Grava sul datore di lavoro l’obbligo di cercare possibili collocazioni alternative del lavoratore per evitare il licenziamento

In caso di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore, l'impossibilità della prestazione lavorativa quale giustificato motivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato, ai sensi degli artt. 1 e 3 l. n. 604/1966 e art. 1463 e 1464 c.c., non è ravvisabile per effetto della sola ineseguibilità dell'attività attualmente svolta dal prestatore di lavoro, perché può essere esclusa dalla possibilità di adibire il lavoratore ad una diversa attività, che sia riconducibile - alla stregua di un'interpretazione del contratto secondo buona fede - alle mansioni attualmente assegnate o a quelle equivalenti o, se ciò è impossibile, a mansioni inferiori, purché tale diversa attività sia utilizzabile nell'impresa, secondo l'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall'imprenditore.

Principio affermato dalla Corte di Cassazione sezione lavoro, con la sentenza n. 29250/17, pubblicata il 6 dicembre. La vicenda. Una lavoratrice dipendente di una impresa di pulizie, a seguito di sopravvenuta infermità, veniva licenziata per giustificato motivo oggettivo, stante l’impossibilità a svolgere le mansioni cui era addetta. La lavoratrice agiva in giudizio al fine di veder dichiarato illegittimo il licenziamento e contestualmente, nei confronti dell’Inail, per ottenere l’accertamento della origine professionale della malattia, con conseguente condanna dell’Ente al pagamento della rendita. Il Tribunale adito rigettava la domanda. Proponeva appello la lavoratrice, ma la Corte d’Appello rigettava il gravame, confermando la sentenza di primo grado. Ricorreva così in Cassazione la lavoratrice. Il datore di lavoro deve trasmettere all’INAIL la denuncia di malattia professionale. Il primo motivo di censura proposto riguarda il rigetto della domanda di riconoscimento della malattia professionale, ritenuta improponibile per la mancata presentazione della domanda amministrativa. Si duole la ricorrente che in realtà con la lettera di impugnazione del licenziamento aveva esplicitamente invitato il datore di lavoro ad attivare la procedura di legge per il riconoscimento della malattia professionale. Ciò assolveva l’obbligo di attivazione della domanda amministrativa. La Suprema Corte ritiene fondato il motivo proposto, affermando che l’art. 52 d.P.R. n. 1124/1965 stabilisce l’obbligo per il datore di lavoro di trasmettere all’INAIL la denuncia della malattia professionale entro i cinque giorni successivi a quelli in cui il lavoratore ha trasmesso al datore la denuncia di manifestazione della malattia. Nel caso specifico risulta in modo inequivoco che nella lettera di impugnativa del licenziamento la lavoratrice aveva esposto che la malattia cui era affetta era da ritenersi diretta conseguenza dell’attività lavorativa prestata, manifestando dunque la volontà di far valere il diritto alla prestazione previdenziale. Errata dunque la sentenza resa dalla Corte d’Appello che ha ritenuto improponibile la domanda di indennizzo, senza viceversa accertare se la malattia denunciata fosse di natura professionale. Obbligo di repechage il lavoratore deve indicare le possibili soluzioni alternative di impiego In materia di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica del lavoratore, si ha giustificato motivo oggettivo qualora si ravvisi da un lato l’impossibilità del lavoratore a svolgere le mansioni cui è addetto e dall’altro l’impossibilità di adibirlo ad altre mansioni all’interno dell’azienda, eventualmente anche di livello inferiore, purchè vi sia il consenso del lavoratore stesso. Circa la distribuzione dell’onere probatorio incombente sulle parti, spetta al lavoratore, il quale contesti la legittimità del recesso, indicare elementi utili atti ad individuare le possibili soluzioni di ricollocazione entro l’azienda. Senza spingersi a oneri di elevata specificità, posto che il lavoratore non potrà conoscere nei dettagli l’organizzazione aziendale. e il datore di lavoro deve fornire la prova di aver ricercato tutte le soluzioni, anche con mansioni inferiori. Riguardo invece all’onere probatorio in capo al datore di lavoro, va ricordato che in caso di sopravvenuta infermità permanente del lavoratore, non si realizza un'impossibilità della prestazione lavorativa quale giustificato motivo oggettivo di recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro subordinato qualora il lavoratore possa essere adibito a mansioni equivalenti o, se impossibile, anche a mansioni inferiori, purché da un lato tale diversa attività sia utilizzabile nell'impresa, secondo l'assetto organizzativo insindacabilmente stabilito dall'imprenditore, e dall'altro, l'adeguamento sia sorretto dal consenso, nonché dall'interesse dello stesso lavoratore. Dunque, ove il lavoratore abbia manifestato, sia pur senza forme rituali, il suo consenso a svolgere mansioni inferiori, il datore di lavoro è tenuto a giustificare oggettivamente il licenziamento anche con l'impossibilità di assegnare mansioni non equivalenti. Nel caso in decisione, la Corte di merito non ha tenuto in considerazione l’allegazione da parte della lavoratrice delle possibili soluzioni di reimpiego, né ha ammesso, senza motivazione di sorta, le prove testimoniali dedotte sul punto. Con ciò disattendendo i principi giurisprudenziali della Suprema Corte in materia. Il ricorso proposto è stato dunque ritenuto fondato, la sentenza impugnata cassata con rinvio ad altra corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 20 settembre – 6 dicembre 2017, n. 29250 Presidente Amoroso – Relatore Cinque Fatti di causa 1. Con la sentenza n. 717/2015 la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Castrovillari n. 142/2014 con cui era stata respinta la domanda proposta da M.M.A. la quale, premesso di avere lavorato alle dipendenze della Manitel Idea spa società avente in appalto servizi di pulizia presso gli istituti scolastici della Regione con mansioni di addetta alle pulizie e che, a seguito di visita medica della competente commissione ASP del 25.10.2010, era stata accertata la permanente inidoneità alle mansioni per il qual motivo era stata licenziata con provvedimento del 23.11.2010, aveva chiesto, nei confronti della società datrice di lavoro, che fosse dichiarata l’illegittimità del recesso per violazione dell’obbligo di repechage, mentre nei riguardi dell’INAIL aveva chiesto che fosse accertato che la malattia, che aveva determinato la propria inidoneità era da ritenersi di origine professionale con conseguente condanna dell’Istituto assicuratore al pagamento della rendita o, quanto meno, dell’indennizzo in conto capitale. 2. A fondamento della decisione la Corte distrettuale ha statuito che 1 nei confronti dell’INAIL la domanda era improponibile non essendo stata proposta la domanda amministrativa né poteva valere la richiesta formulata al datore di lavoro, in sede di impugnativa del licenziamento, di trasmettere all’INAIL la istanza perché, in caso di inerzia, comunque il lavoratore avrebbe dovuto provvedervi in via autonoma 2 sull’obbligo di repechage, il lavoratore non aveva allegato l’esistenza di altri posti di lavoro nei quali avrebbe potuto essere utilmente ricollocato. 3. Avverso tale sentenza M.M.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. 4. Ha resistito con controricorso il solo INAIL mentre l’altra intimata non ha svolto attività difensiva. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 135, 131, 52, 53, 67 del DPR n. 1124/1965, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cpc, per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine alla richiesta di riconoscimento della malattia professionale e del pagamento della rendita. Deduce che erroneamente la Corte territoriale aveva rilevato la mancata presentazione della domanda amministrativa perché, con la lettera di impugnativa del licenziamento del 2.12.2010, la datrice di lavoro era stata invitata ad attivare la procedura d legge per il riconoscimento della malattia professionale e, quindi, era stato assolto l’obbligo derivante dall’art. 52 del citato DPR. Inoltre, la ricorrente precisa che i giudici di secondo grado, anche in ipotesi di improponibilità della domanda, avrebbero dovuto comunque accertare la sussistenza della denunciata malattia e, qualora sussistente, avrebbero dovuto condannare la Manital Idea spa alla corresponsione delle prestazioni richieste. 2. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 604/1966 e artt. 1463 e 1464 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cpc, per insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e cioè l’impugnativa di licenziamento, per avere errato la Corte distrettuale nell’avere ritenuto incombente sulla ricorrente l’onere di allegare circostanze specifiche in ordine alla esistenza di diversi posti di lavoro cui avrebbe potuto essere adibita, dovendo, invece, essere il datore di lavoro a giustificare l’eventuale recesso anche sotto questo profilo lamenta, inoltre la ricorrente che il giudice di appello, come già il giudice di primo grado, non aveva dato ingresso, senza alcuna motivazione, alle richieste istruttorie da essa formulate volte a provare l’esistenza di lavori diversi a cui la stessa avrebbe potuto essere adibita. 3. Il primo motivo è fondato. 4. L’art. 52 del DPR n. 1124/1965 statuisce che il datore di lavoro ha l’obbligo di trasmettere all’Istituto assicuratore la denuncia di malattia professionale entro i cinque giorni successivi a quello nel quale il prestatore d’opera ha fatto denuncia al datore di lavoro della manifestazione della malattia la violazione di tale obbligo è sanzionato in via amministrativa. 5. L’art. 67 dello stesso DPR prevede che gli assicurati hanno diritto alle prestazioni da parte dell’Istituto assicuratore anche nel caso in cui il datore di lavoro non ha adempiuto agli obblighi stabiliti nel presente titolo. 6. Nella fattispecie in esame, è incontestato che, con la lettera del 2.10.2010, con la quale era stato impugnato il licenziamento, la M. aveva evidenziato che le lamentate ed accertate patologie da cui risultava affetta erano tutte diretta conseguenza dell’attività lavorativa prestata alle dipendenze della società, rientranti nel novero delle malattie professionali, motivo per cui faceva espressa istanza di attivazione della procedura di cui al DPR n. 1124/1965 impregiudicata l’azione risarcitoria nei confronti di parte datoriale. 7. La ricorrente aveva, quindi, chiaramente manifestato la sua volontà di fare valere il diritto alla prestazione previdenziale e neppure era ostativa all’inoltro della domanda all’INAIL l’eventuale assenza del certificato o della relazione medica contenente la descrizione dei sintomi lamentati dal lavoratore e riscontrati dal medico perché la documentazione riguardante le patologie della dipendente era già in possesso di parte datoriale che, sulla base di essa, aveva proceduto al licenziamento per giustificato motivo oggettivo in considerazione della inidoneità permanente alla mansione di addetto alle pulizie in ambienti civili. 8. Il datore di lavoro, pertanto, aveva l’obbligo di inoltrare l’istanza all’INAIL e il non avervi ottemperato determinava la proponibilità della relativa domanda avanzata in sede giurisdizionale, ai sensi dell’art. 67 DPR n. 1124/1965. 9. La Corte territoriale non ha applicato correttamente le suddette disposizioni e avrebbe dovuto, pertanto, accertare se la malattia professionale denunciata fosse stata conseguenza dell’attività lavorativa espletata e, quindi, indennizzabile ex DPR n. 1124/1965. 10. Anche il secondo motivo è fondato. 11. La Corte di merito ha ritenuto che l’obbligo del repechage, con conseguente onere di prova a carico del datore di lavoro circa l’impossibilità di adibire il lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo a diverse mansioni, diveniva operativo solo a seguito dell’adempimento, da parte del lavoratore, all’onere di allegare circostanze specifiche in merito alla esistenza di diversi posti di lavoro cui sarebbe potuto essere adibito. 12. In punto di fatto deve, però, essere rilevato e ciò non è contestato che, nell’impugnare il licenziamento per avvenuta inidoneità permanente alla mansione di addetta alle pulizie, la lavoratrice aveva dato la disponibilità ad essere adibita anche a mansioni inferiori e che nel giudizio aveva articolato prova per testi diretta a dimostrare l’esistenza, in azienda, di dipendenti addetti a lavori diversi rispetto a quelli da essa espletati prova cui non è stato dato ingresso. 13. Orbene, le Sezioni Unite di questa Corte Cass. Sez. Un. 7 agosto 1998 n. 77545 , a composizione dei contrasti di giurisprudenza esistenti sulla questione, hanno affermato che la sopravvenuta infermità permanente e la conseguente impossibilità della prestazione lavorativa possono giustificare oggettivamente il recesso del datore di lavoro dal rapporto di lavoro subordinato, ai sensi della legge n. 604/1966, artt. 1 e 3 normativa specifica in relazione a quella generale dei contratti sinallagmatici di cui agli artt. 1453, 1455, 1463 e 1464 cc , a condizione che risulti ineseguibile l’attività svolta in concreto dal prestatore e che non sia possibile assegnare il lavoratore a mansioni equivalenti ai sensi dell’art. 2103 cc ed eventualmente inferiori, in difetto di altre soluzioni. 14. È stato evidenziato, al riguardo, che nell’ipotesi di licenziamento per sopravenuta inidoneità fisica del lavoratore, il giustificato motivo oggettivo consiste non soltanto nella fisica inidoneità del lavoratore all’attività attuale, ma anche nell’inesistenza in azienda di altre attività anche diverse, ed eventualmente inferiori compatibili con lo stato di salute del lavoratore ed a quest’ultimo attribuibili senza alterare l’organizzazione produttiva, onde spetta al datore di lavoro convenuto in giudizio dal lavoratore in sede di impugnativa del licenziamento fornire la prova delle attività svolte in azienda, e della relativa inidoneità fisica del lavoratore o dell’impossibilità di adibirlo ad esse per ragioni di organizzazione tecnico-produttiva, fermo restando che, nel bilanciamento di interessi costituzionalmente protetti artt. 4, 32 e 36 Cost. , non può pretendersi che il datore di lavoro, per ricollocare il dipendente non più fisicamente idoneo, proceda a modifiche delle scelte organizzative escludendo, da talune posizioni lavorative, le attività incompatibili con le condizioni di salute del lavoratore. 15. Detti principi sono stati, poi, ribaditi nelle successive pronunce di questa Corte, con le quali si è anche precisato che l’assegnazione a mansioni inferiori del lavoratore divenuto fisicamente inidoneo costituisce un adeguamento del contratto alla nuova situazione di fatto, adeguamento che deve essere sorretto, oltre che dall’interesse, dal consenso del prestatore sicché il datore di lavoro è tenuto a giustificare oggettivamente il recesso anche con l’impossibilità di assegnare mansioni non equivalenti nel solo caso in cui il lavoratore abbia, sia pure senza forme rituali, manifestato la sua disponibilità ad accettarle Cass. 2.7.2009 n. 15500 e in termini Cass. 2.8.2013 n. 18535 . 16. La inidoneità del prestatore giustifica il recesso solo nell’ipotesi in cui le energie lavorative residue non possano essere utilizzate altrimenti dall’impresa, anche in mansioni inferiori, e il datore di lavoro, prima di intimare il licenziamento, è tenuto a ricercare possibili soluzioni alternative e, ove le stesse comportino l’assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al prestatore il demansionamento, divenendo libero di recedere dal rapporto solo qualora la soluzione alternativa non venga accettata. 17. Quanto, poi, alla tematica circa la delimitazione degli oneri di allegazione che gravano sul lavoratore, il quale contesti la legittimità del licenziamento, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’onere di collaborazione del prestatore di lavoro, lungi dall’avere un contenuto formale e predefinito, trova la sua specificazione con riferimento alla situazione concreta, in relazione cioè all’esigenza di rendere ragionevole l’onere probatorio gravante sul datore di lavoro, a sua volta delimitato dalle contrapposte deduzioni delle parti e dalle circostanze di fatto e di luogo reali proprie della singola vicenda esaminata. È, pertanto, sufficiente che il prestatore di lavoro, per soddisfare il suddetto onere, fornisca comunque elementi utili ad individuare la esistenza di realtà idonee ad una sua possibile diversa collocazione. Deve sottolinearsi in proposito che non è possibile gravare il prestatore di lavoro di un onere di maggiore specificità nell’allegazione suddetta tenuto conto del fatto che lo stesso non può o comunque non è tenuto a conoscere i dettagli dell’organizzazione aziendale e quindi l’eventuale esistenza di posizioni di lavoro analoghe a quelle dallo stesso occupate e suscettibili di essere dallo stesso ricoperte Cass. 18.7.2014 n. 16484 . 18. Nel caso in esame, a differenza di quanto ritenuto dai giudici di merito, era stata in qualche modo dedotta l’esistenza di posizioni di lavoro disponibili diverse da quella di addetto alle mansioni di pulizia e la prova articolata dalla M. sul tale punto, che si rivelava decisiva, non è stata valutata né ammessa. Né l’onere di collaborazione può essere spinto sino a pretendere che il lavoratore specifichi in modo puntuale dati di cui non può essere a conoscenza. 19. La Corte distrettuale non si è attenuta a tali principi e non ha fatto corretta applicazione delle norme indicate nel motivo in tema di licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica permanente della prestazione lavorativa e di riparto degli oneri di allegazione e prova. 20. Nei limiti delle suddette considerazioni il ricorso deve essere accolto e la causa va rinviata ad altra Corte di appello, che si designa in quella di Reggio Calabria, perché uniformandosi al complesso dei principi di diritto innanzi precisati, proceda agli accertamenti omessi. Il giudice di rinvio è incaricato anche di regolare le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Reggio Calabria cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.