L’indennità di maternità per gli avvocati: un nuovo orientamento sul regime transitorio

Poiché l’indennità di maternità va corrisposta, ai sensi dell’art. 70 d.lgs. n. 151/2001, alle libere professioniste, iscritte ad un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza, per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa, è evidente che la dimensione temporale rilevante ai fini di individuare quale sia la disciplina di computo applicabile alla concreta fattispecie non possa che coincidere con il compimento del sesto mese di gravidanza, che segna il passaggio agli ultimi due mesi di gravidanza, giacché prima di tale momento non vi è alcun diritto ad ottenere la prestazione.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 29757/17, depositata il 12 dicembre. Il caso. La Corte d’Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da un avvocato nei riguardi della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense avverso la sentenza che aveva respinto la domanda della stessa volta all’accertamento del diritto all’indennità di maternità calcolata nella misura originariamente prevista dall’art. 70 d.lgs. n. 151/2001 ed alla condanna della Cassa al pagamento della differenza rispetto a quanto erogatole nella ridotta misura di cinque volte l’importo minimo dell’indennità, a norma dell’art. 1, comma 3- bis , l. n. 289/2003. La Corte territoriale ha ritenuto infatti corretta l’applicazione della predetta legge da parte del Tribunale di Milano, posto che al momento dell’entrata in vigore 29 ottobre 2003 la ricorrente si trovava solo al quarto mese di gravidanza, per cui non poteva applicarsi il precedente regime più favorevole, cui la stessa avrebbe avuto diritto con il compimento del sesto mese di gravidanza. La parità di trattamento tra lavoratrici subordinate ed autonome. Preliminarmente la Suprema Corte ha esaminato l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente circa il diverso trattamento dell’indennità di maternità previsto per le lavoratrici subordinate e quelle autonome che impone di limiti più restrittivi per queste ultime. La Corte di Cassazione ha ritenuto infondata tale eccezione, richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 3/1998 con la quale è stato precisato che il parametro dell’art. 37 Cost. attiene soltanto alla tutela del lavoro subordinato, restando del tutto estraneo al lavoro autonomo e a quello dei liberi professionisti e che ciò non realizza alcuna disparità di trattamento, posto che esiste una netta differenza tra lavoro subordinato e lavoro autonomo da tale diversità discende che gli strumenti di tutela che le leggi ordinarie apprestano per l’uno non possono ritenersi automaticamente applicabili anche all’altro. Gli Ermellini hanno poi precisato che non esiste alcun parallelismo tra l’indennità di maternità prevista per le professioniste e le altre prestazioni previdenziali, anche alla luce del peculiare sistema di finanziamento delle relative prestazioni e per le esigenze di bilancio della Cassa, le cui condizioni sono mutate nel tempo in conseguenza della crescita esponenziale delle libere professioniste esercenti la professione legale. La disciplina transitoria dell’indennità di maternità. Disatteso il dubbio di costituzionalità la Suprema Corte ha ritenuto corretta l’individuazione della disciplina intertemporale operata dalla Corte territoriale, seppure in contrasto con un diverso orientamento della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 27068/13, aveva espresso il differente principio secondo cui l’indennità di maternità dovuta alle libere professioniste esercenti la professione legale, per lo stato di gravidanza nel periodo antecedente al 29 ottobre 2003, soggiace al regime reddituale previsto dall’originaria formulazione dell’art. 70 d.lgs. n. 151/2001. In altre parole, il criterio corretto per determinare quale sia la disciplina applicabile ratione temporis all’indennità di maternità è costituito non dalla data del parto per la possibile predeterminazione della stessa ed in considerazione del fatto che l’indennità spetta anche per l’interruzione della gravidanza né dalla data di presentazione della domanda né tantomeno dalla data di inizio della gravidanza di tal ché in questo caso lo stato di gravidanza non opera oggettivamente ma dalla data in cui sorge il diritto all’indennità di maternità e, cioè, il compimento del sesto mese di gravidanza.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 luglio – 12 dicembre 2017, numero 29757 Presidente Mammone – Relatore Calafiore Fatti di causa Con sentenza numero 899/2011, la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’appello proposto dall’avvocata A.M.M. nei riguardi della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense in seguito solo Cassa avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto la domanda della stessa tesa all’accertamento del diritto all’indennità di maternità calcolata nella misura prevista originariamente dall’art. 70 d.lgs. numero 151 del 2001 ed alla condanna della predetta Cassa al pagamento della differenza rispetto a quanto invece erogatole nella ridotta misura di cinque volte l’importo minimo dell’indennità medesima, a norma della legge numero 289 del 2003, art. 1, comma 3 bis, oltre interessi e rivalutazione. A motivo della decisione, la Corte territoriale, dopo aver ritenuto questione non soggetta alla disponibilità delle parti la individuazione della disciplina intertemporale, ha ritenuto corretta l’applicazione da parte del Tribunale di Milano della legge da ultimo citata in relazione alla circostanza che al momento dell’entrata in vigore della nuova legge la ricorrente si trovava solo al quarto mese di gravidanza, per cui non poteva ritenersi applicabile la precedente disciplina del calcolo dell’indennità nella misura dell’80% di cinque dodicesimi del reddito percepito e denunciato a fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello di presentazione della domanda, ma la normativa successiva, in vigore dal 29 ottobre 2003 e non retroattiva, introduttiva del più restrittivo criterio di liquidazione. L’avvocata A.M.M. ricorre per cassazione con tre motivi illustrati da memoria cui resiste la Cassa con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 91 e 92 cod. proc. cív, in relazione alla circostanza che la domanda era stata rigettata per ragioni differenti da quelle fatte valere dalla difesa della Cassa ed il giudice del merito non si era pronunciato sulla domanda, proposta in prime cure, di declaratoria di nullità delle deliberazioni della Cassa Forense del 26 febbraio, 25 giugno e del 17 dicembre 2004, e ciò avrebbe dovuto portare all’accoglimento dell’appello o almeno alla compensazione delle spese di giudizio. 2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione nonché violazione e falsa applicazione del D.Lgs. numero 151 del 2001, artt. 70 commi 3 e 3 bis come aggiunti dalla L. numero 289 del 2003, art. 1, e dell’art. 71 comma 1 del medesimo d.lgs. numero 151/2001 e vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nnumero 3 e 5, per avere la Corte territoriale, con malgoverno delle norme denunciate oltre che con motivazione carente e travisante i fatti, ritenuto centrali ai fini della risoluzione della questione del discrimine temporale tra la vecchia e la nuova disciplina elementi tratti dall’art. 71 del d.lgs. 151/2001 e cioè il protrarsi della gravidanza oltre il sesto mese dopo il 29 ottobre 2003, la data del parto 28 marzo 2004 , nonché la data di presentazione della domanda 12 gennaio 2004 , utile ai soli fini della materiale liquidazione e quantificazione della prestazione. 3. Con il terzo motivo si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione violazione del petitum e violazione e falsa applicazione dell’art. 23 I. numero 87/1953 e dell’art. 134 Cost. nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 37 Cost., essendosi la Corte di merito sostanzialmente sottratta all’approfondimento della compatibilità dell’interpretazione adottata con i precetti costituzionali richiamati dalla parte. 4. I motivi sono infondati e vanno trattati congiuntamente in quanto riguardano essenzialmente l’individuazione del regime temporale di applicabilità della legge numero 289/2003 ed i profili di incostituzionalità che, ad avviso della ricorrente, discenderebbero da una interpretazione difforme da quella dalla stessa prospettata. 5. Il D.Lgs. numero 151 del 2001, art. 70, contenente il T.U. delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità , nel testo anteriore alla novella di cui alla L. numero 289 del 2003, stabiliva Alle libere professioniste iscritte ad una cassa di previdenza ed assistenza di cui alla tabella D allegata al presente testo unico, è corrisposta un’indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi della stessa. L’indennità di cui al comma 1 viene corrisposta in misura pari all’80% di cinque dodicesimi del reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda. In ogni caso l’indennità di cui al comma 1, non può essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione calcolata nella misura pari all’80 per cento del salario minimo giornaliero stabilito dal D.L. 29 luglio 1981, numero 402, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 settembre 1981, numero 537, e successive modificazioni, nella misura risultante, per la qualifica di impiegato, dalla tabella A e dai successivi decreti ministeriali di cui al comma 2, del medesimo articolo . 6. A tale disciplina, la L. 15 ottobre 2003, numero 289, ha apportato alcune modifiche, in particolare, per quanto qui interessa, attraverso la sostituzione al comma 2, delle parole del reddito percepito e denunciato a fini fiscali con le parole del solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali come reddito di lavoro autonomo nonché le parole dalla domanda con quelle dall’evento e aggiungendo il comma 3 bis, secondo il quale L’indennità di cui al comma 1 non può essere superiore a cinque volte l’importo minimo derivante dell’applicazione del comma 3, ferma restando la potestà di ogni singola cassa di stabilire con delibera del consiglio di amministrazione, soggetta ad approvazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, un importo massimo più elevato, tenuto conto delle capacità reddituali e contributive della categoria professionale e della compatibilità con gli equilibri finanziari dell’ente . 7. Va ricordato, quanto al quadro costituzionale al cui interno si colloca la tutela della maternità delle libere professioniste, che con la sentenza della Corte Costituzionale numero 3/1998, è stato precisato che il parametro dell’art. 37 Cost. come già affermato con sentenza numero 181 del 1993 attiene soltanto alla tutela del lavoro subordinato, restando del tutto estraneo al lavoro autonomo ed a quello dei liberi professionisti e che ciò non realizza alcuna disparità di trattamento v. sentenze numero 31 del 1986, numero 181 del 1993 e numero 150 del 1994 posto che, come la stessa Corte Costituzionale ha ravvisato, esiste una netta differenza tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, pur trattandosi di due tipi del medesimo fenomeno da tale diversità discende che gli strumenti di tutela che le leggi ordinarie apprestano per l’uno non possono ritenersi automaticamente applicabili anche all’altro e che l’assenza dell’obbligo di astensione dal lavoro nel periodo coperto dall’erogazione dell’indennità di maternità in favore delle professioniste non è incostituzionale per violazione dei parametri di cui agli artt. 3 e 32 Cost. perché il sistema di protezione della madre e del bambino costituito dalla legge numero 379/1990 confluita nel d.lgs. 151/2001 deve giudicarsi adeguato in contesto lavorativo caratterizzato da una notevole autorganizzazione che non impone la necessità di totale astensione. 6 Questa Corte di cassazione, con la sentenza numero 22023 del 2010, ha inoltre precisato che non esiste alcun parallelismo tra l’indennità di maternità prevista per le professioniste e le altre prestazioni previdenziali, anche alla luce del sistema di finanziamento delle relative prestazioni e per le necessarie esigenze di bilancio della Cassa giacché, la L. numero 379 del 1990, art. 5, prevede il concorso di tutti gli iscritti alla Cassa al finanziamento della indennità in parola, attuato attraverso il versamento di un contributo annuo in misura fissa, rivalutato annualmente, aggiungendo che al fine di assicurare l’equilibrio delle gestioni delle singole casse il Ministro del tesoro, sentito il parere dei rispettivi consigli di amministrazione, stabilisce, anche con separati decreti, la variazione dei contributi di cui al presente articolo . 8. A ciò consegue l’autonomia, anche sul piano del relativo finanziamento, della disciplina relativa alla indennità di maternità per le libere professioniste rispetto a quella concernente le prestazioni pensionistiche nonché la previsione di un sistema rapido ed efficiente, idoneo ad ovviare ad eventuali inconvenienti, indotti nel tempo dall’erogazione dell’indennità di maternità, su piano dell’equilibrio delle gestioni delle singole casse o di possibile incidenza negativa sulle altre prestazioni previdenziali e assistenziali. 9. La mancata determinazione di un tetto ulteriore oltre l’abbattimento del 20% del reddito di riferimento rispondeva, nell’ottica del legislatore dell’epoca, ad una migliore valorizzazione dello scopo di sostegno della libertà della donna di essere madre, accanto a quello della salvaguardia della salute della madre e del figlio nel delicato periodo della nascita, scopi che accomunano le discipline del sostegno economico alla maternità in ogni settore ma ciò non esclude la possibilità di successive differenziazioni, come ricordato dalla Corte costituzionale sopra citata, che sono il frutto dell’esercizio della discrezionalità del legislatore nel modulare il livello della tutela, categoria per categoria e diversamente nel tempo, in relazione a fattori di variabilità incidenti ora sulle esigenze di bilancio degli enti erogatori ora sull’interesse della donna a mantenere nel periodo considerato un livello economico di vita più vicino possibile a quello previsto come normale. 10. Ciò spiega perché il legislatore tra il 1990 ed il 2003, evidentemente valutando positivamente la sostenibilità dell’equilibrio percentuale tra donne esercenti libere professioni ed universo dei soggetti tenuti al contributo finalizzato all’indennità maternità, ha ritenuto di espandere al massimo possibile l’ampiezza della tutela economica ma ha, successivamente, imposto un tetto massimo allorché la presenza delle donne nelle libere professioni, con vertici di reddito in precedenza impensabili, ha raggiunto livelli non compatibili con l’esigenza di equilibrio finanziario dell’ente in rapporto alle capacità reddituali e contributive della relativa categoria professionale. 11. Dunque, deve essere disatteso il dubbio di costituzionalità sollevato dalla ricorrente con il terzo motivo di ricorso poiché nessun valore costituzionale può ritenersi leso dall’introduzione del tetto sopra descritto, né tanto meno siffatta lesione può derivare dalla mera successione di due differenti regimi se giustificata dalle mutate condizioni di equilibrio finanziario dell’ente chiamato ad erogare la prestazione di maternità. 12. Ciò premesso, va rilevato che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto che l’individuazione della disciplina transitoria, nel silenzio della legge, esuli dalla disponibilità delle parti e dalle loro eccezioni. Si tratta, infatti, di questione che può e deve essere rilevata d’ufficio, riguardando la sussistenza, sotto il profilo della sua efficacia temporale, della norma di cui si chiede l’applicazione in giudizio essa dunque sfugge a qualsiasi preclusione, trattandosi di un dovere officioso del giudice, sottratto a qualsivoglia limitazione, con la conseguenza che la deduzione con la quale la parte denunzi l’erroneità di tale applicazione non costituisce un’eccezione quanto, piuttosto, una sollecitazione al giudice ad avvalersi del dovere di fare applicazione della norma effettivamente destinata a regolare il caso di specie, in attuazione del principio iura novit curia cfr. sul tema Cassazione civile, sez. lav., 19/05/2017, numero 12731 Cass. 29/12/2016, numero 27365 Cass. 14/03/2014, numero 6042 Cass. 15/10/2012, numero 17645 . 13. È corretta, infine, la individuazione della disciplina intertemporale fatta propria dalla Corte territoriale, seppure deve darsi atto che questa Corte di cassazione ha, con la sentenza numero 27068/2013, espresso il differente principio secondo cui l’indennità di maternità dovuta alle libere professioniste esercenti la professione legale, per lo stato di gravidanza nel periodo antecedente al 29 ottobre 2003, data di entrata in vigore della legge 15 ottobre 2003, numero 289, che ha modificato senza efficacia retroattiva l’art. 70 del d.lgs. 26 marzo 2001, numero 151, soggiace al più favorevole regime reddituale previsto dall’originaria formulazione di tale norma. 14. Tale principio, scartati i criteri di discrimine intertemporale coincidenti con la data del parto per la possibile predeterminazione della data dello stesso ed in considerazione del fatto che l’indennità spetta anche per l’interruzione della gravidanza per aborto o della data di presentazione della domanda di erogazione della prestazione di rilevanza solo contabile , è stato fatto discendere dall’esigenza ritenuta di rilievo costituzionale di tutelare nella maniera più ampia possibile, sin dal concepimento, la serenità della gestante che sarebbe stata compromessa dal disconoscimento dell’aspettativa di mantenere inalterate le proprie condizioni economiche durante la gravidanza e nel periodo immediatamente successivo. 15. Ritiene questa Corte di cassazione che tale interpretazione non possa essere condivisa. In particolare, va osservato che il quadro costituzionale di riferimento sopra rappresentato e l’assenza di dubbi di costituzionalità sulle disposizioni introdotte dalla legge numero 289/2003 inducono a non ritenere appropriata l’adozione di un criterio interpretativo della dimensione intertemporale delle discipline in esame ispirato alla protezione di valori costituzionali in concreto non soggetti a rischio alcuno e, per di più, lasciando che sia la data del mero concepimento, di per sé non suscettibile di pratica ed immediata determinazione, a fissare il discrimine temporale stesso. 16. Viceversa, ciò che va esaminato è il dato positivo che riproduce la volontà del legislatore di imporre un tetto ben preciso agli importi della prestazione, già delimitata all’interno del periodo di gestazione e di quello successivo al parto, a partire dalla data di entrata in vigore della legge numero 289/2003 e cioè dal 28 ottobre 2003. Dunque, poiché l’indennità di maternità va corrisposta, ai sensi dell’art. 70 d.lgs. 151/2001, alle libere professioniste, iscritte ad un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza, per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa, è evidente che la dimensione temporale rilevante al fine di individuare quale sia la disciplina di computo applicabile alla concreta fattispecie non possa che coincidere con il compimento del sesto mese di gravidanza, che segna il passaggio agli ultimi due mesi di gravidanza, giacché prima di tale momento non vi è diritto alcuno ad ottenere la prestazione. 17. Ciò trova conferma evidente nel successivo articolo 71 del d.lgs. 151/2001 che, equiparando il parto alla interruzione della gravidanza, al terzo comma prevede che l’indennità di maternità spetta in misura intera anche nel caso in cui, dopo il compimento del sesto mese di gravidanza, questa sia interrotta per motivi spontanei o volontari, nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della legge 22 maggio 1978, numero 194. 18. Nel caso di specie, dunque, poiché alla data del 28 gennaio 2004, di compimento del sesto mese di gravidanza rispetto al parto avvenuto il 28 marzo 2004, era già in vigore la nuova disciplina con imposizione del tetto alla misura massima dell’indennità di maternità, la decisione della Corte d’appello è immune da censure ed il ricorso va, in definitiva, rigettato. 19. Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate alla luce del precedente difforme sopra indicato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del giudizio.