Quale giudice per il datore di lavoro fallito?

Le domande di accertamento o costitutive di diritti del lavoratore, anche se seguite da richieste di condanna al risarcimento dei danni o al pagamento di crediti retributivi o contributivi , rientrano nella competenza del giudice del lavoro il quale, però, dovrà limitare la propria pronuncia all’accertamento o alla costituzione del diritto senza pronunciare condanne e ciò in quanto la vis actractiva attribuita, ex art 24 l. fall., alla competenza del tribunale fallimentare riguarda tutte le azioni derivanti dal fallimento.

Con la sentenza n. 23418/17, depositata il 6 agosto, la Corte di Cassazione conferma il suo orientamento in tema di ripartizione delle competenze tra giudice del lavoro e tribunale fallimentare. Quando fallisce il datore di lavoro Un lavoratore impugnava il licenziamento collettivo intimatogli chiedendone la dichiarazione di illegittimità/inefficacia, con conseguente diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro o comunque il risarcimento del danno individuato ex lege oltre alla domanda sull’illegittimità del licenziamento, il lavoratore chiedeva altresì l’accertamento di un inquadramento superiore con conseguente diritto a percepire le differenze retributive. Nelle more del giudizio, però, il datore di lavoro veniva dichiarato fallito il lavoratore riassumeva, quindi, il giudizio nei confronti del fallimento, sempre avanti il giudice del lavoro. Il fallimento costituito lamentava, però, l’improcedibilità delle domande per incompetenza del giudice del lavoro a trattare questioni derivanti dal fallimento. Veniva, quindi, sottoposta alla Corte di Cassazione la questione della competenza a conoscere e decidere delle controversie lavoristiche vantate da un dipendente nei confronti del datore di lavoro, poi, fallito. Il riparto delle competenze. Con la sentenza in commento, la Suprema Corte mantiene il proprio orientamento sul tema e conferma che al giudice del lavoro, in virtù della sua specialità, spetta l’accertamento del diritto del lavoratore nel caso di specie l’accertamento dell’illegittimità del licenziamento e dell’inquadramento superiore e al giudice fallimentare, in virtù della vis actractiva , spetta la quantificazione e la condanna al pagamento delle differenze retributive e delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno, già accertato dal giudice del lavoro. La distribuzione delle competenze non è tuttavia così lineare come sembra, essendo la quantificazione del risarcimento del danno per illegittimità del licenziamento strettamente legata all’accertamento medesimo. L’art. 24 l. fall., che esplicita la forza attrattiva del tribunale fallimentare, facendo convergere avanti a quest’ultimo tutte le azioni derivanti dal fallimento, ha la funzione di raggruppare nella procedura concorsuale tutte le azioni anche anteriori al fallimento che abbiano ad oggetto crediti nei confronti del fallito. Il fine ultimo è chiaro assoggettare tutti i crediti ad una disciplina unitaria, in modo tale da rispettare la paar condicio creditorum . Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione, la domanda di accertamento dell’illegittimità del licenziamento con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro ha una natura diversa dalle mere pretese creditorie, poiché non ha come oggetto un credito nei confronti del fallimento”, essa quindi deve restare estranea alla competenza del tribunale fallimentare e permanere nella sfera del giudice del lavoro, che resta competente a decidere tutte le questioni di accertamento del diritto. La Corte di Cassazione giustifica tale orientamento sulla base della natura dei diritti da tutelare i diritti dei lavoratori, garantiti costituzionalmente, necessitano di un accertamento rapido e specifico cui risponde giudice del lavoro. In questo senso, quindi, la tutela del lavoro rimane estranea alla paar condicio creditorum , se non per il suo aspetto meramente economico dopotutto, sarebbe insensato attribuire al tribunale fallimentare la cognizione di questioni lavoristiche, che andrebbero risolte secondo le regole dell’accertamento dello stato passivo. Una simile soluzione, peraltro, contrasterebbe con i principi del giusto processo di cui agli artt. 24 e 11 Cost., nonché art. 6 CEDU. Pertanto, nell’ipotesi di domande lavoristiche avanzate nei confronti di un datore di lavoro fallito, il giudice del lavoro è competente a decidere sulle domande di accertamento o costitutive, mentre il giudice fallimentare è competente a decidere le domande a carattere patrimoniale che conseguono ciò anche quando la domanda originaria sia stata interamente posta al giudice del lavoro.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 maggio – 6 ottobre 2017, numero 23418 Presidente Mammone – Relatore Riverso Fatti di causa Con sentenza numero 1981/2015 la Corte d’Appello di Roma respingeva l’appello proposto dal fallimento omissis S.p.A. avverso la sentenza del tribunale di Frosinone che aveva accolto la domanda, proposta da C.O. con ricorso in riassunzione nei confronti della Curatela del fallimento della stessa società, e rivolta ad ottenere l’accertamento della illegittimità del licenziamento collettivo intimatole quando la società era ancora in bonis con diritto all’inquadramento al livello C2 CCNL Industria Chimica. A fondamento della decisione la Corte d’Appello rilevava che, poiché il giudice di primo grado si era limitato a dichiarare l’illegittimità del licenziamento con conseguente diritto alla reintegrazione e inquadramento al livello C2 CCNL Industria Chimica, nulla , testualmente, disponendo in merito al risarcimento del danno essendo intervenuto il fallimento della società, la sentenza appellata aveva fatto corretta applicazione del principio più volte affermato in sede di legittimità 7129/2011, 2411/2010, 4051/2004 secondo cui, ove il lavoratore abbia agito in giudizio chiedendo con la dichiarazione di illegittimità o inefficacia del licenziamento la reintegra nel posto di lavoro nei confronti del datore di lavoro dichiarato fallito, permane la competenza funzionale del giudice del lavoro a giudicare della domanda di annullamento del licenziamento con diritto alla reintegra. Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Fallimento omissis S.p.A. in liquidazione in persona del curatore, con un motivo, al quale ha resistito C.O. con controricorso. Le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c. Ragioni della decisione 1. Con l’unico motivo di ricorso il fallimento ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 24, 52, 93 e seguenti della legge fallimentare R.D. 16 marzo 1942 numero 267 in relazione all’articolo 360, numero 4 c.p.c., per avere la Corte di appello di Roma, in violazione del principio di obbligatorietà del rito dell’accertamento del passivo, respinto l’eccezione di improcedibilità o improseguibilità delle domande proposte davanti al giudice del lavoro, in considerazione della sopravvenuta dichiarazione di fallimento della società OMISSIS convenuta, nonostante la parte attrice avesse espressamente richiesto, sia con la domanda originaria sia con l’atto di riassunzione, anche il risarcimento dei danni asseritamente subiti in virtù dell’intervenuto licenziamento di cui si chiedeva dichiararsi l’illegittimità, con conseguente domanda di reintegra nonché le differenze retributive connesse all’inquadramento in un superiore livello del C.C.N.L. industria chimica farmaceutica, di cui si chiedeva l’accertamento, e nonostante la stessa parte attrice avesse presentato la domanda di ammissione allo stato passivo fallimentare per le suddette pretese economiche già dedotte innanzi al giudice ordinario. 2. Il motivo di ricorso chiede espressamente una rivisitazione dell’orientamento consolidato nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui il giudice del lavoro è competente a decidere sulle domande di accertamento o costitutive che vadano al di là dell’affermazione di diritti patrimoniali mentre il giudice fallimentare mantiene la competenza sulle domande a carattere patrimoniale che ne conseguono e ciò anche se la domanda originaria, riproposta con l’atto di riassunzione, fosse formulata con riferimento ad entrambe, dovendo il giudice del lavoro limitarsi a pronunciarsi sulle prime. Nel motivo di ricorso si deduce in contrario l’esistenza di un altro più risalente orientamento di legittimità richiamando Cass. 4 giugno 1986, numero 3740, e sulle domande relative a mansioni Cass. 14.9.2007 numero 19428 , secondo il quale la competenza del giudice del lavoro può essere riconosciuta esclusivamente quando la domanda sia limitata all’accertamento della pregressa esistenza del rapporto di lavoro subordinato o della risoluzione di tale rapporto sicché se insieme a questa vi sia anche una domanda di condanna, la competenza per entrambe le domande dovrebbe essere attribuita al giudice fallimentare essendo necessario che tutte le azioni dirette a far valere diritti di credito sul patrimonio del fallito vengano fatte valere nel rispetto del rito fallimentare che implica la necessaria partecipazione ed il contraddittorio di tutti i creditori con rispetto della regola del concorso anche nella fase di cognizione. Secondo il ricorso, riconoscere con l’orientamento principale la proposizione della domanda dinanzi al giudice del lavoro in queste ipotesi in cui la richiesta di mero accertamento sia in realtà diretta ad ottenere una sentenza che costituisca l’immediata base concettuale di una successiva pronuncia di condanna condurrebbe ad una inammissibile elusione della regola sulla competenza esclusiva del tribunale fallimentare per l’ammissione al passivo dei creditori. 3. Il ricorso è infondato. Sul piano processuale va rilevato che nel caso di specie non sia in discussione che i giudici di merito abbiano limitato la propria pronuncia alla dichiarazione dell’invalidità del licenziamento con diritto alla reintegrazione ed a quella sulla spettanza dell’inquadramento al livello superiore C2 CCNL Industria Chimica senza nulla disporre nemmeno nelle forme della condanna generica sulla cui ammissibilità, invece, da ultimo Cass. 19308/2016 in merito al risarcimento del danno essendo intervenuto il fallimento . Pur tuttavia la censura muove dalla originaria complessità della domanda in quanto rivolta ad ottenere, nel ricorso introduttivo come in quello in riassunzione, anche la condanna al pagamento dei relativi crediti, per sostenere che tutta la cognizione sulle domande congiunte dovesse trasferirsi al giudice fallimentare producendosi altrimenti una lesione della normativa in materia di competenza del tribunale fallimentare la cui ratio sarebbe quella di concentrare davanti allo stesso tutte le azioni dirette a far valere diritti di credito sul patrimonio del fallito allo scopo di assicurare, con la partecipazione di tutti i creditori, il rispetto della regola della concorsualità anche nella fase di cognizione ciò in particolare per le domande aventi ad oggetto l’accertamento del passaggio di livello e la condanna del fallimento al pagamento delle differenze retributive. 4. Tale tesi non può essere seguita. Costituisce invero orientamento consolidato in materia 19721/2013, 7129/2011, 2411/2010, 4051/2004 quello secondo cui le domande di accertamento o costitutive di diritti del lavoratore, anche se seguite da richieste di condanna al risarcimento dei danni o al pagamento del crediti, rientrino nella competenza del giudice del lavoro il quale dovrà limitare la propria pronuncia all’accertamento o alla costituzione del diritto senza pronunciare condanne e ciò in quanto la vis actractiva attribuita, ai sensi dell’articolo 24 l. fall., alla competenza del tribunale fallimentare riguarda tutte le azioni derivanti dal fallimento . 5. Ed invero, come affermato da questa Corte con la sentenza numero 7075/2002 l’articolo 24 della legge fallimentare ha la funzione di far convergere nella procedura concorsuale tutte le azioni anche anteriori al fallimento che abbiano per oggetto crediti nei confronti dei fallito, in modo da assoggettarle ad una disciplina unitaria, onde realizzare i fini fondamentali dell’istituto l’unità dell’esecuzione e la par condicio creditorum Cass. 30 maggio 1967 numero 1210, Cass. 5 gennaio 1972 numero 4 nessuna deroga di competenza tuttavia sussiste per le azioni che il curatore trova nel patrimonio dei fallito e che, avendo con il fallimento un rapporto di mera occasionalità, sono indipendenti dal dissesto e dalla procedura concorsuale Cass. 19 novembre 1974 numero 3719 . Nel quadro di questi principi si inserisce la controversia instaurata dal dipendente il quale impugni il licenziamento e chieda la reintegrazione nei confronti dei datore che nel corso del procedimento sia dichiarato fallito. Questa domanda ha un oggetto che, non essendo costituito da crediti nei confronti del datore, è diverso da quello che caratterizza le pretese dei creditori e resta pertanto estranea alle finalità dell’unità dell’esecuzione e della par condicio creditorum fondamento della competenza del tribunale fallimentare . Il conseguente rapporto fra competenza dei giudice del lavoro e competenza del giudice fallimentare è delineato non dalla specialità delle norme, bensì da questa separazione. E pertanto la predetta domanda, per il suo stesso oggetto ed indipendentemente dalla sua strumentale utilizzazione ai fini della condanna al pagamento di somme , resta estranea allo spazio devoluto alla competenza del tribunale fallimentare. Anche le censure al riguardo mosse dalla ricorrente sono infondate. In particolare, la competenza del giudice del lavoro permane anche in ordine alle domande di accertamento del diritto alla qualifica Cass. 27 luglio 1999 numero 8136 e le ipotizzate domande aventi per oggetto altre pretese di contenuto non economico come sanzioni disciplinari, visite di controllo, tutela della lavoratrice madre e pertanto estranee al crediti nel confronti del datore, presupponendo la permanenza dell’attività aziendale anche dopo l’apertura del fallimento, non escludono la permanenza della competenza dei giudice del Lavoro . 6. Si tratta di un orientamento, che questo collegio intende mantenere fermo, oltre che sulle questioni relative all’accertamento della esistenza, corretta qualificazione, validità della cessazione del rapporto di lavoro, anche in relazione all’azione d’accertamento della qualifica lavorativa nei confronti del datore di lavoro fallito Cass. 18557/2009, Cass. 3 marzo 2003, numero 3129 3740/1986 trattandosi di un indirizzo che si rivela altresì giustificato per la natura dei diritti di cui si chiede tutela i quali hanno una prioritaria dimensione non patrimoniale confermata dalla protezione accordata agli stessi dalle norme costituzionali ed inoltre per la necessità di garantire un rapido scrutinio della domanda da parte del giudice del lavoro nelle forme del rito del lavoro, in vista dell’ipotesi in cui l’attività continui o vi sia ripresa dell’attività lavorativa, o per tutelare i connessi diritti previdenziali tutte esigenze estranee all’esigenza della par conditio creditorum. 7. La stessa tutela risulta viepiù giustificata sul piano processuale anche alla luce dell’articolo 24 Cost. e dei principi del giusto processo alla luce dell’articolo 111 Cost., oltre che dell’articolo 6 CEDU su cui da ultimo Cass. 15066/2017 , in quanto attribuire le domande in questione alla cognizione del tribunale fallimentare, con le regole dell’accertamento del passivo, comporta un eccessivo ed inutile dispendio di tempo tale da poter determinare lo stesso sacrificio del diritto sostanziale. Nel caso in esame, ad esempio, non è contestato che la stessa lavoratrice intimata sia stata già reintegrata nel posto di lavoro e lavori presso la cessionaria della impresa fallita con la qualifica dovutale risultato che non sarebbe stato possibile conseguire con la stessa rapidità se l’accertamento fosse stato da effettuare in sede fallimentare, in virtù della tesi sostenuta nel giudizio dalla ricorrente a motivo della presenza di una domanda di condanna al risarcimento rimasta però impregiudicata . 8. Va poi aggiunto che una volta fissato il principio secondo il quale il giudice del lavoro deve pur sempre separare le domande e giudicare solo su quelle per le quali è competente ovvero sulle domande di mero accertamento o costitutive senza potersi pronunciare su quelle di condanna, come se quest’ultima richiesta non fosse stata mai posta , neppure può sostenersi con fondamento che verrebbero comunque intaccati o svuotati i residui poteri del giudice fallimentare, l’ampiezza dei quali non dipende certo dalla mera presenza o meno nel ricorso introduttivo o in quello in riassunzione di una domanda di condanna rimasta improduttiva di effetti. 9. Si tratta di principi su cui si è formato oramai da tempo un indirizzo consolidato, univoco e privo di contrasti giurisprudenziali all’interno di questa Corte e che pertanto non giustificano, in relazione alla fattispecie oggetto della causa, un’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite pure sollecitata in via subordinata dal Fallimento ricorrente. 10. In forza delle ragioni esposte la sentenza si sottrae alle critiche formulate con il ricorso che deve essere quindi rigettato. 12. Le spese seguono la soccombenza nella misura di cui al dispositivo. Sussistono altresì i presupposti per il raddoppio del contributo unificato cui è tenuto il ricorrente ai sensi degli artt. 10 e 13, comma 1 quater, del D.P.R. numero 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 numero 228. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 4200 di cui Euro 4000 per compensi professionali oltre al 15% per spese generali ed oneri accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.