissibile e condannato la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 20 settembre 2017 – 11 gennaio 2018, n. 515 Presidente D’Antonio – Relatore Calafiore Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 20 luglio 2017 il Tribunale di Chieti, Sezione Riesame, dichiarava inammissibile l’istanza di riesame proposta ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen. nell’interesse di S.E. , terza estranea al reato, avverso il provvedimento del 30 maggio 2017, con cui il G.I.P. del Tribunale di Chieti, nell’ambito di un procedimento a carico di 43 indagati, relativo a un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di illeciti tributari procedimento inizialmente instaurato presso il Tribunale di Pescara , aveva disposto il sequestro preventivo delle disponibilità liquide, del denaro contante, dei depositi e degli investimenti finanziari delle società Civita Pak s.r.l., Immobilifermo s.r.l., I.co.c. s.r.l. e Italmarche s.r.l. società riconducibili a S.F. , nonché, in difetto, limitatamente alla parte residua, il sequestro preventivo, anche per equivalente, dei beni immobili e degli altri beni nella disponibilità dell’imputato S.F. , sino al raggiungimento della somma di Euro 13.161.640,16, corrispondente, nella prospettiva accusatoria, al profitto dei reati addebitati al medesimo S. . Il Tribunale rilevava in particolare che il ricorso di S.E. figlia dell’indagato S.F. era stato sottoscritto dal difensore senza il preventivo conferimento della procura speciale di cui all’art. 100 cod. proc. pen., essendo presente una mera e generica nomina di difensore di fiducia, senza il necessario riferimento all’attività processuale da compiere. 2. Avverso l’ordinanza del Tribunale di Chieti S.E. , tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi. Con il primo motivo, viene lamentata la violazione, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli art. 100 e 122 cod. proc. pen. e 83 e 84 cod. proc. civ., evidenziandosi che la procura speciale di cui il difensore del terzo interessato deve essere munito per proporre istanza di riesame contro il decreto di sequestro preventivo non è riconducibile all’istituto previsto dall’art. 122 cod. proc. pen., per cui nel caso di specie non era necessario alcun riferimento all’attività da compiere, vertendosi invece nell’ambito della procura di cui all’art. 100 cod. proc. pen., che non richiede la necessità di indicare le specifiche attività processuali da svolgersi, salva la contestuale indicazione di particolari atti altrimenti preclusi al difensore, tra cui non rientrerebbe il riesame ex art. 322 e 324 cod. proc. pen. in tal senso, osserva la difesa, la procura rilasciata da S.E. in calce all’istanza di riesame non era una semplice nomina a difensore ex art. 96 cod. proc. pen., ma una valida procura ex art. 100 cod. proc. pen., non avendo rilievo l’indicazione testuale nomina a difensore di fiducia , posto che la nomina effettuata non lasciava alcun dubbio circa la volontà della S. di affidare a un determinato professionista l’incarico di svolgere l’attività difensiva volta a contestare la legittimità del sequestro operato nei suoi confronti. In definitiva, si sostiene nel ricorso, si era in presenza di una vera e propria procura, la cui specialità era la conseguenza dell’essere posta in calce all’atto di impugnazione. Con il secondo motivo, la ricorrente si duole della violazione di legge in ordine all’art. 182 comma 2 cod. proc. civ., osservando che, quando anch’anche il Tribunale di Chieti avesse ritenuto la procura rilasciata dalla S. in calce all’istanza di riesame inidonea ai sensi dell’art. 83 cod. proc. civ., avrebbe dovuto comunque rimettere in termini la parte, in applicazione dell’art. 182 comma 2 cod. proc. civ., come modificato dalla legge n. 69/2009. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. 2. In ordine al primo motivo, quanto alla problematica delle modalità di costituzione in giudizio dei terzi interessati, occorre richiamare la costante affermazione di questa Corte Sez. 1, n. 8361 del 10/01/2014, Rv. 259174, Sez. 6, n. 46429 del 17/09/2009, Rv. 245440 Sez. 6, n. 11796 del 4/03/2010, Rv. 246485, Sez. 6, n. 13798 del 20/01/2011, Rv. 249873 , secondo cui per i soggetti portatori di interessi meramente civilistici deve trovare applicazione la regola che l’art. 100 cod. proc. pen. prevede espressamente per la parte civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, ossia che tali soggetti possono stare in giudizio solo con il ministero di un difensore munito di procura speciale. La posizione processuale del terzo interessato è infatti nettamente distinta sotto il profilo difensivo da quella dell’indagato e dell’imputato, i quali, in quanto assoggettati all’azione penale, possono stare in giudizio di persona, avendo solo necessità di munirsi di un difensore che, oltre ad assisterli, li rappresenta ex lege ed è titolare di un diritto di impugnazione nell’interesse del proprio assistito per il solo fatto di rivestire la qualità di difensore, senza alcuna necessità di procura speciale, che è imposta solo per i casi di atti cd. personalissimi . Non così per il terzo interessato, perché questi, al pari dei soggetti indicati dall’art. 100 cod. proc. pen., è portatore di interessi civilistici, per cui, oltre a non poter stare personalmente in giudizio, ha un onere di patrocinio, che è soddisfatto attraverso il conferimento di procura alle liti al difensore, come del resto avviene nel processo civile ex art. 183 cod. proc. civ In applicazione di tale principio, la prevalente giurisprudenza di legittimità ha affermato che è inammissibile l’istanza di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo proposta dal difensore del terzo interessato privo di procura speciale cfr. Sez. 2, n. 31044 del 13/06/2013, Rv. 256839 Sez. 3, n. 23107 del 23/04/2013, Rv. 255445, oltre che la già citata Sez. 1, 8361 del 10/01/2014, Rv. 259174, nella quale vi è ulteriore ampiezza di richiami di massime conformi . Quanto ai criteri distintivi tra nomina difensiva e procura speciale, è stato correttamente osservato Sez. 5, n. 25478 del 15.05.2014 che la differenza tra le due figure giuridiche è che la nomina del difensore prevede formalità che riguardano il momento della presentazione art. 96 cod. proc. pen. , ma nulla è sancito dalla legge quanto al contenuto. E deve ritenersi perciò che si tratti di un semplice negozio unilaterale di investitura, per il difensore, del potere di rappresentare la parte in giudizio, che vale per tutta la durata del processo fino a revoca o rinuncia v. SS.UU. sent. n. 35402 del 09/07/2003 e per l’esercizio di tutti e solo dei poteri propri del difensore in quanto tale, quale ad esempio il potere di impugnazione, che è previsto, dall’art. 571, comma 3 in capo al difensore, con titolarità diversa e disgiunta da quella dell’imputato o del suo procuratore speciale. Invece la procura speciale prevista dall’art. 100 cod. proc. pen. non può che essere un mandato con il quale il professionista viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte, opera che nel caso di specie è la rappresentanza nel compimento di determinati atti di cui è titolare in proprio il conferente la procura stessa in relazione ad un determinato procedimento, tanto che, salvo manifestazione di volontà diversa, la procura non sarebbe nemmeno automaticamente estensibile a più gradi del processo come invece è la nomina del difensore , potendo anche comprendere, solo se espressa, anche la potestà di disposizione del diritto in contesa art. 100 cod. proc. pen. . Sul punto deve solo aggiungersi che, non essendo richiesto l’uso di formule sacramentali al fine di stabilire il reale contenuto di un atto, la nomina difensiva ben possa valere anche come procura speciale, ma solo a condizione che contenga tutti gli elementi integrativi della procura speciale richiesta dall’art. 100 cod. proc. pen., cioè il conferimento di poteri in ordine alla specifica procedura introdotta. Tanto premesso, ritiene il Collegio che l’ordinanza impugnata abbia fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, escludendo la riconducibilità alla categoria della procura speciale dell’atto di nomina posto in calce al ricorso. Ed invero l’atto in questione, qualificato testualmente come nomina a difensore di fiducia , aveva il seguente contenuto La sottoscritta S.E. . , nomina quale proprio difensore di fiducia l’avv. Paolo Rosselli del Foro di Macerata ed elegge domicilio presso il suo studio . . Si tratta evidentemente di una mera nomina difensiva che non specifica né lo strumento processuale prescelto né il provvedimento da impugnare, per cui, a prescindere dalla circostanza, di per sé non dirimente, che tale nomina sia posta in calce al ricorso, deve convenirsi con il Tribunale che l’atto de quo non soddisfi i requisiti di specificità imposti dal combinato disposto degli art. 100 e 122 cod. proc. pen 3. In ordine al secondo motivo, relativo alla possibilità di attivare in favore del terzo interessato di cui si accerti il difetto di procura speciale il meccanismo sanante previsto dall’art. 182 comma 2 cod. proc. civ., va richiamato l’indirizzo ermeneutico maggioritario di questa Corte Sez. 3, n. 11966 del 16/12/2010, Rv. 249766 Sez. 6, n. 1289 del 20/11/2012, Rv. 254287 , secondo cui l’impugnazione proposta dal difensore del terzo interessato, ove sia rilevato il difetto della procura speciale, non può che essere dichiarata inammissibile, senza obbligo per il giudice, in applicazione dell’art. 182 comma 2 cod. proc. civ., di assegnare alla parte un termine perentorio per munirsi di una valida procura, posto che, secondo le regole del codice di procedura penale, i termini per proporre impugnazione sono stabiliti a pena di decadenza, per cui, in assenza di una disposizione che consenta il rinvio alle regole dettate nel diverso contesto del processo civile, non è permesso derogare ad essi. Su questa specifica questione sono intervenute anche le Sezioni Unite di questa Corte sentenza n. 47239 del 30.10.2014 che, dopo un’ampia ricostruzione delle coordinate normative e interpretative di riferimento, hanno affermato il principio di diritto secondo cui la mancanza della procura speciale ai sensi dell’art. 100 c.p.p. delle parti private diverse dall’imputato al difensore non può essere sanata previa concessione di un termine da parte del giudice, ai sensi dell’art. 182 comma secondo c.p.c., ma comporta l’inammissibilità dell’impugnazione . 4. Da tale autorevole orientamento la Corte non ritiene di doversi discostare, per cui, stante la manifesta infondatezza delle doglianze proposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto poi conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.