La nullità del licenziamento è speciale: non è rilevabile d’ufficio

La nullità del licenziamento, per contrasto con norme imperative, non può essere rilevata d’ufficio poiché il principio di cui all’art. 1421 c.c. non può trovare applicazione quando la parte chieda solo la declaratoria di invalidità di un atto a sé pregiudizievole, dovendo la pronuncia del giudice rimanere circoscritta alle ragioni di illegittimità ritualmente dedotte dalla parte stessa.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con sentenza n. 28796/17, depositata il 30 novembre. Il dipendente che non sa ”tenere i segreti” Un dipendente dell’Agenzia delle Entrate veniva licenziato per giusta causa per aver acceduto abusivamente per ragioni diverse da quelle di servizio al sistema informativo dell’anagrafe tributaria e per avere acquisito da colleghi informazioni che avrebbe poi divulgato a terzi, violando così sia l’obbligo di riservatezza e segretezza, sia l’obbligo di evitare situazioni o comportamenti idonei a nuocere agli interessi o all’immagine della pubblica amministrazione. Il caso giungeva sino agli Ermellini richiesti di chiarire la rilevanza dell’elemento intenzionale nell’accertamento della giusta causa di licenziamento la rilevabilità d’ufficio della nullità del licenziamento. L’elemento intenzionale nella valutazione della giusta causa. Il lavoratore ricorrente in cassazione lamentava la sproporzione tra la condotta contestatagli e la sanzione disciplinare comminata di conseguenza in particolare, secondo il lavoratore, la contestata divulgazione a terzi di notizie inaccessibili” non avrebbe avuto la potenza lesiva richiesta dalla nozione di giusta causa di cui all’art. 2106 c.c. egli infatti non avrebbe reso noti –intenzionalmente – dati sensibili. Sul punto la Corte di Cassazione precisa che, al fine di integrare la giusta causa di licenziamento, non è necessario che l’elemento soggettivo della condotta si presenti come intenzionale o doloso, poiché anche un comportamento colposo, per le sue proprie caratteriste e per la sua incidenza con altri indici della fattispecie, può ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, con conseguente impossibilità di proseguire il rapporto di lavoro. È, quindi, sempre necessario bilanciare condotta e sanzione, alla luce del principio di proporzionalità. È per questo che con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione coglie l’occasione per specificare che, quandanche la condotta contestata sia considerata dalla norme collettive come causa di risoluzione del rapporto, senza preavviso, non vi può essere automatismo tra accertamento della condotta e accertamento della legittimità della sanzione espulsiva. La giusta causa va sempre accertata in considerazione della natura del rapporto, della posizione delle parti, del grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, del danno/nocumento effettivamente arrecato, della portata soggettiva dei fatti contestati, delle circostanze di fatto verificatesi e, infine, dell’elemento soggettivo. Il primo motivo di ricorso è, quindi, rigettato. La nullità del licenziamento. Con il secondo motivo di ricorso il lavoratore denuncia la violazione e la falsa applicazione del CCNL per non avere la Corte territoriale rilevato d’ufficio la nullità della sanzione disciplinare che sarebbe stata adottata da un organo diverso da quello competente il licenziamento è stato comminato dal Direttore Regionale dell’Agenzia anziché dalla Direzione Provinciale . Ci si chiede, quindi, se nel rito del lavoro, la nullità di un atto giuridico sia rilevabile d’ufficio. Secondo la Corte di Cassazione, no la nullità del licenziamento è una nullità speciale rispetto a quelle previste dagli artt. 1421 e 1428 c.c In primo luogo la nullità lavoristica non travolge tutti gli effetti del contratto di lavoro, ma solo alcuni la retribuzione, ad esempio, riamane ferma. In secondo luogo la sua rilevabilità ad istanza di parte è sottoposta a termini decadenziali, diversi da quelli ordinari, che investono sia il tempo dell’impugnazione che il tempo della successiva instaurazione di un’azione di accertamento. Si può quindi affermare che la nullità del licenziamento sia una forma speciale di nullità, non rilevabile d’ufficio, ma solo su istanza di parte e ciò anche perché l’illegittimità/inefficacia del licenziamento può derivare da molteplici vizi con conseguenze altrettanto diversificate. Pertanto, il lavoratore che voglia far accertare l’illegittimità del provvedimento espulsivo che l’ha colpito ha l’onere di allegare deduzioni e domande precise e complete. L’ exceptio nullitatis non può travalicare i limiti preclusioni e decadenze di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c., anche perché introdurrebbe nel giudizio elementi nuovi sui quali sarebbe necessario instaurare il contraddittorio. Anche il secondo motivo di ricorso è rigettato la dichiarazione della nullità del licenziamento va esplicitamente richiesta dal lavoratore, anche quando sia determinata da violazione di norme imperative.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 luglio – 30 novembre 2017, numero 28796 Presidente Macioce – Relatore Torrice Fatto e motivi 1. Il Direttore Regionale Agenzia delle Entrate, titolare dell’Ufficio dei Procedimenti Disciplinari con provvedimento in data 4.7.2014, contestò ad R.A. , dipendente in servizio presso la Direzione Provinciale di Reggio Emilia, la violazione dell’obbligo di rispettare il segreto di ufficio di cui all’articolo 65 comma 3 lett. b del CCNL Agenzie Fiscali, di non utilizzare a fini privati le informazioni di cui disponeva per ragioni di ufficio di cui all’articolo 65 comma 3 lett. c dello steso CCNL, di non valersi di quanto è di proprietà dell’Agenzia per ragioni non di servizio di cui all’articolo 65 comma 3 Lett. l , di avere violato anche l’articolo 11 comma 3 del Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, di avere violato l’obbligo di evitare situazioni o comportamenti che possano nuocere agli interessi o all’immagine dell’Amministrazione, per avere acceduto abusivamente al sistema informativo dell’Anagrafe Tributaria per ragioni diverse da quelle di servizio, per avere acquisito dai colleghi di lavoro informazioni e notizie relative a pratiche non di sua competenza, per avere comunicato i dati relativi agli accertamenti in corso a terzi. 2. All’esito del procedimento disciplinare, in data 7.10.2014 la Pubblica Amministrazione datrice di lavoro comminò nei confronti del R. il procedimento disciplinare ai sensi dell’articolo 67 comma 6 del CCNL Agenzie Fiscali. 3. Il Tribunale di Reggio Emilia, adito dal R. che aveva impugnato il licenziamento, ai sensi dell’articolo 1 comma 48 della L. numero 92 del 2012, ha dichiarato la legittimità del licenziamento e lo stesso Tribunale ha respinto l’opposizione proposta dal R. . 4. Il reclamo dal medesimo proposto, ai sensi dell’articolo 1 comma 58 della L. numero 92 del 2012, è stato respinto dalla Corte di Appello di Bologna con la sentenza numero 428 in data 19.4.2016, la quale, richiamando le argomentazioni motivazionali contenute nella sentenza reclamata ed i principi elaborati da questa Corte in tema di giusta causa del licenziamento, ha ritenuto che da quanto riferito dal R. al giudice penale in sede di interrogatorio di garanzia risultava accertato che il medesimo aveva acceduto al sistema informatico dell’Agenzia delle Entrate di Reggio Emilia e aveva divulgato a terzi le notizie relative a posizioni estranee al suo lavoro ed al gruppo dal medesimo coordinato che siffatte ammissioni non risultavano infirmate dalle generiche difese svolte nel giudizio la sanzione espulsiva era proporzionata ai fatti contestati ed accertati, sussumibili entro la fattispecie disciplinare del CCNL punita con il licenziamento, avuto riguardo alla posizione rivestita dal M. , alla natura sensibile dei dati divulgati, alla natura meramente esemplificativa delle fattispecie delineate dalla contrattazione collettiva, e alla gravità della condotta, sul piano oggettivo e soggettivo, idonea a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario, vincolo che una sanzione meramente conservativa non avrebbe potuto ricostituire. 5. Avverso detta sentenza R.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. 6. L’Agenzia delle Entrate ha depositato memoria al solo fine di partecipare alla udienza di discussione. Sintesi dei motivi. 7. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione del principio di proporzionalità della sanzione disciplinare di cui all’articolo 2106 c.comma e la violazione dell’articolo 67 del CCNL Agenzie Fiscali. Il ricorrente asserisce che la Corte territoriale non avrebbe accertato nel concreto la reale entità e la gravità del comportamento oggetto di contestazione disciplinare, si sarebbe limitata a considerare la posizione rivestita da esso ricorrente, omettendo di valutare l’elemento soggettivo e non avrebbe tenuto conto del fatto che l’articolo 67 lett. c del CCNL prevede l’applicazione della sanzione conservativa della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da undici giorni a sei mesi in relazione a fatti di occultamento di fatti e circostanze relativi ad illecito uso, manomissione, distrazione di somme o beni di spettanza o di pertinenza dell’Agenzia o ad essa affidati dell’Amministrazione, quando in relazione alla posizione rivestita, il lavoratore abbia un obbligo di vigilanza e controllo. Sostiene, inoltre, che diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, i dati da esso ricorrente divulgati non avevano natura sensibile perché non correlati a dati relativi all’origine razziale, etnica, alle convinzioni religiose filosofiche o di altro genere, ad opinioni politiche, all’adesione a partiti politici o ad associazioni a carattere filosofico, religioso, politico sindacale o relativi alo stato di salute ed all’orientamento sessuale. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 comma 1 numero 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norme di diritto e di contratti collettivi e dell’articolo 55 bis del D. Lgs. numero 165 del 2001 e dell’articolo 68 del CCNL, per non avere la Corte territoriale rilevato di ufficio la nullità della sanzione disciplinare per essere stata adottata da organo diverso da quello competente. 8. Il primo motivo va rigettato. 9. È utile osservare, in primo luogo, che anche con riferimento alle ipotesi, quali quella in esame, di illeciti disciplinari tipizzati dalla contrattazione collettiva, deve escludersi la configurabilità in astratto di qualsivoglia automatismo nell’irrogazione di sanzioni disciplinari, specie laddove queste consistano nella massima sanzione, permanendo il sindacato giurisdizionale sulla proporzionalità della sanzione rispetto al fatto ex plurimis Cass. 10842/2016, 1315/2016, 24796/2010, 26329/2008 . 10. La proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto ai fatti commessi, come è stato affermato nelle pronunce innanzi richiamate è, infatti, regola valida per tutto il diritto punitivo sanzioni penali, amministrative ex articolo 11 l. numero 689 dei 1981, etc. , e risulta trasfusa, per l’illecito disciplinare, nell’articolo 2106 c.c., con conseguente possibilità per il giudice di annullamento della sanzione eccessiva , proprio per il divieto di automatismi sanzionatori, non essendo, in definitiva, possibile introdurre, con legge o con contratto, sanzioni disciplinari automaticamente conseguenziali ad illeciti disciplinari. 11. Deve, inoltre, ritenersi, in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte, che l’operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell’applicare norme elastiche, come quella citata, non sfugge alla verifica in sede di legittimità, poiché l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi anche costituzionali desumibili dall’ordinamento ex multis Cass. 21351/2016, 12069/2015, 692/2015, 25608/2014,6501/2013, 6498/2012, 8017/2006, 10058/2005, 5026/2004 . 12. È stato, in proposito, affermato da questa Corte che la relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo Cass.1977/2016, 1351/2016, 12059/2015 25608/2014 del 2014 , con la precisazione, quanto a quest’ultimo, che, al fine di ritenere integrata la giusta causa di licenziamento, non è necessario che l’elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni, posto che anche un comportamento di natura colposa, per le caratteristiche sue proprie e nel convergere degli altri indici della fattispecie, può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave ed irrimediabile da non consentire l’ulteriore prosecuzione del rapporto Cass. 13512/2016, 5548/2010 . 13. Tanto precisato, va rilevato che non ha alcun fondamento la censura che, muovendo dall’assunto che la condotta posta a base del licenziamento sarebbe punita con sanzione conservativa dall’articolo 67 lett. comma 4 c del CCNL del 28.5.2004 relativo al personale del comparto delle agenzie fiscali, addebita alla corte territoriale la sua erronea sussunzione nella fattispecie che l’articolo 67 punisce con il licenziamento. 14. Va rilevato, infatti, che, tra gli obblighi imposti al lavoratore, l’articolo 65 comma 3 dell’innanzi richiamato CCNL sono inclusi quello di rispettare il segreto d’ufficio nei casi e nei modi previsti dalle norme dei singoli ordinamenti ai sensi dell’articolo 24, L. 7 agosto 1990, numero 241 lett. b , di non utilizzare a fini privati le informazioni di cui disponga per ragioni d’ufficio lett. c , di non valersi di quanto è di proprietà dell’Agenzia per ragioni non di servizio 65 comma 3 lett. l . 15. Il successivo articolo 67, richiamato il principio di gradualità e di proporzionalità delle sanzioni e individuati i criteri generali di applicazione comma 1 - intenzionalità del comportamento, rilevanza della violazione di norme o disposizioni, grado di disservizio o di pericolo provocato dalla negligenza imprudenza o imperizia dimostrate, tenuto conto anche della prevedibilità dell’evento, eventuale sussistenza di circostanze aggravanti o attenuanti, responsabilità derivanti dalla posizione di lavoro occupata dal dipendente, concorso nella mancanza di più lavoratori in accordo tra loro, comportamento complessivo del lavoratore, con particolare riguardo ai precedenti disciplinari, nell’ambito del biennio previsto dalla legge, comportamento verso gli utenti-, nei commi da 2 a 7 individua le sanzioni disciplinari correlate alle singole fattispecie di illeciti. 16. Con disposizione di chiusura il comma 7 dell’articolo 67 dispone che Le mancanze non espressamente previste nei commi da 2 a 6 sono comunque sanzionate secondo i criteri di cui al comma 1, facendosi riferimento, quanto all’individuazione dei fatti sanzionabili, agli obblighi dei lavoratori di cui all’articolo 65 obblighi del dipendente quanto al tipo e alla misura delle sanzioni, ai principi desumibili dai commi precedenti . 17. L’articolo 67 comma 4 lett. c punisce con la sanzione conservativa sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da undici giorni fino ad un massimo di 6 mesi l’occultamento di fatti e circostanze relativi ad illecito uso, manomissione, distrazione di somme o beni di spettanza o di pertinenza dell’Agenzia o ad essa affidati, quando, in relazione alla posizione rivestita, il lavoratore abbia un obbligo di vigilanza o di controllo . 18. Nel descritto sistema disciplinare di fonte negoziale, confermato dall’articolo 8 del successivo CCNL sottoscritto il 10.4.2008, deve ritenersi che il comportamento descritto nel comma 4 lett. c dell’articolo 67 innanzi richiamato è ben diverso da quello, ben più grave, addebitato al R. , al quale è stato contestato non l’omesso esercizio dei poteri di vigilanza e di controllo e di occultamento di condotte illecite commessi da altri lavoratori, ma di avere acceduto abusivamente al sistema informativo dell’Anagrafe Tributaria per ragioni diverse da quelle di servizio, di avere acquisito dai colleghi di lavoro informazioni e notizie relative a pratiche non di sua competenza, di avere comunicato dette informazioni e i dati relativi agli accertamenti in corso a terzi estranei, di avere violato l’articolo 11 comma 3 del Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, di avere violato l’obbligo di evitare situazioni o comportamenti idonei a nuocere agli interessi o all’immagine dell’Amministrazione. 19. Quanto alla sussunzione della condotta posta a base del licenziamento nell’archetipo legale di cui all’articolo 2106 c.c., va rilevato che il ricorrente propone un diverso apprezzamento della gravità dei fatti e della concreta ricorrenza degli elementi che integrano il parametro normativo della giusta causa, apprezzamento che, ponendosi sul piano del giudizio di fatto, è demandato al giudice di merito ed è sindacabile in cassazione solo a condizione che la contestazione contenga una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale Cass. 5707/2017, 23862/2016, 7568/2016, 2692/2015, 25608/2014, 6498/2012, 5095/2011, 35/2011, 19270/2006, 9299/2004 , incoerenza che non è ravvisabile nella sentenza impugnata. 20. La valutazione è stata, infatti, formulata dalla Corte territoriale non in considerazione delle sole disposizioni collettive contenute nel richiamato articolo 67 del CCNL e nemmeno in via astratta, come opina il ricorrente, ma con riferimento agli aspetti concreti del rapporto dedotto in giudizio. La Corte territoriale nella formulazione del giudizio di proporzionalità e di gravità della condotta, ha, infatti, tenuto conto delle funzioni affidate al R. coordinatore di un gruppo di altri lavoratori e della natura dei dati divulgati all’esterno. 21. È, poi, sin troppo evidente dalla lettura delle argomentazioni motivazionali contenute nella sentenza impugnata che la qualificazione come sensibili dei dati abusivamente acquisiti ed illecitamente comunicati dal R. a persone estranee all’Amministrazione è stata fatta non con riferimento al D. Lgs numero 196 del 2003 Codice in materia di protezione dei dati personali , la cui disciplina non trova applicazione nella fattispecie in esame, ma con riguardo alla circostanza l’acquisizione e la divulgazione riguardarono informazioni e dati destinati a rimanere riservati a garanzia della efficienza e dell’ imparzialità dell’azione di controllo e di verifica propria dell’Agenzia delle Entrate. 22. Il secondo motivo è infondato. 23. Questa Corte ha da tempo affermato che la causa petendi dell’azione proposta dal lavoratore per contestare la validità e l’efficacia del licenziamento va individuata nello specifico motivo di illegittimità dell’atto dedotto nel ricorso introduttivo, in quanto ciascuno dei molteplici vizi, dai quali può derivare la illegittimità del recesso, discende da circostanze di fatto che è onere del ricorrente dedurre e allegare. Muovendo da detto presupposto, è stato, ritenuto che, pur a fronte del medesimo petitum , escluse le ipotesi nelle quali la modifica resta limitata alla sola qualificazione giuridica, costituisce inammissibile domanda nuova la prospettazione, nel corso del giudizio di primo grado e, a maggior ragione, in sede di impugnazione, di un profilo di illegittimità del licenziamento non tempestivamente dedotto ex multis Cass. 886/1982, 6899/1987, 2418/1990, 3810/1990 . Siffatto principio è stato ribadito da recenti decisioni, che hanno qualificato come nuove le domande volte a far valere l’assenza di giusta causa o giustificato motivo, a fronte di un’azione con la quale originariamente era stato prospettato solo il motivo ritorsivo o discriminatorio Cass. 12898/2016 , ad ottenere la dichiarazione di nullità del licenziamento discriminatorio, sia pure sulla base di circostanze emergenti dagli atti, in fattispecie nella quale era stata dedotta solo la mancanza di giusta causa Cass. 13673/2015 e, con riferimento al ritorsivo Cass. 19142/2015 , a prospettare vizi formali del procedimento disciplinare diversi da quelli denunciati nell’atto introduttivo Cass. 655/2015, 8293/2012, 5555/2011, 15795/2008 . 24. In tutte le pronunce richiamate è stato fatto riferimento alle regole del processo del lavoro, che impongono la tempestiva deduzione delle circostanze di fatto poste a fondamento dell’azione, e, nelle ipotesi in cui il vizio tardivamente denunciato avrebbe potuto condurre a una dichiarazione di nullità dell’atto di recesso, è anche stato evidenziato che la rilevabilità d’ufficio della nullità non può incidere sulle preclusioni e decadenze di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c., ove, attraverso l’ exceptio nullitatis , si introducano tardivamente in giudizio questioni di fatto ed accertamenti nuovi e diversi, ponendosi, una diversa soluzione, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’articolo 111 Cost. Cass. 17751/2012 . È stato aggiunto che Ì eventuale nullità del licenziamento, per contrasto con norme imperative di legge, non può essere rilevata dal giudice, in quanto il principio di cui all’articolo 1421 c.c., che va comunque coordinato con il principio della domanda, con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e con quello della disponibilità delle prove, di cui all’articolo 115 c.p.c., non può trovare applicazione quando la parte chieda la declaratoria di invalidità di un atto a sé pregiudizievole, dovendo la pronuncia del giudice rimanere circoscritta, in tale caso, alle ragioni di illegittimità ritualmente dedotte dalla parte stessa Cass. 13673/2015, 23683/2004, 9167/2003 . 25. La non rilevabilità di ufficio di un motivo di nullità non tempestivamente dedotto è stata giustificata dalla giurisprudenza di questa Corte anche facendo leva sull’orientamento, all’epoca maggioritario, che in relazione alle patologie contrattuali riteneva che la regola enunciata dall’articolo 1421 c.comma dovesse essere coordinata con il principio dispositivo, e, quindi, dovesse operare solo nelle controversie promosse per far valere diritti presupponenti la validità del contratto, non anche nella diversa ipotesi in cui la domanda fosse diretta a fare dichiarare l’invalidità del contratto o a farne pronunciare la risoluzione per inadempimento. 26. Deve escludersi che possano essere automaticamente estesi alla materia dei licenziamenti i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, dapprima con la sentenza numero 14828 del 4.9.2012 e, più di recente, con la sentenza 12.12.2014 numero 26242, con le quali sono state vagliate le diverse ipotesi in cui la nullità negoziale rileva e spiega influenza in seno al processo e, per quel che qui interessa, è stato affermato che il potere di rilevazione ex officio della nullità negoziale deve essere sempre esercitato dal giudice in tutte le azioni contrattuali, anche qualora venga in rilievo una nullità speciale o di protezione o emerga una ragione di nullità diversa da quella espressamente dedotta dalla parte. 27. Il Collegio ritiene al riguardo di dare continuità ai principi affermati da questa Corte nella recente sentenza numero 7687 del 20017, condividendone le argomentazioni motivazionali, da intendersi qui richiamate ai sensi dell’articolo 118 disp. att. c.p.c., secondo cui la disciplina della invalidità del licenziamento è caratterizzata da specialità, rispetto a quella generale della invalidità negoziale, desumibile dalla previsione di un termine di decadenza per impugnarlo e di termini perentori per il promovimento della successiva azione di impugnativa, che resta circoscritta all’atto e non è idonea a estendere l’oggetto del processo al rapporto, non essendo equiparabile all’azione con la quale si fanno valere diritti autodeterminati. 28. Il ricorso va, in conclusione, rigettato. 29. Le spese seguono la soccombenza. 30. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3000,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.