Invalido al 75 per cento: niente pensione di reversibilità per la morte del padre

Respinta la richiesta avanzata da un uomo nei confronti dell’Inps. Per i Giudici non è decisiva la percentuale di invalidità a lui riconosciuta, poiché aveva comunque a disposizione una residua capacità lavorativa.

Accertata la sua invalidità civile. Ciò nonostante, il figlio si vede respingere la richiesta di percepire la pensione di reversibilità del padre. Irrilevante, secondo i Giudici, il 75 per cento di invalidità attestato dalla Commissione sanitaria Cassazione, ordinanza n. 27448/17, sez. Lavoro, depositata il 20 novembre . Decesso. Concordi i Giudici del Tribunale e quelli della Corte d’Appello nessuna possibilità di concedere la c.d. pensione di reversibilità . Risposta negativa, quindi, alla domanda presentata all’Inps da un uomo che sosteneva di avere diritto alla pensione di reversibilità del padre – deceduto nel febbraio del 1956 – in quanto figlio a carico ed inabile e non ancora maggiorenne al momento del decesso . In secondo grado, però, come già in primo grado, si è affermato che il figlio – divenuto maggiorenne undici anni dopo la morte del padre – non si trovava, nel 1956, nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa . E in questa ottica i Giudici aggiungono che è irrilevante la sua accertata invalidità civile al 75 per cento, senza bisogno di corsi di avviamento al lavoro . Inabilità. La decisione ufficializzata in appello viene duramente contestata in Cassazione. Il ricorso proposto dal legale dell’uomo è centrato soprattutto sul suo stato di inabilità, derivante dall’esistenza di una cerebropatia infantile con emiparesi spastica sinistra e grave deficit deambulatorio . Questo elemento, però, non spinge i magistrati del ‘Palazzaccio’ a rivedere la decisione con cui è stata negata all’uomo la pensione di reversibilità . In particolare, i Giudici ricordano che per il riconoscimento della prestazione la normativa attribuisce rilevanza al criterio oggettivo della assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa , cioè essa deve essere determinata esclusivamente dalla infermità ovvero dal difetto fisico o mentale . Nella vicenda in esame non vi è alcuna prova , osservano i Giudici, che nel periodo compreso tra il momento del decesso del padre e il compimento dei diciotto anni del figlio, quest’ultimo si fosse trovato nell’assoluta e permanente impossibilità di lavorare , poiché egli non versava in una situazione di assoluta inabilità lavorativa ma conservava, invece, una residua capacità lavorativa idonea a consentirgli di procacciarsi mezzi per la sopravvivenza .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 giugno – 20 novembre 2017, numero 27448 Presidente Mammone – Relatore Calafiore Rilevato Che la Corte d'appello di Milano con sentenza numero 865/2011 ha respinto l'appello proposto da Ro. Fe. avverso la sentenza del Tribunale di Varese che aveva rigettato la sua domanda tesa ad ottenere la pensione di reversibilità del padre, deceduto il giorno 1 febbraio 1956, in quanto figlio a carico ed inabile e non ancora maggiorenne al momento del decesso, posto che lo era diventato il 21 aprile 1967 che la Corte di merito, considerato che tra la documentazione sanitaria prodotta non vi erano certificazioni relative al periodo compreso tra l'1.2.1956 ed il 21 aprile 1967, che vi era contraddizione tra il verbale del 18 ottobre 1967 del Comitato di assistenza e beneficenza pubblica che prendeva atto della dichiarazione della Commissione sanitaria provinciale del 15 settembre 1967, secondo cui era presente totale e permanente inabilità lavorativa non di natura psichica, ed altra di poco successiva-che accertava una invalidità del 75% senza bisogno di corsi di avviamento al lavoro, riteneva che il ricorrente, all'epoca del decesso del proprio padre, non si trovasse nell'assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa, irrilevante essendo la pure accertata invalidità civile e dovendosi escludere la concreta possibilità di svolgere una utile consulenza medica su situazioni risalenti ad oltre quaranta anni addietro che avverso tale sentenza della Corte territoriale, Ro. Fe. propone ricorso per cassazione fondato su tre motivi illustrati da memoria e da un quarto motivo di mero richiamo ai motivi d'appello che L'I.N.P.S. resiste con controricorso. che il P.G. ha concluso per l'accoglimento del ricorso Considerato che con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 13 commi 1 ed 8 del r.d.l. numero 636/1939 conv. in L. 1272/1939 e succ. mod., 32 e 38 Cost., 1 comma e , dell'art. 19 e 26 comma 1 della Conv. ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata con legge numero 18/2009, degli artt. 1 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 18.12.2000, in relazione alla circostanza che, ad avviso della parte, la Corte d'appello non avrebbe applicato alla fattispecie l'art. 13 commi 1 ed 8 del r.d.l. numero 636/1939 conv. in L. 1272/1939 e modif. con l'art. 22 L. 903/1965, poiché dagli atti prodotti risultava lo stato di inabilità derivante dall'esistenza di una cerebropatia infantile con emiparesi spastica sinistra e grave deficit deambulatorio che il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge, omessa pronuncia ed omessa motivazione circa il punto decisivo dell'accertamento del proficuo lavoro ex art. 39 D.P.R. numero 818/1957 nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 27 e 28 comma 2 lett. e e lett. e della Conv. ONU sui diritti delle persone con disabilità ratificata con legge numero 18/2009, posto che la citata documentazione sanitaria era conforme agli arresti giurisprudenziali formatisi in applicazione della normativa richiamata secondo cui il requisito era integrato anche dal riconoscimento di una invalidità non totale purché inidonea ad un proficuo lavoro e tale non era il lavoro svolto dal Fe. presso l'Associazione AIAS di Varese che il terzo motivo denuncia la violazione dell'art. 445 cod.proc.civ. e dell'art. 149 disp. att. cod.proc.civ., posto che la Corte territoriale non aveva disposto c.t.u. medico legale seppure la stessa non fosse stata disposta neanche in primo grado e si trattasse di materia previdenziale ed assistenziale obbligatoria che i primi due, articolati, motivi sono connessi in quanto presuppongono in primo luogo la individuazione delle norme regolatrici della concreta fattispecie, anche ratione temporis rispetto al 4 maggio 2004, momento di presentazione della domanda, per cui vanno trattati congiuntamente, premettendo alla valutazione del motivo relativo al vizio di motivazione le che, in particolare, deve ricordarsi che questa Corte di legittimità ha avuto modo di affermare vd. da ultimo Cass. 10953/2016 che la L. numero 222 del 1984, art. 8 Definizione di inabilità ai fini delle prestazioni previdenziali ha introdotto un'unica ed unitaria nozione di inabilità ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità art. 2 , alla pensione di riversibilità L. 21 luglio 1965, numero 903, artt. 21 e 22 ed alle altre prestazioni previste dal medesimo art. 8, e cioè quelle di cui alla L. 9 agosto 1954, numero 657, che riguarda i provvedimenti relativi ai lavoratori tubercolotici e ai loro familiari, e quelle di cui alla L. 4 agosto 1955, numero 692, che riguarda l'estensione dell'assistenza di malattia ai pensionati di invalidità e vecchiaia ed ai loro familiari e che la stessa nozione vale anche ai fini del diritto agli assegni familiari, ai sensi del comma 2 dello stesso art. 8, che ha sostituito il T.U. 30 maggio 1955, numero 797, art. 4, u.c. che secondo l'art. 8 sopra menzionato, si considerano inabili le persone che, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovino nell'assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa e tale requisito è più restrittivo di quello richiesto in precedenza dal D.P.R. 26 aprile 1957, numero 818, art. 39 che considerava inabili le persone che per gravi infermità fisiche o mentali si trovassero nella assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro che, in particolare non era richiesta la totale inabilità, ma la concreta impossibilità, tenuto conto delle condizioni del mercato del lavoro, delle condizioni soggettive della persona colpita dall'infermità o dal difetto fisico o mentale e dei fattori ambientali, di dedicarsi ad un'attività lavorativa utile a soddisfare in modo normale e non usurante le primarie esigenze di vita che la L. numero 222 del 1984, art. 8 viceversa attribuisce rilevanza, ai fini del riconoscimento della prestazione, al criterio oggettivo della assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa , nel senso che questa deve essere determinata esclusivamente dalla infermità ovvero dal difetto fisico o mentale, senza che debba verificarsi, in caso di mancato raggiungimento di una totale inabilità, il possibile impiego delle eventuali energie lavorative residue in relazione al tipo di infermità alle generali attitudini del soggetto in tal senso, pur dopo qualche oscillazione giurisprudenziale, è ormai attestata questa Corte si vedano Cass. numero 9946 dell'8 maggio 2014 Cass. numero 9970 del 29 aprile 2009 Cass. numero 16955 del26 agosto 2004 che, nella specie, la Corte territoriale ha affermato che non vi è alcuna evidenza che, nel periodo compreso tra il momento del decesso del padre ed il compimento dei diciotto anni, il ricorrente si fosse trovato nell'assoluta e permanente impossibilità di lavorare, secondo la formulazione della L. numero 222 del 1984, art. 8, non versando in una situazione di assoluta inabilità lavorativa e permanendo nello stesso una residua capacità lavorativa idonea a consentirgli di procacciarsi i mezzi per la sopravvivenza, per cui sotto tale profilo la decisione non è incorsa nella denunciata violazione di legge che, sotto il profilo del vizio motivazionale, va osservato che i fatti controversi da indagare da non confondersi con la valutazione delle relative prove sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte di appello, sicché non di omesso esame si tratta, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dalla parte odierna dal momento che la Corte territoriale ha esaminato e valutato tutta la documentazione prodotta consistente nel verbale del 18 ottobre 1967 del Comitato di assistenza e beneficenza pubblica nel quale si prendeva atto della dichiarazione della Commissione sanitaria provinciale del 15 settembre 1967, secondo cui era presente totale e permanente inabilità lavorativa non di natura psichica, e l'altra di poco successiva che accertava una invalidità del 75% senza bisogno di corsi di avviamento al lavoro che non appare incrinata da illogicità la scelta della Corte territoriale di sostanziale condivisione della valutazione fatta dal primo giudice in ordine al riconoscimento di maggiore attendibilità, per specificità e sufficiente vicinanza temporale all'epoca rilevante per il giudizio, della documentazione sanitaria di attribuzione dell'invalidità al 75%, anche per la oggettiva impossibilità in mancanza di ulteriore documentazione medica di tentare maggiori approfondimenti medico legali a distanza di circa quaranta anni dall'epoca di interesse per il processo che quanto al rilievo della violazione dell'art. 445 cod. proc. civ. e dell'art. 149 disp. att. cod. proc. civ. è, invero, decisiva la considerazione che per costante giurisprudenza di questa Corte di Cassazione vd. Cass. 3130/2011 9060/2003 3191/2006 la consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze, ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, primo comma, cod. proc. civ. che, conseguentemente, il ricorso va rigettato e le spese del giudizio vanno compensate in ragione delle peculiarità di apprezzamento della fattispecie concreta. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese del presente giudizio di legittimità.