Avvocato stabilito: per la rappresentanza processuale è sufficiente l’intesa con quello italiano

Ai sensi dell’art. 8 d.lgs. n. 96/2001 Attuazione direttiva 98/5/CE per l’esercizio della professione degli avvocati stranieri stabiliti” , l’atto d’intesa tra l’avvocato che ha conseguito l’abilitazione all’estero – e che risulta iscritto in Italia nell’apposito albo speciale – e l’avvocato italiano, è idoneo a fondare una legittima rappresentanza processuale, senza che sia necessario lo svolgimento di attività processuali congiunte.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 30709/17, depositata il 21 dicembre. Il caso. Il Tribunale di Genova, nel rigettare la domanda proposta da una struttura medica, riconosceva la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorrente tra la struttura medesima ed un lavoratore. La Corte d’Appello di Genova, pronunciandosi sull’impugnazione proposta dall’ente, confermava la decisione del Giudice di prime cure. Avverso la sentenza della Corte distrettuale, la struttura ospedaliera ricorre per cassazione denunciando, tra i vari motivi di ricorso, che nel caso di specie, per la rappresentanza processuale da parte di un professionista, abilitato all’esercizio della professione forense all’estero ed iscritto in Italia nell’albo speciale come avvocato straniero stabilito”, non sia sufficiente l’atto d’intesa con un avvocato italiano, essendo invece necessario che i legali operino congiuntamente. L’atto d’intesa. Il Supremo Collegio evidenzia che l’art. 8, comma 2 Prestazioni giudiziali , d.lgs. n. 96/2001 prevede che l’atto d’intesa tra l’avvocato straniero stabilito e quello italiano, risultante da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi i legali al giudice adito, sia idoneo a instaurare una legittima rappresentanza processuale, senza che si renda necessario lo svolgimento di attività processuali congiunte . La Corte dunque rigetta il ricorso e compensa le spese.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 28 settembre – 21 dicembre 2017, numero 30709 Presidente Napoletano – Relatore De Felice Considerato Che la Corte d’Appello di Genova, con sentenza in data 18/7/2012, a conferma della decisione del Tribunale della stessa sede, rigettando la domanda dell’Istituto Giannina Gaslini appellante, ha accertato la natura subordinata del rapporto di lavoro tra C.R. e la struttura medica nel periodo 16/4/2004 - 30/9/2007, ritenendo che l’attività svolta in adempimento di contratti a termine e di collaborazione professionale fosse univocamente riconducibile al tipo lavoro subordinato, di cui presentava tutti gli indici sintomatici. Che la Corte territoriale ha rigettato l’appello incidentale del C. , volto al riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma ha condannato l’Istituto Gaslini a corrispondere allo stesso le differenze retributive maturate, parametrate su quelle dei dirigenti medici di prima fascia, ad eccezione delle indennità di esclusività, e della retribuzione di risultato. Che avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione l’Istituto Giannina Gaslini con quattro censure illustrate da memoria, cui resiste con tempestivo controricorso, accompagnato da ricorso incidentale C.R. , avverso il quale il ricorrente principale resiste a sua volta con controricorso. Ritenuto Che con la prima censura, la parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 8, del d.lgs. numero 96/2001, e della Direttiva CE, numero 89/95. Difetto e/o illogicità della motivazione. Che per la normativa che regola la rappresentanza da parte di professionista che ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense in altro Paese Europeo, iscritto in Italia nell’albo speciale come avvocato straniero stabilito , non sarebbe sufficiente un mero atto d’intesa con un avvocato italiano, ma sarebbe necessario che i due difensori operino congiuntamente, così che, non essendovi stata, nel caso controverso, la firma congiunta degli atti di causa, ma soltanto l’intesa, la Corte avrebbe dovuto accogliere il dedotto difetto di rappresentanza processuale. Che la seconda censura contesta l’errata applicazione di norme di diritto. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7, co. 6, d.lgs. numero 165/2001 della l. numero 368/2001 e dell’art. 2126 cod. civ. Contraddittorietà della motivazione e difetto di istruttoria. Omessa pronuncia su fatti decisivi della controversia. Che la prospettazione del motivo si sostanzia in una sintetica critica alla sentenza d’Appello per la ritenuta presenza degli indici sintomatici del tipo lavoro subordinato, sia sotto l’aspetto della violazione di legge sia sotto quello dell’omessa motivazione. Che la terza censura si appunta sulla violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e, in particolare, del contratto collettivo, riguardo alla quantificazione economica. Ancora sulla violazione dell’art. 15, co. 4, 5, 6 e 7 del d.lgs. numero 502/1992, e dell’art. 4, co. 7, l. numero 412/1991. Violazione dell’art. 7, co. 6 d.lgs. numero 165/2001. Illogicità della motivazione. Che, alla luce delle norme che configurano lo status giuridico ed economico del dirigente pubblico, la Corte territoriale avrebbe dovuto ricavare la mancanza di tale attribuzione in capo al controricorrente, e parametrare semmai le differenze retributive accertate al trattamento economico dello specializzando, aggiungendovi un quid pluris in virtù del possesso, da parte del C. , del titolo di specializzazione. Che la quarta e ultima censura contesta omessa valutazione di fatti decisivi dedotti in giudizio. Insufficienza e/o contraddittorietà della motivazione, in relazione alla reiezione del quarto motivo di appello. Che l’omessa motivazione riguarderebbe la supposta validità di due periodi cronologici di attività 16/12/2004 - 30/4/2005 il primo, fine 2006 - 30/9/2007 il secondo , svolti in via di mero fatto dal controricorrente, e considerati, dalla Corte territoriale, utili ai fini della quantificazione delle pretese retributive. Che il ricorso incidentale, in uno col controricorso, ripercorre i punti salienti della controversia riproponendo le ragioni del controricorrente e concludendo per l’annullamento della sentenza della Corte d’Appello, limitatamente al rigetto della domanda di costituzione del rapporto a tempo indeterminato con l’Istituto Gaslini. Che la prima censura è infondata. Che l’art. 8 d.lgs. numero 96/2001, prevede al co. 2 che L’intesa di cui al comma 1 deve risultare da scrittura privata autenticata o da dichiarazione resa da entrambi gli avvocati al giudice adito o all’autorità procedente, anteriormente alla costituzione della parte rappresentata ovvero al primo atto di difesa dell’assistito . Che la norma, diversamente da quanto prospetta il ricorrente, prevede che l’atto d’intesa tra l’avvocato straniero stabilito e quello italiano sia sufficiente a instaurare una legittima rappresentanza processuale, senza che si renda necessario lo svolgimento di attività processuali congiunte. Che, pertanto, la Corte d’Appello sul punto ha correttamente statuito. Che inoltre, la ricorrente non ha in alcun modo chiarito i termini del prospettato contrasto con la Direttiva CE 89/95, e pertanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, tale omissione, nell’ambito del giudizio di legittimità, si traduce in un vizio della censura. Che secondo la giurisprudenza di questa Corte è inammissibile il motivo il quale, denunziando violazione o falsa applicazione di norme di diritto, oltre a indicare puntualmente le norme asseritamente violate, non spiega in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, siano in contrasto con le disposizioni regolatrici della fattispecie Cass. numero 635/2015 . Che la seconda, la terza e la quarta censura sono esaminate congiuntamente per connessione. Che esse sono inammissibili poiché tendono a censurare l’apprezzamento e il convincimento del Giudice dell’appello, su materia sulla quale la sentenza gravata ha mostrato di fare coerente e compiuta applicazione della consolidata giurisprudenza di questa Corte sulla rilevanza dei cd. indici sintomatici della subordinazione, ai fini della qualificazione della natura del rapporto di lavoro. Che le censure, pertanto, attraverso una prospettazione dei fatti che mira a ribaltare un risultato ritenuto difforme da quello auspicato, mirano a sollecitare un riesame del merito, precluso in sede di legittimità. Cass. Sez.Unumero numero 7161/2010 . Che il ricorso incidentale è inammissibile, in quanto, limitandosi a una mera esposizione delle ragioni del controricorrente, già scrutinate dalla sentenza d’appello, non deduce alcuno dei vizi di ricorso per cassazione, disattendendo la natura a critica vincolata del giudizio di legittimità. Che la disciplina del ricorso incidentale è modellata su quella del ricorso principale, giusta il richiamo espresso, da parte del co. 3 dell’art. 371, agli artt. 365, 366 e 369 del codice di rito, e pertanto, il ricorso incidentale che non abbia dedotto alcuno dei motivi di cui all’art. 360 cod. proc. civ., deve essere dichiarato inammissibile. Che, in definitiva, essendo la prima censura infondata, la seconda, la terza e la quarta inammissibili, ed essendo, altresì, inammissibile il ricorso incidentale, entrambi sono rigettati. Le spese sono compensate in ragione della reciproca soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Spese compensate.