Non può essere licenziato il lavoratore che si oppone al trasferimento illegittimo

Il trasferimento di un lavoratore disposto in carenza di sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive costituisce inadempimento datoriale, cui il lavoratore può reagire ai sensi dell’art. 1460, comma 1, c.c., rifiutando di prendere servizio nella sede di destinazione e mettendo, però a disposizione le proprie energie lavorative presso l’originaria sede di lavoro. Per tale motivo, il licenziamento intimato dall’azienda per il rifiuto del lavoratore a prestare servizio nella sede di destinazione è illegittimo poiché non sorretto da giustificato motivo soggettivo.

Così la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 29054, 5 dicembre 2017. Il caso. La Corte d’Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento irrogato a un lavoratore, con le conseguenze reintegratorie e patrimoniali previste dall’art. 18 l. n. 300/1970, per insussistenza del giustificato motivo soggettivo. Premesso che il licenziamento era stato intimato per doppia motivazione, ossia per l’inadempimento conseguente ad un’assenza dal posto di lavoro ma anche per giustificato motivo oggettivo conseguente ad una dedotta riorganizzazione aziendale, la Corte territoriale ha ritenuto privo di fondamento il giustificato motivo soggettivo, atteso che l’assenza dal posto di lavoro era dovuta ad una legittima reazione del lavoratore ad un comportamento illegittimo del datore di lavoro rappresentato dal trasferimento da Pomezia a Milano, in assenza di sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive. Peraltro, con riferimento al giustificato motivo oggettivo, i giudici di secondo grado hanno rilevato la non effettività della dedotta soppressione del posto di lavoro del dipendente. Quando un trasferimento è illegittimo. Il datore di lavoro ha impugnato in Cassazione la sentenza di secondo grado, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. e dell’art. 1460 c.c. per avere la predetta pronuncia mancato di accertare l’importanza del preteso inadempimento del datore di lavoro, tale da rendere illegittimo il rifiuto all’adempimento della prestazione lavorativa opposto dal lavoratore che non si era presentato presso la sede nella quale era stato trasferito. La Corte di Cassazione ha ritenuto infondata tale censura, atteso che il mutamento della sede lavorativa deve essere giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, in mancanza delle quali è configurabile una condotta datoriale illecita, che giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 c.c. sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti. Inoltre, prosegue la Suprema Corte, è noto che in caso di trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell’art. 2103 c.c., il rifiuto del lavoratore di assumere servizio presso la sede di destinazione deve essere proporzionato all’inadempimento datoriale ai sensi dell’art. 1460 comma 2 c.c., sicché lo stesso deve essere accompagnato come lo è stato nel caso di specie da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria. Conseguenze sul licenziamento. Alla luce delle argomentazioni appena esposte, la Suprema Corte ha concluso per l’illegittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo soggettivo, ritenendo che al cospetto di un inadempimento datoriale oggettivamente foriero di conseguenze negative per il lavoratore, quale il trasferimento illegittimo dello stesso ad una sede di lavoro così lontana da quella originaria, sia del tutto legittima e proporzionata la reazione del dipendente che, pur rifiutando di prestare la propria attività lavorativa presso la sede di destinazione, ha comunque messo a disposizione le proprie energie lavorative presso la legittima sede di lavoro. La Corte di Cassazione ha di fatto richiamato la nota giurisprudenza in tema di licenziamento ritorsivo, secondo la quale è determinato da motivo illecito ex art. 1345 c.c. il recesso fondato su una legittima reazione del lavoratore ad un’illecita condotta del datore di lavoro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 27 giugno – 5 dicembre 2017, n. 29054 Presidente Napoletano – Relatore Amendola Rilevato in fatto che con sentenza del 22 gennaio 2015 la Corte di Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento irrogato a S.D. dalla Logistics Reply Srl in data 9 ottobre 2003, con le conseguenziali pronunce reintegratorie e patrimoniali previste dall’art. 18 l. n. 300 del 1970 pro tempore vigente che la Corte territoriale, premesso che il licenziamento era stato intimato con una doppia motivazione, ossia per l’inadempimento conseguente ad una assenza dal posto di lavoro ma anche per giustificato motivo oggettivo conseguente ad una diversa organizzazione aziendale, ha ritenuto privo di fondamento il giustificato motivo soggettivo, atteso che il lavoratore aveva reagito ad un comportamento illegittimo del datore di lavoro rappresentato dal trasferimento da a ed altresì che il mancato riscontro della asserita soppressione del posto di lavoro comportava l’illegittimità di detto licenziamento anche sotto il profilo del giustificato motivo oggettivo che avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, cui ha resistito lo S. con controricorso, mentre la Ceva Logistics Italia Srl, cui il ricorso è stato notificato ai sensi dell’art. 332 c.p.c., non ha svolto attività difensiva che parte ricorrente ha depositato memoria e la Procura Generale ha concluso per il rigetto del ricorso. Considerato in diritto che il primo motivo del ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 41 Cost. per avere la sentenza impugnata ritenuto illegittimo il trasferimento valutando fatti successivi al momento in cui esso era stato disposto e che il secondo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di Appello omesso il compiuto esame della testimonianza del dott. P. che tali doglianze non possono trovare accoglimento in quanto entrambe, anche laddove la prima è avanzata, ma solo formalmente, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nella sostanza investono pienamente la quaestio facti rappresentata dall’accertamento in concreto della ricorrenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive aziendali che legittimavano il trasferimento dello S. che detto accertamento di fatto è riservato al sovrano apprezzamento del giudice di merito e non può essere sindacato da questa Corte di legittimità laddove si formulino censure, come nella specie, che travalicano i limiti imposti dal novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 che il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. e dell’art. 1460 c.c. per avere la sentenza impugnata mancato di accertare l’importanza del preteso inadempimento del datore di lavoro, tale da rendere legittimo il rifiuto all’adempimento della prestazione lavorativa opposto dal lavoratore che non si era presentato presso la sede nella quale era stato trasferito che la censura è infondata, atteso che il mutamento della sede lavorativa deve essere giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, in mancanza delle quali è configurabile una condotta datoriale illecita, che giustifica la mancata ottemperanza a tale provvedimento da parte del lavoratore, sia in attuazione di un’eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ. sia sulla base del rilievo che gli atti nulli non producono effetti Cass. n. 11927 del 2013 Cass. n. 27844 del 2009 Cass. n. 26920 del 2008 Cass. n. 16907 del 2006 Cass. n. 4771 del 2004 Cass. n. 18209 del 2002 Cass. n. 1074 del 1999 che in caso di trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell’art. 2103 c.c., il rifiuto del lavoratore di assumere servizio presso la sede di destinazione deve essere proporzionato all’inadempimento datoriale ai sensi dell’art. 1460, comma 2, c.c., sicché lo stesso deve essere accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria Cass. n. 3959 del 2016 che senza violare norme di diritto ed in coerenza con i richiamati principi la Corte territoriale, al cospetto di un inadempimento datoriale oggettivamente gravido di negative conseguenze quale è il trasferimento illegittimo di un lavoratore da a , ha ritenuto del tutto proporzionata la reazione dello S. che ha comunque messo a disposizione le sue energie lavorative presso la legittima sede di lavoro che il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1227, co. 2, c.c., per non essere stata presa in considerazione la condotta inerte del lavoratore nel periodo 2004-2015 in relazione alla necessità di escludere dal risarcimento del danno quello, assertivamente verificatosi in tale periodo, che viceversa avrebbe potuto essere evitato o ridotto dal lavoratore usando l’ordinaria diligenza, senza che al riguardo rilevi in alcun modo l’unico gesto da lui compiuto nel 2003 con l’iscrizione nelle liste di collocamento si aggiunge che da documentazione depositata nel corso del giudizio risulterebbe che lo S. avrebbe prestato attività lavorativa dall’ottobre 2014 al febbraio 2015 che anche tale motivo va disatteso in quanto anch’esso, nonostante l’involucro solo formale della dedotta violazione di legge, nella sostanza censura l’accertamento di fatto compiuto dal giudice cui è devoluto per escludere che la condotta del lavoratore abbia determinato un danno che, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto essere evitato, invocando così un nuovo giudizio di merito, anche con riferimento a documenti depositati in corso di causa, precluso in questa sede di legittimità che, conclusivamente, il ricorso va rigettato, con spese liquidate a carico della ricorrente soccombente come da dispositivo in favore dello S. , mentre nulla va disposto in favore della Ceva Logistics Italia Srl che non ha svolto attività difensiva che occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di S.D. liquidate in Euro 5.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, accessori come per legge e spese generali al 15%. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.